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I lombardi in gioco tra sentenze e corsi di formazione

In questo delicato momento per la storia del nostro Paese dove si deve pensare a progettare per costruire qualcosa, nel settore dei giochi e delle scommesse, in attesa che il Legislatore dia seguito alla delega fiscale ed alla legge di stabilità per il 2015, e sperando che le due norme non vadano in contrasto tra di loro, è ancora il potere giudiziario (e più specificatamente il TAR LOMBARDIA) che dà indicazioni al governo del territorio  lombardo: indicazioni precise che sembrerebbero propositive.

Il TAR Lombardia infatti  mettendo un po’ di ordine nel rapporto tra governo centrale e governo del territorio, ripristinando quella legittimità della normativa statale, che è la sola titolata in virtù dei nostri principi costituzionali a regolamentare il settore dei giochi e delle scommesse. Con due successivi decreti dello scorso 30 ottobre, il TAR LOMBARDIA sez. Milano ha accolto le misure cautelari proposte da due diversi operatori di giochi che hanno impugnato la nota ordinanza del Sindaco di Milano del 15.10.2014, P.G. 625214, recante la disciplina comunale degli orari di esercizio delle sale giochi autorizzate ai sensi dell’art 86 TULPS e degli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro di cui all’art. 110, 6° comma, istallati negli esercizi autorizzati ex artt 86 e 88 del TULPS, R.D. n. 773/1931.

Di fatto il Presidente della I sez.  ha  accolto la misura cautelare partendo dal presupposto che la potestà attribuita al Sindaco dall’art. 50, 7° comma del D.lgs. 267/2000 non pare applicabile nella specifica materia in questione, concernendo detta norma esclusivamente gli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi. Anche nel successivo provvedimento cautelare n. 1431 sempre del 30 ottobre 2014 il Tar Lombardia- Milano sez. II ha ribadito che “il prodotto ricorso pare fondato, apparendo dubbia l’applicazione nella specie dell’art. 50, 7° comma del D.lgs. 18.8.2000, n. 267 (cfr. sentenza del 7.4.2014, n. 913 di questa Sezione)”.

La sentenza da ultimo richiamata nel decreto cautelare del 30 ottobre u.s. sancisce un passaggio fondamentale. Nella pronuncia n. 913/14 il Collegio ha ben evidenziato che: “le Amministrazioni comunali possono regolare l’attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici mediante l’esercizio del potere previsto dall’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, graduando, in funzione della tutela dell’interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. Tuttavia, come osservato in diversi precedenti della Sezione, l’ampiezza di tale potere è stata oggetto di riforma…..”. Occorre, poi, considerare che l’art. 3 del D.L. 138/2011, convertito nella legge 148/2011, ha affermato, in tema di abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, il principio secondo cui“l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge”, derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), che nella specie non possono, presuntivamente, ritenersi incisi”.

Ed ancora “(…) la liberalizzazione degli orari non preclude all’Amministrazione comunale di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e/o della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica. Tuttavia, l’introduzione di limiti alla liberalizzazione è consentita dal Legislatore soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), i quali non possono, aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna, ritenersi incisi. Allorquando il Comune ritenga di dover “combattere” determinate situazioni di potenziale turbamento di specifici interessi pubblici degni di tutela, ha il potere di emanare specifiche ordinanze, ad effetti spaziali e temporali limitati”.

Però dette situazioni devono essere individuate ed inviduabili, non possono essere il prodotto di una campagna mediatica che in tempo di crisi è a caccia di streghe per non focalizzare l’attenzione sui problemi piu seri della nostra società. Per ciò infatti con la sentenza in esame il Collegio annullava l’ordinanza comunale per difetto d’istruttoria.

Sebbene il governo del Territorio lombardo si stia prodigando per emettere ordinanze restrittive contro l’industria sana dei giochi, la regione Lombardia, dopo l’exploit della Legge Regionale al primo anno di vita e della successiva delibera di fine gennaio 2013, sembra aver  intrapreso  una politica più  strutturata, introducendo il tema della formazione degli operatori del settore.

Nel corso della seduta n. 87 del 31 ottobre u.s. la Giunta della Regione Lombardia  in relazione alle “DISPOSIZIONI RELATIVE ALLE MODALITÀ DI FORMAZIONE DEI GESTORI DELLE SALE DA GIOCO E DEI LOCALI OVE SONO INSTALLATE LE APPARECCHIATURE PER IL GIOCO D’AZZARDO LECITO, IN ATTUAZIONE DELL’ART. 9, COMMA 1, DELLA L.R. 21 OTTOBRE 2013, N. 8”  ha approvato le disposizioni relative alle modalità di formazione dei gestori delle sale da gioco e dei  locali ove sono giocate sono installate “LE APPARECCHIATURE PER IL GIOCO D’AZZARDO LECITO, IN ATTUAZIONE DELL’ART. 9, COMMA 1, DELLA L.R. 21 OTTOBRE 2013, N. 8 (A SEGUITO DI PARERE DELLA COMMISSIONE CONSILIARE)”.

Certo qualcuno dovrebbe spiegare che cosa si intende con l’espressione gioco d’azzardo lecito (!) che sembra buttata lì per creare confusione. Il legislatore regionale dovrebbe essere più attento alle espressioni che utilizza nei propri atti (o forse lo è troppo?).  Ciò posto, si plaude all’iniziativa della Regione Lombardia che in questo modo riconosce legittimità alla rete legale (non d’azzardo) del gioco. In forza di questo intervento i gestori vecchi e nuovi di sale da gioco o di locali dove sono presenti apparecchiature per il “gioco d’azzardo lecito”, dovranno adeguarsi all’obbligo di formazione per gestire la relazione con la clientela a rischio ludopatia. Il costo a carico del singolo partecipante, per la frequenza del corso di formazione, non dovrebbe essere superiore a 100 euro. La formazione (ad evidenza pubblica), come chi scrive ha sempre sostenuto, è un atto dovuto per gli operatori del settore, che così si possono distinguere ulteriormente da coloro che raccolgono gioco senza alcun  onere ed obbligo.

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