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La Corte di Cassazione interpreta le pronunce della Corte di Giustizia

Si inizia da Palermo con il decreto del 17 maggio 2011 del Tribunale del capoluogo siciliano, che ha disposto il sequestro preventivo di un locale utilizzato come centro di scommesse, in relazione al reato di cui all’art. 4, comma 4bis, legge 13 dicembre 1989 n. 401, di esercizio abusivo della attività organizzativa per la raccolta delle scommesse sportive per conto di un allibratore straniero. Decisione impugnata, che ad un anno di distanza viene decisa dalla Corte di Cassazione, nella veste di giudice dell’appello per le misure cautelari.

La Corte Suprema, grazie al decreto del 17 maggio 2011, ha l’occasione di tornare ad affrontare il tema dei CTD, e lo fa individuando principi chiari, che si possono condividere o meno. In via preliminare la Cassazione rileva che “la non applicazione di una norma nazionale da parte del giudice è possibile soltanto allorchè si sia in presenza di un diretto contrasto tra una puntuale norma interna con un altrettanto puntuale precetto comunitario, che dovrebbe essere applicato al posto della norma interna incompatibile con esso”. Situazione che si verifica per la Suprema Corte quanto un principio generale del Trattato CE sia stato specificato e concretizzato da una decisione della Corte di Giustizia, assumendo così “la norma comunitaria carattere immediatamente precettivo, e dandosi pertanto luogo non ad un rapporto di conformità-non conformità ma di applicabilità –non applicabilità, in quanto l’applicazione di una norma esclude l’applicabilità dell’altra. Quando invece si sia in presenza di una situazione di non conformità della norma interna con principi generali dell’ordinamento comunitario, il giudice nazionale ha il dovere di operare una interpretazione conforme, ma se questa non è possibile il giudice non potrebbe far altro che eventualmente sollevare una questione pregiudiziale di interpretazione dinanzi alla Corte di giustizia o una questione di legittimità costituzionale per la indiretta violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.. Non si tratterebbe (….) di “non applicare” la norma italiana per applicare al suo posto la puntuale norma comunitaria incompatibile, bensì in sostanza di, per così dire “disapplicare” o “eliminare” la norma interna per la non conformità con un principio generale dell’ordinamento comunitario”.

Secondo i giudici di P.zza Cavour che evocano la sentenza Placanica, i principi generali posti dagli artt. 43 e 49 del Trattato CE risultano incompatibili con la norma incriminatrice nazionale – con conseguente obbligo del giudice di non applicazione – soltanto allorchè il soggetto svolga senza autorizzazione di pubblica sicurezza attività organizzata di intermediazione per l’accettazione e la raccolta di scommesse sportive in favore di un allibratore straniero che non abbia potuto ottenere in Italia le concessioni o le autorizzazioni richieste della normativa nazionale a causa del rifiuto dello Stato italiana di concederle loro in violazione del diritto comunitario. Lo stesso concetto viene ribadito sempre dalla Corte di Cassazione in un successivo passaggio della pronuncia in esame, laddove nel menzionare anche la sentenza della Corte di Giustizia 16 febbraio 2012, sostiene che lo Stato italiano non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione e autorizzazione di polizia a persone legate a un operatore che era stato escluso dalle gare pertinenti in violazioni del diritto dell’Unione. Questi passaggi della pronuncia in esame meritano particolare attenzione in quanto chi scrive ritiene che lo Stato italiano non abbia mai intenzionalmente rifiutato ed escluso alcuno dal rilascio di una concessione. I processi si sono svolti – vizio italiano – piu sui mass media che dinanzi ai giudici, e sono stati tutti processi all’intenzione.

L’operatore che si sente prima ed unica vittima del sistema concessorio non ha partecipato né al bando 2000 e né al successivo bando bersani; avrebbe infatti potuto partecipare ed impugnare i bandi – come del resto ha fatto per la concessione comunitaria – riconoscendo la legittimità del nostro sistema giuridico, per sanarne i vizi. Infatti il bookmaker d’oltralpe con i continui rimandi alla Corte di Giustizia, come osserva nella prima parte della sentenza in esame la Corte di Cassazione, ha di fatto aggirato le funzioni della Corte Costituzionale, la cui sfera di attribuzioni verrebbe in pratica svuotata se si ammettesse una sorta di controllo diffuso di compatibilità comunitaria. Si auspica quindi alla luce della recente novella (decreto legge n. 16/12 convertito con integrazioni e modificazioni nella legge n. 44/12) che invoca la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 16 febbraio 2012, che gli operatori che sono stati vittime delle precedenti gare prendano parte all’emanando bando di gara senza fare ed annunciare altri processi alle intenzioni che, in quanto tali, sono per definizione sterili e non produttivi.

L’articolo è stato pubblicato sul giornale bisettimanale “TS”

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