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Gli effetti devastanti di un diritto troppo perfetto

Settimana intensa quella che si è appena conclusa, quasi drammatica. Giudizi sui quali molti concessionari avevano basato la loro programmazione di business, si sono in parte conclusi con pronunce sicuramente destinate a produrre altro contenzioso e ad assorbire le pochissime risorse ed energie rimaste su impugnative e nuovi giudizi.

Ecco i dati: mercoledì 20 novembre 2013 è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 275/13 in tema di minimi garantiti, giovedì 21 novembre 2013 quella della Corte d’Appello di Roma relativa al c.d. lodo di Majo del 26 maggio 2003. Il Giudice delle Leggi con la prima pronuncia ha sancito che è “fondata la questione di costituzionalità”, accogliendo le richieste delle Società concessionarie e dello stesso Tar in veste di giudice a quo, in relazione all’art. 10, comma 5 del decreto legge n. 16/12 convertito con integrazione e modificazioni nella legge n. 44/12 (“Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”) “laddove si censura lo sbarramento del cinque per cento alla riduzione delle somme dovute dai concessionari, sbarramento su cui in realtà si incentrano le osservazioni del rimettente”. Come è noto il Tar Lazio, nel corso di questi ultimi cinque anni ha dichiarato le somme richieste da ADM a titolo dei minimi garantiti richiesti dal 2006 non esigibili, fino a quando l’Amministrazione non avesse adottato le c.d. “misure di salvaguardia” individuate nel decreto Bersani. Il Legislatore, giustificando l’intervento con legge-provvedimento con l’inerzia dell’Amministrazione (sic!) e seppur facendo confusione tra contenziosi, aveva individuato un’ipotesi di transazione, concedendo uno sconto del 5% agli operatori di gioco ai sensi di quanto previsto dall’art. 10, comma 5 del decreto legge n. 16/12 convertito con integrazione e modificazioni nella legge n. 44/12. Per la Corte Costituzionale, lo strumento della legge-provvedimento è di per sé legittimo: “Si tratta di una finalità di per sé non incongrua, ed anzi condivisibile, dal punto di vista sia dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate in questione, sia di quello privato dei concessionari, indubbiamente danneggiati dal prolungato stato di paralisi dell’azione amministrativa”. La norma controversa sarebbe dunque coerente con tali finalità. La Consulta ha invece censurato la misura individuata del 5%. Il quadro normativo infatti “evidenzia la irragionevolezza di questa parte della disposizione” rilevando a tal proposito che “Esiste (….) una evidente rottura della consequenzialità logica fra la pretesa di pervenire ad un equilibrato riassetto delle prestazioni economiche dei concessionari e la fissazione del tetto in modo apodittico, prescindendo cioè da quell’attenta e ponderata valutazione delle mutate circostanze di fatto (i pacifici minori introiti conseguenti all’evoluzione in senso concorrenziale del mercato delle scommesse ippiche), che costituiva la premessa indispensabile della determinazione delle modalità di salvaguardia e che rimane non meno indispensabile per l’applicazione del nuovo meccanismo di riequilibrio”. Secondo la Corte Costituzionale “non emergono le ragioni che inducono a ritenere il tetto congruente con l’obiettivo prefissato dallo stesso legislatore, e cioè – si ripete − la riconduzione ad equità dei rapporti concessori nel rispetto dei principi di efficienza ed economicità”. Ed ecco che le problematiche relative ai c.d. minimi garantiti tornano di nuovo attuali. Dovranno essere risolte, si auspica, senza che diventino il colpo di grazia per i concessionari di quella rete a terra già strangolata da decenni di mala gestio.

L’altra pronuncia, quella che forse il colpo di grazia lo dà proprio a tutto il mercato sano della media e piccola impresa, è quello relativa all’appello relativo al c.d. Lodo di Majo.

La Corte d’Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi su quel lodo, con pronuncia depositata lo scorso 21 novembre ne ha dichiarato la nullità “ravvisando la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”, in quanto – ritiene la Corte d’appello, richiamando sentenze della Corte di Cassazione anche a Sezioni Unite – le questioni trattate nel Lodo sono di competenza del Giudice Amministrativo, che deve essere chiamato a decidere ogni qualvolta si controverte di poteri discrezionali della P.A., limitando la giurisdizione ordinaria solo alle controversie di natura strettamente economica. “In altri termini, non si può escludere la giurisdizione amministrativa nel caso in esame, ove si controverte del contenuto della concessione in termini di garanzia di svolgimento dell’attività in regime di monopolio e dell’equilibrio contrattuale in relazione a prezzo della concessione (…..) ” (cfr pag. 17 della pronuncia in esame).

A nostro modesto avviso, quanto dichiarato dalla Corte d’Appello di Roma non è affatto condivisibile. Ma senza addentrarsi in disquisizioni giuridiche che necessitano altra sede, quello che la sentenza della Corte di Appello di Roma schiaffeggia e frustra è proprio il diritto nella sua accezione più ampia. E riproponendo quella contrapposizione tra giustizia ordinaria ed amministrativa che la Corte male interpreta, possiamo dire che sia l’interesse legittimo che il diritto soggettivo vengono qui ridotti a meri concetti astratti (quali invece non sono) da interpretazioni tardive e slegate dalla realtà. Perché per quanto se ne voglia o se ne vorrà nelle sedi opportune disquisire, l’effetto è che non è successo niente: abbiamo scherzato. I CTD non sono mai esistiti, la regolamentazione del settore era perfetta, la Corte di Giustizia non si è mai pronunciata. Con questa pronuncia la Corte d’Appello di Roma ignora (per questioni procedurali magari a ragione) i temi del lodo c.d. Di Majo che invece aveva ben evidenziato gli aspetti patologici della rete di raccolta. Sembra quasi che la giustizia per i concessionari non sia rinvenibile in questa vita, e che tra il mercato depresso e queste pronunce sterili, siano destinati a soccombere a favore di chi canalizza la raccolta di gioco in canali illeciti.

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