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La sentenza Placanica

Tanto se ne è parlato e discusso che il desiderio di vederlo dal vivo è più forte di quello di conoscere l’esito del giudizio. Parlo del signor Placanica infatti. Colui che, secondo le previsioni più accreditate, il prossimo 6 di marzo dovrebbe sconvolgere il sistema dei giochi di molti paesi europei, Italia compresa. Sarà conscio di questo il signor Placanica, o ignaro della responsabilità, starà ciondolando tranquillo per il suo paese? O avrà piuttosto concluso qualche interessante accordo di gestione di un punto di gioco, slot comprese? A pochi interessa l’uomo, a tutti il caso che ha suscitato. E il caso è giunto all’epilogo, quantomeno formale.

La prima lezione da apprendere è che il 6 marzo la sentenza sarà pubblicata, senza ritardi né rinvii, senza scampo. Ma come direbbero i nostrani, .. hanno detto il 6 marzo già da tempo.. è impossibile.. sarà una data indicativa.. e poi i giudici.. vedrai, andremo per le lunghe. Nossignore, esiste nel mondo reale il rispetto delle date stabilite, l’attenersi ai tempi previsti, anche per la giustizia. Altre lezioni vorremmo non doverle subire. Per questo si rende necessaria una gestione accorta dei contenziosi, a qualunque livello si svolgano, evitando difese raffazzonate e presunzioni di legittimità che restano in mente dei. Legittimità (ai sensi di normativa EU, si intenda) che peraltro sembrerebbe quanto meno raggiunta. Ed infatti, cosa andava cercando dalla Corte di Giustizia il signor Placanica, o meglio i Tribunali di Larino (che vedremo) e di Teramo? È semplice, veniva richiesto al Giudice europeo di valutare “se (gli artt. 43, primo comma, CE e 49, primo comma, CE) possano essere interpretati nel senso che sia possibile agli Stati membri derogare temporaneamente (per un tempo pari a 6 -12 anni) al regime di libertà di stabilimento e di libertà della prestazione di servizi nell’ambito dell’Unione Europea, legiferando nel seguente modo, senza determinare un “vulnus” dei richiamati principi comunitari: attribuendo ad alcuni soggetti concessioni per lo svolgimento di determinate attività di prestazione di servizi, valide per 6/12 anni, sulla base di un regime normativo che aveva portato ad escludere dalla gara di attribuzione talune tipologie di concorrenti (non italiani) ; modificando quel regime giuridico, non avendo preso atto successivamente della non conformità di esso ai principi di cui agli artt. 43 (CE) e 49 (CE), nel senso di consentire al futuro la partecipazione anche di quei soggetti che erano stati esclusi; non procedendo alla revoca delle concessioni rilasciate sulla base del precedente dettato normativo, come detto, ritenuto lesivo dei principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi e all’indizione di nuova gara in applicazione della nuova normativa, ora rispettosa di detti principi; continuando per contro a perseguire chiunque operi in collegamento con quei soggetti che, abilitati a tale attività nello Stato Membro di origine, erano stati esclusi dalla gara proprio a causa di quelle preclusioni contenute nelle precedenti previsioni normative, in seguito rimosse.

Questioni quindi assai rilevanti ma superate almeno in parte dall’applicazione effettiva dell’art. 38 della legge 4 agosto 2006 n. 248, che come è noto ha permesso nel pieno rispetto della normativa comunitaria ad operatori stranieri, titolari di una licenza del proprio paese d’origine, di partecipare alla gara, senza alcuna discriminazione. Al punto che altri Stati membri della UE stanno valutando l’adozione del “sistema Italiano” delle licenze a gara. Ciò non ostante, le conclusioni dell’avvocato generale (N. B. depositate il 16 maggio 2006) Dàmaso Ruiz-Jarabo Colomer sembrerebbero tuonare contro il sistema italiano. In realtà a ben guardare esse toccano dei punti irrisolti anche dalla c. d. Bersani, quando citano il contrasto tra “.. una normativa nazionale che vieta sanzionando con pene detentive fino a tre anni, di raccogliere accettare registrare e trasmettere scommesse senza concessione ne autorizzazione dello Stato membro di cui trattasi, per conto di un impresa alla quale non viene consentito di ottenere tale concessione o autorizzazione nel detto Stato, ma che possiede una licenza per fornirli, rilasciata da un altro stato membro, nel quale è stabilita.. ” E cioè, data per risolta la accessibilità alle autorizzazioni e/o concessioni (lo abbiamo detto alla Corte? Nei tempi previsti dalla procedura?) restano la sproporzione tra le pene della 401/89 e lo scopo prefisso, l’attendibilità dello scopo prefisso e – per soli giuristi – l’effetto controverso della esclusione dei giochi dalla direttive servizi e commercio elettronico. Ma quale sarà dunque la portata della decisione della Corte? Di certo si tratterà di una precisazione della Gambelli che ribadendo la prevalenza della norma comunitaria su quella nazionale, ne renderà più chiara l’applicazione. Di certo il giudice nazionale ne rimarrà l’interprete principale. Anche se ciò può apparire tranquillizzante, è bene ricordare che si tratta del titolare di uno dei tre poteri cardine dello Stato, il potere giudiziario, non soggetto ad alcuna forma di coercizione. Di certo il giudice nazionale potrà tenere in conto tutto quanto è avvenuto dopo e durante il caso Placanica. Di certo andranno rivisti i principi portanti della costruzione del sistema gioco per renderli omogenei ad una politica accettabile, in un contesto in cui è tale e tanta la buona volontà che non si riesce a spiegarla.

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