C G E: molto rumore per nulla
La sentenza sul caso Costa-Cifone non ha sconvolto, come temuto, il nostro sistema concessorio.
Alla fine dell’anno 999 d.C. si temeva che nel primo giorno del nuovo millennio il mondo terminasse. Nell’Apocalisse, Giovanni aveva scritto «l’angelo incatenò il dragone, il serpente, il diavolo, Satana, per mille anni; ma un giorno verrà liberato con conseguenze funeste per tutta l’umanità e il mondo intero» (capitolo XX). «Trascorsi i mille anni, Satana, verrà sciolto dalle sue catene e uscirà dalla prigionia per sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, e adunarle in una grande reciproca battaglia di morte e di distruzione». La credulità popolare venne portata a limiti estremi, e chi ne trasse beneficio furono i fanatici ed i diabolici. Individui i primi che odiano il mondo nel suo insieme e gioiscono nell’atterrire gli altri, mentre gli altri è dal terrore che seminano in giro che traggono proventi e ricchezze. Nell’anno mille non accadde nulla! Con lo stesso animo si è attesa la pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea relativa alle cause riunite Costa e Cifone (C-7210). In data 16 febbraio u.s. è stata pubblicata l’intera pronuncia, dove stavolta la Corte del Lussemburgo ha analizzato anche alcuni aspetti della gara indetta nel 2006 (c.d. bando Bersani). Anche qui non è accaduto nulla: il nostro sistema concessorio è ancora in piedi.
Prima di svolgere una breve analisi della sentenza, è bene fare ancora una volta (sic!) chiarezza sul ruolo dei giudici anche in ambito europeo. La Corte di Giustizia interpreta il diritto dell’UE affinché esso venga applicato allo stesso modo in tutti i Paesi membri. Non ha potestà normativa, ma come i nostri giudici interpreta il diritto. E’ questo un concetto fondamentale da metabolizzare: con la sentenza del 16 febbraio non è stata emanata una norma che abolisce il sistema concessorio italiano, del quale anzi risulta confermata la legittimità, piuttosto si sono date indicazioni riguardo a quei passaggi della nostra normativa – bando Bersani e relative norme ed atti di gara – che sembrerebbero in contrasto con i principi del Trattato U.E. Orbene, diamo comunque atto alla Corte che la chiarezza, la trasparenza e l’intelligibilità non sono le migliori caratteristiche della nostra normativa anche regolamentare in generale, ed in particolare di quella sui giochi.
Abbiamo anche avuto nel recente passato fatui roghi di norme in eccedenza in nome della semplificazione, ma la logica di fondo non è ancora cambiata. Bizantinismi intricati, rimandi, logiche nascoste. E’ qui, si spera, che incida fortemente il nuovo Governo. Ed ancora, la facoltà di manovra da parte dell’Amministrazione competente è sempre stata limitata sia dal confine dei propri poteri che dall’assetto del mercato interno, e da questo, tramite la politica, dal legislatore.
Uno straordinario esempio di come si debba diffidare di questa filiera è la recentissima sentenza della Corte dei Conti, che pone a carico dello Stato (nelle persone delle reti e dell’Amministrazione) quindi di se stessa, il costo presunto e poco realistico dell’aver regolamentato un settore grigio per decenni. Certo, di fronte a ciò, vince la logica del “meglio non fare”.
Ma torniamo alla sentenza Costa Cifone ed alle incompatibilità con il Trattato UE. Secondo i giudici europei «l’obbligo per i nuovi concessionari di insediarsi ad una distanza minima da quelli già esistenti, imposto dall’articolo 38, commi 2 e 4, del decreto Bersani, (…) ha come effetto di proteggere le posizioni commerciali acquisite dagli operatori già insediati a discapito dei nuovi concessionari, i quali sono costretti a stabilirsi in luoghi meno interessanti dal punto di vista commerciale rispetto a quelli occupati dai primi. Una misura siffatta implica dunque una discriminazione nei confronti degli operatori esclusi dalla gara del 1999(paragrafo 58 della pronuncia)». Se è vero che all’epoca del “bando Bersani” l’obbligo delle distanze era in vigore, è pur vero che con il successivo decreto legge n. 149 del 25 settembre 2008, convertito con modificazioni dalla legge 19 novembre 2008 n. 184 e successive modificazioni ed integrazioni, il vincolo delle distanze è stato abrogato. Dunque, “bocciati” per un principio esistente nel 2006, che sembrerebbe aver impedito solo ad alcuni bookmaker di partecipare al bando “Bersani”, ma dovremmo essere anche riabilitati per aver eliminato “motu proprio” un vincolo che avrebbe potuto ostacolare l’iniziativa economica nel settore della commercializzazione del gioco pubblico. Tant’è che con il successivo bando (c.d. Giorgetti), che non sembrerebbe essere oggetto di censure da parte
Numeri che, se debitamente esposti, avrebbero ben dimostrato come i costrutti euro-giuridici dei ricorrenti, accolti dalla Corte, sono smaccatamente smentiti dai fatti. A voler pensare male sembrerebbe che piuttosto che divenire operatori in Italia (e i CTD al di fuori delle regole operano e prolificano comunque da immemore tempo…) l’unico intento sia quello di distruggere il sistema concessorio, in assenza del quale si potrebbe operare senza regole, a danno dei consumatori. Stupisce peraltro l’atteggiamento della Corte, assai poco equidistante, ed assai meno che in casi simili e recenti come quello tedesco e austriaco. Insomma, un “dalli all’Italia!” che trascende anche le buone ragioni.
Ci si domanda poi se possa esistere – teoria fascinosa – un diritto europeo ad personam. Il rischio è che se esistono danneggiati dal bando del ’99 e da quello Bersani, potrebbero essere tutti coloro che non hanno potuto parteciparvi per le ragioni riassunte dalla Corte (punto 4 della sentenza). Nel primo caso dunque tutte le società – italiane o meno – che all’epoca presentavano assetti non rispondenti ai requisiti del bando, e nel secondo tutte quelle che avrebbero potuto subire un nocumento dal fatidico art. 23. L’altro aspetto interessante della sentenza è infatti il passaggio dove viene affrontata la problematica relativa all’art. 23, comma 2 lett. a), e comma 3, dello schema di convenzione Bersani. Secondo i giudici della Suprema Corte «sebbene il citato articolo 23 dello schema di convenzione preveda formalmente ipotesi di decadenza della concessione, tali ipotesi di decadenza costruiscono in pratica dei presupposti per ottenere una concessione, in quanto un operatore che non li soddisfacesse al momento del rilascio della concessione incorrerebbe immediatamente nella decadenza del titolo ottenuto (paragrafo 68)». Se è vero che, come sopra riportato, la formulazione dell’articolo ed il suo contesto – incluso il viscido scambio di corrispondenza con l’Amministrazione in vista della gara Bersani – non sono felici, non si può condividere appieno il punto di vista della Corte di Giustizia, che sembra fare un processo alle intenzioni. Chi avesse avuto timore dell’applicazione dell’articolo, avrebbe potuto infatti partecipare e impugnare poi i relativi atti accessivi al bando di gara, o i provvedimenti di decadenza eventualmente comminati, come hanno sempre fatto gli operatori che riconosco la legittimità del nostro Stato di diritto. A tal proposito giova rilevare che lo stesso bookmaker ha provveduto ad impugnare davanti al Tar Lazio anche gli atti di gara relativi alla concessione comunitaria (ex legge n. 88/09), ma in questa occasione in data 27 dicembre u.s. sembrerebbe aver presentato anche la domanda per ottenere la concessione per la commercializzazione dei giochi pubblici online. Allora dovremmo dedurne che una sorta di attrattiva – oltre a quella conclamata commerciale – il nostro sistema la esercita. E’ necessario ora ristabilire la sovranità del nostro Stato di diritto. Del resto è la stessa Corte che riguardo l’art. 23 dello schema di convenzione ribadisce: «Non vi è dubbio che l’interpretazione delle disposizioni di diritto nazionale spetti, nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’art. 267 TFUE, ai giudici nazionali e non alla Corte (paragrafo 89)». E proprio ora si presenta l’occasione per rendere giustizia al sistema, con la coincidenza tra scadenza delle fatidiche concessioni del 2000 e nuovo bando di gara di cui all’art. 24 del decreto legge n. 98/11 convertito con integrazioni e modificazioni nella legge n. 111/11, da emanare entro il prossimo 30 giugno. Sarà necessario procedere con coraggio e determinazione, attenendosi anche alle indicazioni della Corte di Giustizia europea, per riportare un po’ di ordine e chiarezza, e pensare di costruire il modello esemplare del sistema concessorio per il gioco a terra, che possa essere ancora una volta di esempio in tutta l’Europa.
* Avvocato del Foro di Roma esperto di sportsbetting, e docente universitario in Diritto dell’Informatica
L’articolo è stato pubblicato sul giornale bisettimanale ”TS”