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La conversione della legge "di stabilità"

La scorsa settimana si è chiusa con l’approvazione alla Camera dei Deputati (con 303 voti favorevoli e 250 contrari) del Ddl c.d. di “Stabilità”, nel quale, come è noto, sono compresi alcuni rilevanti provvedimenti sul settore dei giochi. Gli ulteriori emendamenti riguardo il gaming al maxi correttivo governativo sono stati respinti dall’Aula.

Nell’altro ramo del Parlamento la discussione dovrebbe riprendere questa settimana. Il testo, considerato che dovrebbe essere convertito entro e non oltre il prossimo 10 dicembre p. v., non dovrebbe subire ulteriori modifiche. Sembrerebbe che la lotta al gioco illegale sia il filo conduttore del pacchetto giochi (“Al fine di rendere più efficace ed efficiente l’azione di contrasto ai gioco gestito e praticato in forme, modalità e termini diversi da quelli propri del gioco lecito e sicuro, in funzione dei monopolio statale in materia di giochi di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, nonché l’azione di tutela dei consumatori, in particolare minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta al gioco minorile ed alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi, garantendo altresì maggiore effettività al principio di lealtà fiscale nei settore dei gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione ed evasione fiscale nel medesimo settore, sono apportate le modificazioni di cui al presente articolo”) e di questo possiamo solo gioire (sperando che invece non lo sia solo per gli strepiti di qualche male informato in cerca di visibilità, o per conseguenza di lotte politiche intestine).
Di seguito quelli che dovrebbero i punti di svolta della emananda legge di stabilità.

Si inizia dalla rivisitazione dell’imposta unica, e del soggetto passivo che la deve versare. Ed infatti ” l’articolo 1 del decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”. Inoltre nel caso in cui “l’attività è gestita per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”. Si evince quindi che saranno sottoposti a tassazione anche i CTD che dovrebbe essere puniti “con la sanzione amministrativa dal 120 al 240% della maggior imposta e se la base imponibile sottratta è superiore a 50.000 euro, anche con la chiusura dell’esercizio da uno a sei mesi”. Chissà se dopo l’acclarata elusione del fisco i CTD riusciranno a stare chiusi qualche giorno, visto e considerato che con la sola elusione della norma penale (id est legge n. 401/89) non si è riusciti a canalizzarne il gioco in circuiti leciti. Il principio è chiaro, ma a nostro avviso male espresso. Colpire le tasche dell’illegalità è sacrosanto ed efficace, ma immaginiamo di sequestrare beni alle mafie e non perseguirle per i reati commessi: strano no? Anzi, assurdo. Per anni abbiamo assistito – inermi ma battaglieri – al prolificare di punti che, privi di concessioni hanno falsato il mercato a danno dei consumatori e degli operatori legittimi. Se i CTD saranno sottoposti al pagamento dell’imposta unica e – secondo l’altra assurda proposta di modifica di legge della Commissione Antimafia – potranno anche essere titolari della licenza ex art. 88 TULPS, gli attuali concessionari potrebbero ben lamentare una disparità di trattamento, visto e considerato che oltre l’imposta unica sono sottoposti anche ad altri oneri (si pensi al canone di concessione) ; ecco perché per lo meno quanto a questa previsione – se non corretta debitamente ed integrata – si rischia che la c. d. legge di stabilità diventi fonte di instabilità. Sempre per fare cassa, i concessionari di scommesse sportive a quota fissa a partire dal 2011 “che abbiano conseguito” percentuali “di restituzione in vincite inferiori all’80% sono tenuti a versare all’erario il 20% della differenza lorda così maturata secondo modalità definite con provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”. Un limite al guadagno quindi (“ma le banche e le assicurazioni ce lo hanno? ” hanno commentato alcuni operatori). Vengono poi “introdotte e disciplinate nuove tipologie di giochi e, ove necessario, conseguentemente avviate le procedure amministrative occorrenti alloro affidamento in concessione”.
Nel progetto di legge c’è posto anche per il restyling della figura del concessionario, che dovrà avere tra l’altro anche i seguenti requisiti:

  1. Costituzione in forma giuridica di società di capitali, con sede legale in Italia ovvero in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, anteriormente ai rilascio della concessione ed alla sottoscrizione della relativa convenzione accessiva
  2. Esercizio dell’attività di gestione e di raccolta non a distanza di giochi in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi sede legale ovvero operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell’ordinamento di tale Stato, con un fatturato complessivo, ricavato da tale attività, non inferiore, nel corso degli ultimi due esercizi chiusi anteriormente alla data di presentazione della domanda, all’importo di 2 milioni di euro
  3. Possesso di una capacità tecnico-infrastrutturale, non inferiore a quella richiesta, in sede di gara, dal capitolato tecnico, comprovata da relazione tecnica sottoscritta da soggetto indipendente, nonché rilascio all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di una garanzia bancaria ovvero assicurativa, a prima richiesta e di durata biennale, di importo non inferiore a 1,5 milioni di euro
  4. Possesso di adeguati requisiti di solidità patrimoniale, come individuati con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze

Sono altresì previsti nuovi obblighi in capo ai nuovi e vecchi concessionari “(…) immediata ed integrale ricostituzione del capitale sociale nei casi di riduzione del medesimo, ovvero suo aumento, su motivata richiesta dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nel caso in cui lo sviluppo delle attività e funzioni in concessione lo richieda; (…) mantenimento per l’intera durata della concessione del rapporto di indebitamento entro un valore non superiore a quello stabilito con interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze; (…..) consegna all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, entro e non oltre quindici giorni dalla loro approvazione, del bilancio d’esercizio e delle rendicontazioni contabili trimestrali, relative alla società concessionaria e a quella di suo controllo, necessariamente accompagnate da apposita relazione di certificazione redatta da una primaria società di revisione contabile; (….) sottoposizione ad autorizzazione preventiva dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, a pena di decadenza dalla concessione, delle operazioni che implicano mutamenti soggettivi del concessionario, intendendosi per modifiche soggettive riguardanti il concessionario ogni operazione, posta in essere dal concessionario, di fusione, scissione, trasferimento dell’azienda, mutamento di sede sociale o di oggetto sociale, scioglimento della società, escluse tuttavia quelle di vendita e/o di collocamento delle azioni del concessionario presso un mercato borsistico regolamentato; (…) sottoposizione ad autorizzazione preventiva dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato delle operazioni di trasferimento delle partecipazioni, anche di controllo, detenute dal concessionario suscettibili di comportare, nell’esercizio in cui si perfeziona l’operazione, una riduzione dell’indice di solidità patrimoniale determinato con interdirigenziale dei Ministero dell’economia e delle finanze, fermo l’obbligo dei concessionario, in tali casi, di riequilibrare, a pena di decadenza, il predetto indice, mediante aumenti di capitale ovvero altri strumenti od operazioni volte ai ripristino dell’indice medesimo 6 mesi dalla data di approvazione dei bilancio; “ed inoltre “(….) mantenimento del controllo, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, del concessionario sempre in capo ad un soggetto che abbia i requisiti e assuma gli obblighi seguenti:

  • patrimonializzazione idonea e cioè che il soggetto abbia un patrimonio netto, risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio approvato e certificato, almeno pari all’importo determinato con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze per ogni punto percentuale di partecipazione nel capitale dei concessionario;
  • sede sociale, o residenza in caso di persona fisica, in un Paese non incluso nelle liste dei Paesi a regime fiscale privilegiato individuati ai sensi degli articoli 110 e 167 dei testo unico sulle imposte dirette;
  • se in Italia all’atto dell’aggiudicazione della concessione, assicurare il mantenimento nei territorio, anche a fini fiscali, della sede dei concessionario, nonché il mantenimento nel medesimo territorio delle competenze tecnico-organizzative dei concessionario, impegnandosi formalmente ad assicurare al concessionario i mezzi occorrenti per far fronte agli obblighi derivanti dalla convenzione di concessione e dagli atti ad essa allegati, agendo a tal fine al meglio delle proprie possibilità.

La prima riflessione spontanea è questa: quale è dunque il limite tra pubblico e privato nella disciplina relativa agli operatori di gioco? Fin dove si può spingere l’ingerenza dello Stato?
Abbiamo sempre sostenuto la titolarità dell’esercizio dei giochi – che non a caso abbiamo anche definito “pubblici” – in capo allo Stato per mezzo delle concessioni. Allo stesso tempo, l’evoluzione di un mercato del gioco richiede forse una attenzione maggiore a pesi e misure, pur mantenendo al primo posto la tutela del cittadino e la lotta all’illegalità. Ricordiamo che il reato è un fatto umano, commissivo o omissivo, al quale l’ordinamento giuridico ricollega una sanzione penale in ragione del fatto che tale comportamento sia stato definito come antigiuridico in quanto costituisce un’offesa ad un bene giuridico o un insieme di beni giuridici (che possono essere beni di natura patrimoniale o anche non patrimoniali) tutelati dall’ordinamento da una apposita norma incriminatrice. Rientra, quindi, nella più ampia categoria dell’illecito. Il paradosso è che si caricano i concessionari di oneri, che per alcune delle citate previsioni avevamo noi stessi auspicato da tempo (vedi ad es la costituzione di riserve tecniche, similari a quellle stabilite per le imprese di assicurazione) mentre si legittima l’attività di coloro che operano senza concessione, e quindi commettono un reato. Peraltro in barba a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea con giurisprudenza costante nelle ultime sentenze. Ma di questo ci riserviamo di scrivere separatamente, dato che il tema lo merita.

L’articolo è stato pubblicato sul giornale bisettimanale “TS”.

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