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Analisi della pronuncia della Corte Costituzionale in tema di giochi e scommesse

La Corte Costituzionale con la recentissima pronuncia n.300 del 9 novembre 2011 è stata chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 22 novembre 2010 n. 13 (Disposizioni in materia di gioco lecito) promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 gennaio 2011.

La norma provinciale, oggetto della contesa, prevede anche che: “1. Per ragioni di tutela di determinate categorie di persone e per prevenire il vizio del gioco, l’autorizzazione di cui all’articolo 1, comma 2, per l’esercizio di sale da giochi e d’attrazione non può essere concessa ove le stesse siano ubicate in un raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio assistenziale. L’autorizzazione viene concessa per 5 anni e ne può essere chiesto il rinnovo dopo la scadenza. Per le autorizzazioni esistenti il termine di 5 anni con decorrenza dal 1° gennaio 2011 (…..). E’ vietata qualsiasi attività pubblicitaria relativa all’apertura o all’esercizio di sale da giochi o di attrazione”. Viene poi riconosciuta in capo alla Giunta provinciale la possibilità di individuare “altri luoghi sensibili, in cui i giochi non possono essere messi a disposizione”. Parte ricorrente, id est la Presidenza del Consiglio, nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità costituzionale rilevava che la norma richiamata eccedeva la competenza legislativa della Provincia autonoma di Bolzano, invadendo per l’effetto la competenza statale. Ed infatti, la difesa della Presidenza del Consiglio ribadiva che il ruolo dello Stato risultava confermato dal riparto di competenze sancito dall’art. 117 Cost.: la disciplina del gioco lecito doveva essere ricondotta alla materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, riservata alla Stato, poiché attraverso il controllo del gioco lecito lo Stato poteva evitare il riciclaggio di denaro di illecita provenienza, il ricorso a forme di violenza nei confronti dei giocatori insolventi e l’incremento di patrimoni della malativa organizzata.

Con la pronuncia pubblicata lo scorso 9 novembre u.s. la Consulta respingeva il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio in quanto secondo la Corte Costituzionale la normativa della Provincia autonoma di Bolzano in esame non era riconducibile alla competenza legislativa statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. Gli interessi pubblici primari tutelati dalla menzionata Provincia autonoma erano gli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile (secondo la Corte e infatti “le disposizioni censurate hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti ”). In caso contrario, secondo la Corte “si produrrebbe una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, tale da porre in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con l’affermazione di una preminente competenza statale. (…….) La semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale. (….) Le disposizioni impugnate, infatti, non incidono direttamente sull’individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e quindi maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni, dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate ”.

La parte motiva della pronuncia in esame offre sicuramente degli spunti interessanti. Per la prima volta un ente territoriale, sebbene con caratteristiche particolari in virtù dell’autonomia costituzionalmente riconosciutagli, interviene a regolamentare il settore dei giochi pubblici incidendo su alcuni importanti principi cardine del comparto e ponendo, sotto altro profilo, l’accento su questioni che il Legislatore ha già ben evidenziato.

Riguardo il primo rilievo si evidenzia quanto segue.

Secondo la norma della Provincia autonoma “E’ vietata qualsiasi attività pubblicitaria relativa all’apertura o all’esercizio di sale giochi e di attrazione”. Nel nostro Paese è vietata la pubblicità degli operatori di gioco privi di regolare concessione ex legge n. 401/89, mentre le società titolari di regolare concessione, possono fare la pubblicità dei loro prodotti senza per questo incorrere in sanzioni, se non in infrazione del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. Se la norma della Provincia rimanesse invariata, si corre il rischio di stravolgere il concetto, e sotto questo aspetto di equiparare le società regolari agli operatori privi di licenza. Se è vero che è necessario tutelare le fasce della popolazione c.d. “più deboli”, è altresì vero che esistono già, ed a livello nazionale, gli strumenti giuridici per tutelarle. Ed infatti, da qui il secondo rilievo, secondo il legislatore della Provincia di Bolzano “l’esercente deve prestare idonee garanzie affinché sia impedito l’accesso ai minorenni a giochi vietati ai minorenni ai sensi del Testo unico della leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773 e successive modifiche”.

Orbene, questo inciso poteva anche essere omesso in quanto l’art. 24 del decreto legge n. 98/11, convertito con integrazioni e modificazioni nella legge n. 111/11, prevede espressamente che “E’ vietato consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di anni diciotto.”, ed ancora “Il titolare dell’esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori di anni diciotto e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinque mila a euro venti mila. Indipendentemente dalla sanzione amministrativa pecuniaria e anche nel caso di pagamento in misura ridotta della stessa, la violazione prevista dal presente comma e’ punita con la chiusura dell’esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da dieci fino a trenta giorni; ai fini di cui al presente comma, il titolare dell’esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco, all’interno dei predetti esercizi, identifica i giocatori mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento”. La norma della provincia autonoma ribadisce un principio già contenuto in una norma primaria, ultroneo secondo il punto di vista di chi scrive, e non certo di pronta soluzione. Peraltro, una frammentazione normativa – pur riconoscendo le prerogative delle Autonomie locali – è null’altro che un pericolo per l’intera comunità: immaginiamo infatti che una provincia o meglio una regione, si arroghi il diritto di misurare la tutela da dare ai propri cittadini, creando un effetto comparativo deleterio ed una delegittimazione dello Stato. Da qui alla discriminazione, il passo è breve.

L’articolo è stato pubblicato sul bisettimanale “TS”.

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