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Il qualunquismo del caso Piemonte

La legge regionale del Piemonte n. 9/2016, a far data dal 20 novembre prossimo, ha imposto la rimozione di tutte le slot installate negli esercizi commerciali, tra cui le tabaccherie, ubicate in prossimità dei luoghi sensibili quali scuole, ospedali, luoghi di culto e centri di aggregazione in generale.

Ecco gli effetti di questa scellerata normativa: 10.000 posti di lavoro a rischio, aumento dell’IVA nei prossimi anni, reintroduzione della tassa sulla prima casa, ticket ospedaliero. Quindi le conseguenze dell’entrata in vigore della Legge Regionale piemontese andranno a gravare solo sull’utente finale: il cittadino ed il consumatore (cioè tutti gli italiani).

Le associazioni di categoria stanno annunciando battaglie giudiziarie, legittime e dovute, visto e considerato che il governo della Regione Piemontese non sembra avere alcuna intenzione di tornare sui propri passi, proclamandosi – nella migliore tradizione degli ottusi e dei politicanti di mezza tacca – convinto delle sue ragioni. Altro effetto giuridicamente imbarazzante – che mina quel poco di credibilità rimasta nelle nostre istituzioni – dell’entrata in vigore della legge regionale del Piemonte è quello di rimettere in discussione i termini dell’accordo firmato lo scorso 7 settembre in Conferenza unificata tra Governo, Regioni ed enti locali, che doveva essere tradotto in un decreto attuativo del Ministero dell’Economia entro la fine di ottobre.

La drammaticità di questa Legge Regionale è nella linea proibizionista, che è stata sposata senza diritto di replica. Il governo centrale avrebbe dovuto dare un segnale chiaro ed impugnare la Legge n. 9/2016; ma forse, senza che ciò valga giustificazione, lo scorso anno con il precedente governo si era convinti di portare a casa l’accordo Stato-Regioni a stretto giro, quindi il ricorso avverso la Legge Piemonte poteva risultare scomodo. Purtroppo i vertici della Regione Piemonte non si rendono conto che con queste modalità si creano esclusivamente effetti nefasti: 1) si alimenta il mercato illegale del gioco, 2) i piemontesi andranno a giocare nelle Regioni limitrofe a danno dell’economia locale (il c.d. effetto a macchia di leopardo, ben conosciuto a Napoli e nei comuni limitrofi); 3) si cancellano posti di lavoro e redditi di intere famiglie; 4) si perdono rilevanti entrate erariali nazionali; 5) NON si ottiene alcun beneficio in termini di salute; 6) si delegittima il Governo centrale (e questo sembra lo scopo principale.); 7) si delegittima se stessi, in quanto firmatari dell’Accordo del 7 settembre.

Che ne è quindi del presupposto che ha portato, dopo un lungo e proficuo percorso di dialogo e confronto con Regioni ed enti locali, all’intesa per il riordino del gioco pubblico? E’ bene ricordare alcuni dei punti fondamentali dell’accordo Stato-Regioni: 1) dimezzamento, in tre anni, dei punti gioco, dagli attuali 98mila a circa 50mila; 2) introduzione della tessera sanitaria per giocare e accesso selettivo ai punti di gioco per la tutela dei minori; 3) riduzione da 500 a 100 euro del taglio di banconote che possono essere immesse nelle Vlt; 4) innalzamento dei sistemi di controllo; 5) costante monitoraggio dell’applicazione della riforma, anche attraverso una banca dati gratuita sull’andamento del volume di gioco e sulla sua distribuzione nel territorio, alla quale possono accedere i Comuni. Sicuramente l’intesa potrà essere perfezionata, soprattutto in alcuni passaggi come quello che prevede la riduzione radicale dei punti di vendita. Profilo per il quale si rischia che il mercato illegale ne approfitti. Altro aspetto fondamentale è la necessità di una forte collaborazione tra il governo centrale e quello del territorio. La Regione Piemonte, storicamente e politicamente sempre vicina al governo centrale, sembra aver disconosciuto l’accordo sottoscritto anche con il loro placet. A questo punto sarà necessario che il regolamento del MEF, che va a recepire l’accordo del 7 settembre u.s., faccia in modo che la condotta dalla Regione Piemonte sia sconfessata.

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