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L’equivoco

La scelta del titolo di un articolo di giornale è spesso dettata da necessità attrattive e di estrema sintesi. Niente di più vero e di più falso nel nostro caso. Qui il tema è vitale per il futuro del settore scommesse, e questo titolo è il risultato di un ragionamento tecnico, giuridico e di mercato.

L’equivoco infatti nasce da una circolare AAMS – quella famigerata dell’11 aprile 2005 -, dalla furba interpretazione ed attuazione che ne è stata data da operatori e pseudo tali, e dalla cecità che che ha colpito tutti, politici, amministrazione, concessionari grandi e piccoli, e furbi stessi. Si è infatti equivocato su cosa fosse necessario, anzi fondamentale per il buon esito del mercato delle scommesse, ritenendo da parte di molti che la raccolta telematica fosse l’eldorado, e di molti altri che fosse il male assoluto da estirpare ad ogni costo. Innescando così un processo esagerato, costoso, faticoso ed inutile, fatto di clamorose proteste, di lobby spudorata, di sovraccarico di norme e di pressione sulle forze dell’ordine, per reprimere ciò che sotto la forma più naturale e semplice era voluto da tutti: la diffusione sul territorio della raccolta di scommesse nella sua forma originale. Molti più negozi cioè (agenzie, sportelli, punti di raccolta, di vendita, corners e come altro accidenti si voglia chiamarli). Invece, tenendo fede alla latente propensione all’intrigo, si è preferito inventare autorizzare e combattere delle finte agenzie, nuocendo così a tutti, ma in primo luogo al cittadino utente.

A ben guardare però il legislatore (quello vero, non quello improvvisato “da finanziaria”) ci aveva visto lungo. Dapprima stabilisce il riordino del settore, con l’ipotesi di una gara pubblica europea (alla faccia di Bruxelles) per l’estensione dei punti di raccolta a circa quattromila. Ipotesi temuta e deprecata, tanto da suscitare un lungo ed aspro dibattito in tutte le sedi. Comunque un dibattito, che approda nell’art. 11 quinquiesdecies del legge n. 248/0 – decreto fiscale – con la previsione che ciascun concessionario, per l’esercizio delle scommesse ippiche e sportive, potesse esercitare “la propria attività anche mediante l’apertura di tre sportelli distaccati, presso sedi diverse dai locali nei quali già si effettua la raccolta delle scommesse, ma comunque ubicati nella stessa regione, da attivare entro il 31 marzo 2006 e fino all’operatività del riordino delle scommesse sportive di cui all’articolo 1, comma 286 e 287 della legge n. 311 del 30 dicembre 2004″. Un risultato logico, riduttivo ma accettabile e logico. Interviene però a meno di due settimane di distanza l’altro legislatore, al quale cade dalla mano un’apparente negatoria che finisce in mezzo alle stesse identiche parole del citato articolo. Ed infatti l’art. 1, comma 425 della legge n. 266/05 – legge finanziaria – recita: “Ciascun affidatario delle concessioni previste dal regolamento di cui al D. P.R. n. 169/98 o dal regolamento di cui al Decreto del Ministero delle Finanze n. 174 del 2 giugno 1998 non può esercitare la propria attività mediante l’apertura di sportelli distaccati presso sedi diverse dai locali nei quali si effettua la raccolta delle scommesse”. Gli sportelli, “leciti” per venti giorni, sembrano non esserlo più! Il rapporto tra le due norme (legge finanziaria e decreto fiscale) è fonte di numerose interpretazioni. Ma questo non è tema da giornali.

Resta l’equivoco: che senso ha negare ad un mercato ed ai suoi attori che lo chiedono, quella legittima espansione a copertura del territorio? Che senso ha dapprima ignorare miriadi di agenzie di fatto, alcune del tutto illecite ed altre in bilico, per poi partire lancia in resta a combattere i siti non autorizzati? Se prolifera l’equivoco e con esso migliaia di internet point con clienti che fanno la fila per effettuare lì le loro scommesse, è così difficile capire cosa vuole la gente? Questo dovrebbe essere lo scopo dell’imprenditore, e il primo imprenditore del gioco in Italia è lo Stato, che è anche controllore e garante di questa attività. E proprio nella sua funzione di garante che lo Stato deve controllare il territorio e presidiarlo, non certo tollerare il caos per poi reprimerne solo una conseguenza. Ma il legislatore lungimirante non demorde. Nel decreto n. 111/06 che ha previsto il riordino delle scommesse su eventi sportivi e su eventi non sportivi, viene definito il luogo di vendita, erede legittimo dello sportello, che a norma dell’art. 1, comma 2 lett. i), è “il punto di vendita autorizzato alla raccolta, in possesso dei requisiti stabiliti con provvedimenti di AAMS e della licenza di polizia rilasciata dall’Autorità di pubblica sicurezza, di cui all’articolo 88 del R. D. del 18 giugno 1931 n. 773; il luogo di vendita gestisce il rapporto con il partecipante, effettua le scommesse sui terminali di gioco e paga le vincite”. Sono evidenti le analogie tra gli sportelli ed i luoghi di vendita: in entrambi, vere e proprie succursali dell’agenzia principale a servizio del territorio, si possono raccogliere scommesse. Da mero analista del settore ritengo comunque che la prima intuizione del legislatore sia ottimale: in attesa del riordino delle scommesse, preannunciato con la finanziaria 2005, i concessionari per la raccolta delle scommesse sportive in via sperimentale organizzano l’apertura di tre sportelli all’interno della propria regione. L’attuazione della norma, ancora ipotizzabile o quantomeno verosimile, potrebbe costituire un punto di svolta, un’ottima palestra dalla quale trarre esperienza per tutti, istituzioni e addetti ai lavori.

Conclusa la fase meramente sperimentale si potrebbe pensare ad un definito regolamento di attuazione, peraltro già in parte previsto dallo stesso decreto n. 111/06. In ogni caso non bisogna aspettare altro tempo. Telematico, Tv interattiva, telefonia mobile, sono tutti benvenuti e sacrosanti mezzi di distribuzione e diffusione di prodotti e servizi. Così come lo è la vendita diretta. Ognuno di essi vive la propria realtà ed ha nel consumatore il giudice del proprio successo, ma la concorrenza si fa stando all’interno del mercato e non fuori, sotto l’ombrello di inutili norme protezionistiche, che oramai in una Europa sempre più allargata possono apparire anacronistiche e desuete.

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