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Il contrasto al gioco legale

Lo scorso 16 e il 17 gennaio si è svolta a Roma la quarta riunione informale dei regolatori europei del gioco d’azzardo. I regolatori di Francia, Germania, Italia, Portogallo Spagna e Regno Unito hanno organizzato questo incontro per una migliore condivisione delle informazioni, anche al fine di sottoporre eventuali nuovi temi alla Commissione Europea. Tra i rappresentanti degli Stati membri è stato rilevato che in Italia il gioco pubblico legalizzato è sottoposto quotidianamente ad una campagna oltremodo denigratoria da parte della politica e della stampa. Questo, a parte il Regno Unito nell’ambito della sua tradizione liberal-democratica, non accade negli altri Stati membri, dove al gioco viene dato il giusto contesto e valore.

Data la premessa, non c’è da stupirsi se anche i TAR nazionali, i cui collegi giudicanti sono composti da uomini, abbiano subito l’influenza della campagna denigratoria contro il settore del gaming italiano (tra l’altro un settore tra i pochissimi che ancora garantiscono posti di lavoro in Italia). Oramai i Tribunali amministrativi regionali, influenzati oltre che dai media dai vari regolamenti comunali e leggi regionali, che hanno come unico obiettivo la demolizione dell’industria del settore del gioco (forse perché non partecipano al supposto guadagno, si chiedono in molti…), non riescono ad astenersi dall’emettere sentenze e pronunce che hanno evidenti lacune giuridiche e sembrano piuttosto proclami politici. Ricorda per certi versi l’epoca della peste a Milano, mirabilmente descritta nelle pagine del Manzoni, quando i giudizi penali contro i presunti untori non potevano terminare con una sentenza di assoluzione: la condanna era già scritta per accontentare il popolo e liberarsi le coscienze. Come se la condanna degli untori potesse sconfiggere la peste ed esentare chi veramente aveva le colpe del diffondersi dell’epidemia. E come se ai nostri giorni abolire il gioco in Italia potesse garantire la rinascita economica del Paese. Nell’esaminare le recenti pronunce amministrative, non si può non citare il Tar Lombardia, sez. Milano, che con ordinanza del 13 gennaio u.s. ha ritenuto che l’Amministrazione, nel caso di specie il Sindaco del Comune di Lecco, avesse il potere di disciplinare l’orario degli esercizi commerciali anche in relazione alle sale da gioco, per tutelare la salute pubblica dei cittadini, ai sensi dell’art. 50, co. 7, d.lgs. 267/2000.

In quanto, precisa il Tar, “la disciplina in tema di sale da gioco non ha, quindi, nulla a che vedere con l’ordine pubblico, in quanto gli apparecchi da gioco sono considerati esclusivamente nel loro aspetto negativo di strumenti di grave pericolo per la salute individuale e il benessere psichico e socio-economico della popolazione locale”. Ci domandiamo dunque se competa ad un collegio del Tar – invece di applicare il diritto – stabilire ciò che nuoce al benessere psichico e socio-economico della popolazione, sostituendosi (ancora una volta..) ai soggetti all’uopo titolati a condurre tali indagini di natura psico-sociale. Quanto agli enti territoriali poi, si è ripetuto fino alla noia che Comuni e Regioni non possono normare su un settore coperto da riserva di legge ai sensi dell’art. 117 della Carta Costituzionale. Nella sentenza n. 184 [recte: 185] del 2004, la Corte Costituzionale ha affermato che le fattispecie penali di cui agli artt. 718 e seguenti del cod. pen. – che puniscono l’esercizio del gioco d’azzardo – rispondono «all’interesse della collettività a veder tutelati la sicurezza e l’ordine pubblico in presenza di un fenomeno che si presta a fornire l’habitat ad attività criminali». Nella successiva sentenza n. 237 del 2006, la Corte ha poi chiarito che anche le modalità di installazione e uso dei giochi leciti attengono alla «materia ordine pubblico e sicurezza», non potendo tale materia ritenersi comprensiva della sola disciplina dei giochi d’azzardo.

Nel ribadire quest’ultimo enunciato, la sentenza n. 72 del 2010 ha evidenziato come esso si giustifichi alla luce tanto dei «caratteri comuni dei giochi – aleatorietà e possibilità di vincite in denaro – cui si riconnette un disvalore sociale», quanto della «conseguente forte capacità di attrazione e concentrazione di utenti» e della «probabilità altrettanto elevata di usi illegali degli apparecchi impiegati per lo svolgimento degli stessi anche nel caso dei giochi leciti». La medesima sentenza ha inoltre precisato che «rispetto alle finalità di tutela dell’interesse pubblico ad una regolare e civile convivenza perseguite dal legislatore statale, il luogo o il locale in cui si sono realizzati certi comportamenti (installazione ed uso di apparecchi da gioco) è solo un elemento fattuale che non può spostare l’ordine delle competenze». La riserva statale in materia di disciplina del gioco lecito, riconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale, riguarderebbe d’altro canto, tutte le «offerte di gioco», tanto se effettuate tramite i tradizionali canali distributivi presenti sul territorio (ossia mediante le «reti fisiche»), quanto se operate con i nuovi canali di diffusione «da remoto», come appunto la rete Internet. E’ di palmare evidenza che in questo contesto tutte le disposizioni regionali e comunali si pongono in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., sia perché gli interventi con esse operati si riferiscono espressamente alla materia dei «giochi leciti», attratta alla competenza legislativa statale, sia perché introdurrebbero limiti ed ostacoli alla diffusione capillare del gioco lecito statale, diffusione conforme all’esigenza di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza. E’ necessario quindi che al più presto siano ripristinate le competenze altrimenti andiamo incontro al caos, che non produce certezze e non realizza progetti, finalità che in un Paese civile dovrebbero essere la priorità assoluta.

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