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Liquidità degli skill games

Nel 2007 i giochi pubblici hanno fatto registrare una raccolta di 42,2 miliardi di euro (pari al 2% del Pil), con un incremento, rispetto al 2006, del +19,7%. Le entrate erariali derivanti dai giochi, secondo fonti dell’Amministrazione, si sono attestate a 7,2 miliardi di euro (+ 7,1% rispetto al 2006). Con l’introduzione degli skill games il mercato del gaming italiano, completando l’offerta, potrebbe decollare.

Secondo ComScore, Società all’avanguardia nella misurazione dei dati nel mondo digitale, il numero di visitatori sui siti che offrono skill games ha raggiunto quasi 217 milioni in tutto il mondo con una crescita annuale del 17 %, oltre un quarto della popolazione mondiale dell’internet. La crescita degli operatori italiani, che sempre più cercano e trovano accordi con compagnie estere, unita all’evoluzione del portafoglio giochi dell’Amministrazione potrebbero preludere alla conquista del mercato internazionale. Ma c’è ancora una velata diffidenza, un cocktail di paura, prudenza e conservatorismo che attanaglia sia AAMS che gli operatori su di un punto cruciale per il lancio degli skill games: la liquidità internazionale. Potrò io operatore in possesso anche di una regolare concessione rilasciata da AAMS, far sedere al tavolo di un torneo italiano (come da specifiche di protocollo e piattaforma) anche giocatori inglesi, irlandesi o tedeschi? Due le principali obiezioni: l’inesperienza dei giocatori italiani, che a detta di alcuni sarebbero così esposti ai professionisti internazionali del web, e la tracciabilità del giocatore straniero.

Nell’attuale normativa, sia nella bozza di protocollo che in quella del nuovo decreto di riordino del telematico attualmente all’esame degli organi comunitari, non sembrano esservi contro indicazioni in tal senso. Si fa menzione delle misure tecniche per la geolocalizzazione che vengono definite come i “i sistemi informatici di rilevamento che, attraverso il confronto dell’indirizzo IP del soggetto richiedente l’accesso con gli indirizzi IP archiviati in banche dati continuamente aggiornate, consentono l’individuazione della provenienza geografica dei tentativi di accesso ad un determinato sito internet”. Il concessionario autorizzato dovrà adottare queste misure per monitorare l’attività del giocatore-consumatore e per controllare la nazionalità dello stesso e cioè “verificare la correttezza dello Stato di residenza indicata nella anagrafica dal giocatore”. Ma qui intendiamo che correttamente ci si preocupi dei c. d. anonymizers, sistemi di rimbalzo in rete tramite i quali è possibile nascondere la propria ID e quindi commettere illeciti.

Nell’osservare il quadro di riferimento del sistema interno dei giochi, a nostro avviso una limitazione espressa potrebbe causare problemi di compatibilità con la norma europea, limitando l’accessibilità ad un servizio lecito (peraltro oggetto di specifica concessione) da parte di cittadini comunitari. Qui sarebbe poi interessante la comparazione tra normative interne dei paesi membri – specie quelli ad oggi più conservatori sul gioco – per verificare se prevedano divieti per il cittadino (e non come noto per l’operatore). In caso positivo ci si troverebbe di fronte ad un problema assai più grande, che però riguarderebbe quel particolare stato membro nei confonti della Commissione. Da non confondere però l’accessibilità del web con l’offerta transnazionale terrestre: le due logiche partono da presupposti totalmente diversi e nella diversità fondano le proprie rispettive legittimazioni. In quest’ottica devono leggersi alcune questioni analoghe sollevate dai giudici tedeschi all’ esame alla Corte di Giustizia – caso Avalon Service-Online Dienste GmbH/ Wetteraukreis (Causa C-409/07) (2007/C 283/26), caso Markus Stoß/Wetteraukreis(Causa C-316/07) – (2007/C 269/32) 2) che hanno richiesto: “Se gli artt. 43 e 49 CE debbano essere interpretati nel senso che le autorizzazioni rilasciate dai competenti organi degli Stati membri all’organizzazione di scommesse sportive il cui svolgimento non è limitato al territorio dello Stato membro di cui trattasi, consentono al titolare dell’autorizzazione, nonché al terzo da quest’ultimo incaricato, di offrire e dare esecuzione alle relative proposte contrattuali anche nel territorio degli altri Stati membri senza necessità di ulteriori autorizzazioni nazionali”. Riassumendo dunque, allo stato attuale non sembrerebbe vietata la liquidità internazionale, a patto che i giocatori esteri si rendano identificabili agli operatori titolari di una concessione rilasciata dall’Amministrazione.

Dovranno quindi i cittadini di altri Stati membri sottoscrivere un contratto con l’operatore per confrontarsi con i giocatori italiani? Qui dovremmo dilungarci troppo: un contratto c’è sempre, ma non necessariamente in forma “tradizionale”. Quanto alla supposta ingenuità o vulnerabilità del giocatore italiano rispetto agli squali degli skill, non ci giureremmo: un’analisi attenta ed approfondita di quanto avviene oggi nel nostro mercato “grigio” potrebbe smentire tale affermazione. Piuttosto andrebbe valutato il pericolo di un’emorragia verso l’estero nel caso in cui si autorizzi un modello eccessivamente limitato, in un tipo di gioco che per sua natura richiede la più ampia partecipazione.
Forse una norma sperimentale consentirebbe di partire immediatamente con un modello competitivo e che non violi i principi del trattato europeo, per conquistare un mercato che si presenta molto promettente.

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