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Manca la serenità per fare una sana riforma

Se, dal punto di vista normativo e giurisprudenziale, il 2013 è stato un anno meno intenso rispetto al 2012, lo si deve forse solo al fatto che, allora, avevamo vissuto una stagione a dir poco magmatica sotto questo profilo. 

Basti solo enunciare le disposizioni contenute nel decreto fiscale di marzo, il primo lancio del decreto sulle Awp3, la fusione dell’Aams nella Agenzia delle Dogane, il Decreto Balduzzi e tutte le previsioni sul giochi della Legge di Stabilità 2013, senza dimenticare la sentenza della Corte di Giustizia Europea targata “Costa Cifone”, che sul momento è stata spacciata come una vittoria epocale per Ced e Ctd, salvo poi “scoprire” (come al solito) che la sua portata è piuttosto limitata.

Proprio da quest’ultimo tema, che fa idealmente da ponte con quanto accaduto nel 2013, siamo partiti nell’intervista che abbiamo rivolto all’avvocato Stefano, uno dei giuristi più autorevoli nel settore del gaming, ricordando solamente, del suo prestigioso curriculum, che è cassazionista, docente di Diritto dell’Informatica al Dipartimento di Scienza della Comunicazione dell’Università della Tuscia, supporta l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato su questioni di diritto amministrativo ed è consulente dei principali operatori di gioco, italiani ed esteri.

“La Costa Cifone, in effetti – afferma l’avv. Sbordoni – non è altro che un’ulteriore pronuncia su una questione già trattata, partendo però da presupposti tecnici diversi, come è logico che sia, considerando che dalla sentenza Gambelli in poi molte condizioni sono cambiate. D’altra parte, va osservato che le sentenze arrivano sempre molto tempo dopo che i fatti sono accaduti, aspetto di cui i giudici tengono conto ma che viene sottovalutato, a volte, dagli osservatori esterni. In sostanza, la riflessione va spostata sui principi che sottendono la decisione. E, in questo caso, non vi è nulla che possa mettere in predicato la validità del regime concessorio italiano.

Bisogna però osservare che per il mercato italiano il riconoscimento da parte della ECJ della presenza di un “corpo estraneo” al regime concessorio italiano, quale è la Stanleybet, peraltro sempre impegnata a scalfirne l’integrità e la stabilità, è quantomeno fastidioso. Perché, a suo avviso, si è arrivati a questo?

Nella complessa struttura della nostra regolamentazione vi sono certamente delle disfunzioni, ed è proprio per questo che vengono poi a crearsi delle posizioni anomale per alcuni soggetti, come quella identificata dalla sentenza in esame.

A me però non piace identificare la disfunzione con un singolo soggetto, sia per non dargli eccessiva importanza, sia per evitare che possa passare l’idea che certe sentenze, come per l’appunto la Costa Cifone, arrivino a dettare discipline ad personam. In altre parole, come affermato dai giudici stessi, tale sentenza afferma più generalmente che non sono perseguibili penalmente (quindi non proprio autorizzati a svolgere attività di raccolta di gioco in Italia) tutti quei soggetti che siano in grado di dimostrare di aver subito dei pregiudizi dai bandi e/o dai regolamenti.

Le disfunzioni di cui parla sono anche quelle che hanno portato, quest’anno, all’impugnazione del bando per l’assegnazione di 2000 nuove agenzie ippiche e sportive?

Effettivamente Il Bando 2000 è stato impugnato da tanti operatori, soltanto che alcuni lo hanno fatto accettando di parteciparvi ed altri no. Il Tar infatti ha ritenuto in prima istanza questi ultimi non legittimati all’impugnativa. Ciò non toglie che alcuni aspetti del bando possano essere considerati critici, come quello della breve durata dell’arco temporale della concessione. Comunque, anche in questo caso vorrei andare oltre, per arrivare a quello che è l’aspetto chiave della questione. E mi chiedo: perché nasce una norma che può dar luogo a dei ricorsi? Secondo me, perché a scriverla interviene troppa gente. Il processo di formazione delle norme di settore, infatti, non è caratterizzato da una decisione autonoma dell’Amministrazione, ma vede anche l’intervento di chi, per mancanza di competenza specifica, non è in grado di valutarne le conseguenze, specie quelle a medio/lungo termine.

Questo significa che l’Amministrazione, prima Aams e poi ADM, è intrinsecamente debole?

Assolutamente no. L’amministrazione non è debole; il suo atteggiamento dipende dalle funzioni che le vengono attribuite. Ed in merito è importante fare una precisazione: non è esatto definire l’ADM un organo Regolatore, perché di fatto è soltanto un ente attuativo. Poi, c’è stata sicuramente una stagione in cui essa ha goduto di un più ampio potere decisionale. Ma ciò, in parte, è dovuto all’ipocrisia di chi ha voluto scaricare sull’Aams certe responsabilità, e in parte alla determinazione avuta dai personaggi che si sono trovati ai vertici della stessa Aams nel partecipare alla formazione delle norme.

Oltre a ciò, va evidenziato che l’accorpamento dell’Aams nelle Dogane è sembrato allontanarla dal mondo dei giochi; quindi, è stata un’operazione esattamente contraria – a mio avviso – a quello che doveva essere fatto. Anche perché si rischia che dal punto di vista organizzativo, le problematiche che ne sono conseguite e che continueranno a scaturire, siano alla fine superiori rispetto ai benefici (risparmio) che tale intervento potrà generare.

Tenendo presente che la legge arriva sempre dopo il mercato, che viaggia velocemente e ha dinamiche molto complesse, occorre un ente che abbia la dedizione, la competenza, la struttura necessaria e soprattutto i poteri per stargli dietro. A mio avviso, piuttosto che una Amministrazione autonoma come era prima o una parte di un’Agenzia come è adesso, lo strumento più idoneo sarebbe l’Authority.

Resta il fatto che nella poliedricità del sistema italiano, sembrano emergere delle posizioni privilegiate per taluni soggetti, che di fatto – vedi i casi del Lotto, del Gratta&Vinci e dei Giochi Numerici – hanno notevole autonomia nel regolamentare i giochi offerti.

Questa è la prerogativa delle monoconcessioni, ovvero di quei prodotti che sono gestiti da un concessionario unico. Nello specifico, dobbiamo poi ricordare che Lottomatica non è concessionaria del gioco ma della rete, ragion per cui il titolare dell’esercizio rimane lo Stato. Pertanto, è tecnicamente errata a mio avviso la visione per cui certe norme vengano costruite a favore di un terzo.

Per quanto riguarda i giochi numerici a totalizzatore il discorso è diverso e richiederebbe un più ampio approfondimento. In sintesi, è del tutto diversa la contrattualizzazione con il titolare della concessione, che è stata oggetto di una gara recente, scaturita da quella divisione tra i giochi numerici a totalizzatore e quelli a quota fissa, che però restano “divisi” anche nella sostanza dell’attività oggetto della concessione.

Cambiamo scenario: il vero grande patrimonio del sistema italiano del gioco è costituito dalle reti di vendita. Una realtà che ha subito notevole mutazioni negli anni e che ancor oggi sembra non abbia trovato il suo equilibrio. Perché, secondo lei?

E’ vero. Il mondo dei giochi gira tutto sulle reti di vendita, perché sono quelle che favoriscono lo sviluppo, ma poi sono anche la dotazione che viene data dal territorio e dallo Stato medesimo, il quale, come sappiamo, alla scadenza delle concessioni torna in possesso sia delle reti stesse che della relativa infrastruttura costruita dai concessionari.

Anche per questo, trovo assurda la guerra di religione che si è scatenata intorno alle slot. Così, infatti, si va a distruggere proprio quella rete, così ramificata e capillare, che permette non solo la raccolta ma soprattutto il controllo dell’attività, essendo la barriera che fa da argine all’illegalità. In sostanza, definirei i punti vendita le sentinelle del territorio, perché danno anche la percezione del peso della rete illegale.

Eppure, ancor oggi si parla dell’esistenza di sacche di illegalità molto consistenti, comprensive dei giochi promozionali, dei totem, dei siti.com ecc., che per altro vengono combattuti più a livello di norme che di controlli sul territorio.

Sul termine illegalità dobbiamo fare chiarezza. Ci sono operatori internazionali del telematico ad esempio che fino a quando non è intervenuta la Bersani lavoravano senza autorizzazione, ma poi si sono allineati. E all’epoca questi soggetti seppur non legittimati ad operare in Italia, non potevano certo essere considerati dei delinquenti. Si puo dire però che la loro lotta per la legittimazione abbia creato quell’area grigia che ha permesso a molti altri ben poco raccomandabili di crearsi degli spazi.

Sta di fatto che col passare del tempo, paradossalmente, il confine fra legale e illegale è diventato più grigio. Non voglio difendere le situazioni che lei ha citato, ma esse secondo me hanno proliferato proprio per la mancanza di una chiarezza che doveva esserci sin dall’inizio e che invece è tardata ad arrivare, e che ancor oggi non si è pienamente realizzata. Guardiamo ad esempio i Pdc: erano situazioni anomale che poi sono finite in un’area indefinita; eppure, sarebbe bastato chiedersi subito il perché si debbano inventare, con l’online, dei punti di commercializzazione a terra, per risolvere subito il problema.

In una visione più ampia, poiché da decenni manca in Italia la pianificazione del futuro, nessuno si è preoccupato di guardare il fenomeno internet sotto questa ottica. Ed in una situazione del genere era scontato che qualcuno se ne approfittasse. Quando poi si è voluto spingere sulla demarcazione netta fra terrestre e online, ci si è trovati di fronte a situazioni incancrenite, sulle quali è effettivamente difficile intervenire.

A questo punto ci chiediamo: cosa fare? Personalmente demanderei la questione agli operatori, ovvero ai concessionari, ma per fare questo dobbiamo metterci d’accordo sulle relative competenze e potestà. Alla fin dei conti, però, rimane un grande dubbio: che la situazione sia talmente sclerotizzata da richiedere un lavoro molto (forse troppo) oneroso per riportarla sui binari più consoni. Quindi bisogna lavorare ora sul futuro tenendo bene in conto quello che è successo.

Come valuta la guerra scatenata dalle amministrazioni locali contro il gioco, ed in particolare gli apparecchi?

La premessa è che lo Stato, nel regolamentare il gioco pubblico, dovrebbe preoccuparsi sempre di valutare la sostenibilità di un certo numero di esercizi e di apparecchiature. Una sostenibilità che passa attraverso la tutela e la messa in sicurezza del territorio. I fatti però ci dicono che, ancora una volta, il legislatore non ha avuto la capacità di guardare oltre il proprio naso. Da qui sono nate tutte le polemiche a livello territoriale, coi Comuni che vorrebbero assumere direttamente questa funzione.

Di contro, però, abbiamo delle leggi regionali che oltre ad essere incostituzionali non sono nemmeno sostenibili in termini economici. Ma il Governo deve stare attento, perché se dovesse giungere a legittimarle, finirebbe col perdere la propria sovranità sulle Regioni. E una volta aperto il fronte sulla materia del gioco, si fa presto a sconfinare in altri.

In sostanza, non è un problema di soldi; cioè, non è una questione che si risolve permettendo agli enti locali di attingere alle entrate erariali derivanti dai giochi.

Questo è un gioco politico portato avanti da chi sostiene un certo federalismo e da chi vuole mantenere a tutti i costi le Regioni, ed ancor più quelle a statuto speciale (non sarebbe ora di valutare se la specialità ora tocchi ad altri?), nel momento in cui molti vedrebbero bene la loro abolizione. Pertanto, sarebbe antistorico conferire ad esse più poteri.

In definitiva, comunque, resto convinto di una cosa: che il principio della riserva statale sui giochi non debba mai essere dichiarato illegittimo.

Alla luce di tutto ciò, verrebbe da dire che il grande scandalo delle ludopatie per le regioni sia solo un paravento.

No, ma direi che non sarebbe scandaloso affermarlo. La ludopatia esiste, va monitorato il fenomeno. Senza i concessionari di Stato questo è impossibile perchè sarebbe gioco nero e non avremmo gli strumenti. Da qui a sparare numeri che non hanno altro effetto che quello di ingolfare organi istituzionali gia zoppicanti e media a secco di notizie di opinione, ne passa. Se poi dobbiamo sentire dagli esperti, come è successo nel recente convegno organizzato da Confindustria-Sistema Gioco Italia a Milano, che la guerra dei numeri sui malati di gioco è perdente per i movimenti anti-slot, ma che in ogni caso si deve far fuori tutto, allora devo pensare che siamo di fronte ad una vera e propria campagna mistificatoria.

Purtroppo, attualmente, non c’è alcun personaggio politico che abbia la forza di alzare la voce e di far luce con decisione su queste iniziative. Del resto, sembra proprio che in Italia non si riesca più a far nulla che non abbia un potenziale gradimento in termini di voto; ma la ricerca del consenso o la paura di perderlo non può giustificare il silenzio che caratterizza gli organismi istituzionali in materia.

Così si può giungere a paradossi come quello dell’approvazione in Senato della moratoria sul gioco della Lega, anche se – dichiarato dagli stessi votanti a posteriori – in realtà quasi nessuno ha capito su cosa stava votando.

Peraltro la ludopatia – o meglio GAP – in quanto tale presta il fianco ad una serie di considerazioni molto delicate. Abbiamo visto, di recente, che la Corte dei Conti (la stessa delle maxi-penali) ha ritenuto che la presenza di questa patologia in un soggetto che ha sottratto denaro al datore di lavoro (pubblico in questo caso), non faccia venir meno la capacità di intendere e di volere del soggetto agente e quindi non sia sufficiente ad esimerlo dalle responsabilità del suo operato. Ebbene, dobbiamo prendere atto che la ludopatia si presta a delle mistificazioni pericolose. E se non c’è competenza per scoprirle cosa può succedere?

Non sono un esperto in patologie compulsive, ma chiunque operi in questo settore sa bene che vi sono tre momenti ben distinti nella vita del giocatore: la semplice propensione, il vizio e la malattia. I passaggi dall’una all’altra fase hanno effetti stravolgenti sull’individuo, ma ritenere che costituiscano una sorta di catena ineluttabile sarebbe una grave superficialità.

Altro fatto notevole dell’anno è stato il provvedimento del Governo di arrivare ad una soluzione anticipata dell’annosa questione delle maxipenali.

La storia delle maxi penali è clamorosa. Ci si è talmente riempiti la bocca con quei famosi 98 miliardi che avrebbero dovuto risolvere i problemi del paese, che ora non siamo più in grado di tornare indietro. Sembrerà paradossale, ma se l’errore sarebbe stato quello di mantenere in esercizio per un paio d’anni apparecchi non collegati (pur pagando un forfetario, si ricordi bene), ancora più grave è quindi l’errore commesso dai governi precedenti di non aver mai legalizzato le macchine a premio, non prendendo un centesimo e consentendo all’illegalità di imperversare liberamente per parecchi decenni. E quelle di maxi-penali, dove sono?

Per il futuro prossimo, grandi attese sono rivolte nei riguardi della Delega Fiscale. Che ne pensa?

Ci vuole grande attenzione perché, con l’aria che tira, non voglio immaginare cosa possa uscirne; per alcuni il manuale della santa inquisizione. O magari anche che non resti in circolazione nemmeno una Awp,

Auspico che l’art 14 vada a cogliere nel segno, ma sembra che questo sia un momento poco indicato per affrontare un riordino così ampio e sostanziale del gioco pubblico, perché manca la necessaria serenità.

A mio parere, la strada giusta deve essere quella di dettare dei principi di base a cui riferirsi, per poi regolamentare con continuità i singoli comparti. Di certo, scrivere un testo unico di 500 pagine che rischia di diventare vecchio appena viene pubblicato non credo possa essere una soluzione. Ma credo e spero che il governo, debitamente coadiuvato dall’Amministrazione, possa aver percepito questa esigenza.

 In conclusione, che anno sarà il 2014 per i giochi?

Nonostante le vicissitudini che stiamo attraversando, percepisco qualche scintilla: il contrasto all’illegalità nelle reti terrestri si è affinato; le azioni di controllo sono più ficcanti; la capacità dei gestori si è acuita; l’Amministrazione, anche grazie a qualche assestamento interno, si è consolidata nella sua funzione di consulente e referente dello Stato.

Il guaio, lo ribadisco, è che il mercato attuale, per come è organizzato, richiede uno sforzo immane per avere speranze di ripresa, Probabile che abbia bisogno di cambiare pelle, e di questo cambiamento dobbiamo gettare le basi, ma non può realizzarsi ora che ci troviamo nel picco della negatività.

Comunque, voglio augurarmi che l’onda negativa sia giunta all’apice e che ora cominci a scendere, facendo si che il 2014 sia, se non un anno di ripresa, almeno di mantenimento, per poi proiettarci verso un biennio più sereno sotto tutti i punti di vista.

Articolo pubblicato su Automat del mese di Novembre 2013 

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