Il sequestro probatorio dei totem: presupposti e legittimità
Lo scorso 30 dicembre è stata pubblicata una pronuncia della Terza sezione penale della Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’esercente contro il sequestro probatorio disposto dal Tribunale di Ferrara di un apparecchio da intrattenimento elettronico, c.d. Totem, non autorizzato, all’interno della sua attività. Ecco i fatti.
A seguito del sopralluogo eseguito dalla Guardia di Finanza e dalle dichiarazioni di un giocatore sarebbe emerso che all’interno del locale del ricorrente era presente un apparecchio elettronico dotato di monitor con tecnologia touchscreen –Shoponline- dotato di dispositivo per l’introduzione di banconote, il quale consentiva di accedere, tramite il motore di ricerca Google, a un sito internet per mezzo del quale era possibile effettuare delle giocate che consentivano delle vincite, benché non in denaro quanto piuttosto di beni presenti nel negozio online.
Secondo la difesa del ricorrente il sequestro sarebbe illegittimo per “l’insussistenza degli illeciti ascritti all’indagato poiché l’apparecchio sequestrato sarebbe una semplice postazione di accesso a internet e il rapporto tra cliente e bookmaker avverrebbe senza alcuna attività di intermediazione da parte dell’esercente, dal momento che l’interfaccia semplificata dell’Internet Point offrirebbe alcune risorse immediatamente raggiungibili e che in ogni caso non sarebbe stato accertato il profilo relativo alla intermediazione“. Quindi, per il ricorrente, il Totem costituirebbe solo uno strumento per un’attività lecita, che non andrebbe a violare nessuna norma in tema di commercializzazione del gioco lecito.
Nell’esaminare la motivazione della Corte di Cassazione è bene fare una breve disamina della portata del sequestro probatorio (quale misura cautelare) nell’ambito del nostro sistema processuale penale. Il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto “da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata ed il reato oggetto di indagine” (Cassazione penale sez. II 9/4/2014, n. 23212). La sussistenza di una relazione – più o meno intensa- tra il bene e la fattispecie di reato non solo permette di individuare le res suscettibili di sequestro, ma fonda anche la capacità rappresentativa del fatto, presunta dal legislatore proprio in forza del rapporto tra res ed illecito.
Il decreto di sequestro del corpus delicti, sottraendo al soggetto il potere dispositivo e di godimento sull’oggetto, conferisce alla motivazione, in analogia con l’art. 13 Cost. (“Libertà personale”), un ruolo di garanzia imprescindibile. Il decreto deve pertanto contenere un nucleo motivazionale volto a veicolare, in modo preciso rispetto ai fatti per cui si procede, l’idoneità rappresentativa costituita dalla res “in concreto”, nonché le ragioni che rendono necessaria la misura ablativa. Nell’ambito di questa cornice la Terza sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto valide le ragioni della conferma del sequestro probatorio effettuato sul Totem, rinvenuto all’interno dell’esercizio commerciale di Ferrara. Secondo la Suprema Corte il Tribunale del riesame, infatti, “ha argomentato da un lato la sussistenza del fumus alla stregua di un adeguato compendio indiziario (…) dal quale è emerso che all’interno del locale era presente un apparecchio elettronico dotato di monitor con tecnologia touchscreen, denominato Shoponline, dotato di dispositivo per l’introduzione di banconote il quale consentiva di accedere, tramite il motore di ricerca Google, a un sito internet per mezzo del quale era possibile effettuare delle giocate che consentivano delle vincite, benché non in denaro quanto piuttosto di beni presenti nel negozio online. Sul punto, i provvedimenti impugnati hanno argomentatamente ravvisato un insieme di elementi indiziari sussumibili nella cornice degli artt. 718 cod. pen. e 4 L. 401/89, motivando adeguatamente sia in ordine alla presenza di un’organizzazione, ancorché dalla struttura embrionale (costituita dal collegamento dell’apparecchio alla rete internet e, tramite questa, ad una piattaforma di raccolta di gioco a distanza; installazione del Totem da parte di ulteriore società), diretta alla raccolta vietata di gioco a distanza in forme non autorizzate, sia in relazione al fine di lucro, essendo sufficiente la presenza di un guadagno economicamente apprezzabile e confutando, sulla base di specifiche emergenze costituite dalle dichiarazioni di un cliente e della stessa ricorrente, la tesi difensiva dell’estraneità dell’esercente che si limita a fornire l’accesso a intemet. E del resto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di cui all’art. 4-bis della legge 13 dicembre 1989, n. 401, l’installazione presso esercizi pubblici, in assenza di autorizzazione amministrativa, di apparecchi terminali collegati alla rete internet per l’effettuazione di giochi d’azzardo a distanza“.
La motivazione della Corte di Cassazione, sebbene resa nell’ambito di una misura cautelare, appare precisa e puntuale. Senza un’autorizzazione amministrativa non si può commercializzare il gioco a distanza on line. Tollerare questa attività illecita comporta una serie di gravi conseguenze al mercato del gioco lecito.
In primo luogo il giocatore/consumatore in caso di contestazioni su vincite rischia di non poter tutelare la propria posizione. Nell’ambito di un mercato regolamentato, infatti, c’è sempre un’Autorità (in Italia ADM) che funge da garante. Nei mercati ibridi – e soprattutto in quello on line- vivono realtà assolutamente prive di regole, e di tutele per i giocatori, che si ritrovano privi di strumenti per difendere le proprie posizioni. Da ultimo, ma non meno importante, è il tema dell’evasione fiscale. I totem, infatti, promuovono il gioco illecito che non viene sottoposto ad alcuna forma di tassazione, andando ad alimentare fenomeni illegali che penalizzano anche l’attività lecita dei concessionari, in possesso della licenza on line rilasciata all’uopo da ADM.