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Scommesse, per la Cassazione l’intermediazione è sempre reato

È irrilevante se il bookmaker straniero possieda o meno titoli autorizzativi"

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del titolare di una ditta individuale esercente attività di internet point in Sant’Agata di Militello (ME), il quale era stato condannato alla pena per i reati di cui agli articoli 4 e 4-bis della legge 13 dicembre 1989, n. 401 nonché all'articolo 17, comma 1 t.u.l.p.s. in relazione all’art. 110, comma 1 t.u.l.p.s..Per i giudici della Suprema Corte, infatti “qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a bookmaker straniero metta a disposizione della clientela il proprio conto giochi (o conto giochi intestato a soggetti di comodo), consentendo la giocata senza far risultare chi l’abbia realmente effettuata, il legame col bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse". Di conseguenza, per la Cassazione "diventa irrilevante la questione dell’esistenza di titoli autorizzatori o concessori in capo all'esercente". La ratio decidendi, pertanto, non ha alcuna attinenza "con i profili di pretesa discriminazione del soggetto di diritto estero in relazione alla dedotta impossibilità di operare nel mercato interno", così che, in definitiva, in questi casi, "non può ricorrere alcuna ipotesi di ignoranza inevitabile della legge, al più sussistendo una condizione di dubbio circa la liceità dei comportamenti che sarebbero stati adottati, con la correlata necessità di adottare ogni utile e doveroso accertamento".

 

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