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L’imposta unica e i contrasti giurisprudenziali

Sulla Gazzetta Ufficiale, serie Corte Costituzionale del 30 marzo u.s., venivano pubblicate diverse ordinanze di promovimento della Commissione tributaria provinciale di Rieti sui ricorsi presentati da alcuni operatori contro ADM, riguardo l’imposta unica sulle scommesse, in tema di soggettività passiva dei c.d. CTD, attivi su tutto il territorio come ricevitorie per conto di un bookmaker estero.

Le ordinanze rimettono alla Corte Costituzionale la questione di legittimità degli articoli 3 e 4 comma 1, lettera b) numero 3 del decreto legislativo n. 504/ 1998 e art. 1 comma 66 lettera b) della legge n. 220 del 2010, in relazione agli articoli 3, 53 della Costituzione, nella parte in cui vengono interpretati come applicabili ai centri di raccolta dati, facendo di questi ultimi dei soggetti passivi dell’imposta unica sulle scommesse. Il Giudice a quo – nel caso di specie la Commissione tributaria provinciale di Rieti – rilevava che “la questione se i centri di raccolta dati siano o meno soggetti passivi di imposta è stata posta al giudice tributario in occasioni diverse” e anche se la tesi prevalente è affermativa, “è però sospettata di illegittimità costituzionale” per ragioni, evidenziate dalla ricorrente, “che questa Commissione fa proprie, condividendole”. Ed ancora, “esiste un’interpretazione corrente, che porta a ritenere le ricevitorie come obbligate al pagamento dell’imposta, ma ritiene altresì che tale interpretazione corrente produca una norma incostituzionale. Dunque, la rilevanza della questione è nel fatto che la norma, quale esito dell’interpretazione corrente di quelle disposizioni, è nel senso dell’ imponibilità e che la causa non può essere decisa se non applicandola. Più precisamente. Si può obiettare che è allora sufficiente che il giudice scelga l’una o l’altra delle suddette interpretazioni per decidere la causa, senza bisogno che sollevi questione di legittimità costituzionale. O, più precisamente, si può obiettare che questo giudice non può sollevare la questione senza avere prima sondato la possibilità di una interpretazione della norma in un senso conforme a Costituzione. Va osservato al riguardo, quanto a questo ultimo aspetto, che qui la rilevanza della questione e’ data dalla possibilità che la norma si riferisca anche alle ricevitorie quali soggetti d’imposta. E l’unica opzione interpretativa che è rimessa al giudice è solo di ritenere applicabile o meno la suddetta disciplina anche ai centri di raccolta delle scommesse”.

Sebbene il ragionamento del Giudice a quo si possa o meno condividere, è bene che il Giudice delle Leggi (id estla Corte Costituzionale) si pronunci al più presto sulla norma, giacche sempre più frequentemente giungono notizie di decisioni delle Commissioni Tributarie di difforme tenore, che causano sfiducia nel settore.

Tant’è. In attesa della Corte Costituzionale, la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna ha accolto la scorsa settimana il ricorso cautelare del titolare di un CTD, connesso ad un bookmaker d’oltralpe. E mentre questa recente pronuncia sembra accogliere la tesi dei ricorrenti/CTD, altre sono invece favorevoli all’Amministrazione. Come in Campania dove la Commissione Tributaria, nel rigettare le pretese dei ricorrenti CTD, ha rilevato in primo luogo “che vi sia soggettività passiva in capo al ricorrente (…) nel senso che il soggetto passivo dell’imposta applicata deve ritenersi chiunque, seppur in assenza di alcun titolo abilitante rilasciato dal Ministero, gestisce con qualsiasi mezzo, anche semplicemente telematico ed anche soltanto per conto di soggetti terzi ubicati all’estero, concorsi, pronostici o scommesse di qualsiasi tipo e genere”. Ed ancora, che “l’imposta trova la sua applicazione sulla base sia del presupposto oggettivo, per cui sono da ritenersi comunque accettate nel territorio italiano anche le mere attività di raccolta delle scommesse effettuate dal tenutario del banco di ricezione attraverso soggetti operanti sul territorio nazionale cui è legato da vincoli di contratto e di rappresentanza; e sia del presupposto di territorialità comunque rispettato nel caso in esame laddove non richiede che il luogo di conclusione del contratto sia quello nazionale ma soltanto che le scommesse vengano in qualsiasi modo accettate nel territorio dello Stato, apparendo determinante la sola circostanza che su detto territorio si trovi colui che riceve ed accetta la proposta di scommessa già formulata dal bookmaker straniero”.

Le motivazioni dei giudici tributari campani evidenziano aspetti che difficilmente possono essere negati. Le scommesse che vengono accettate dai CTD/CED, che operano attraverso soggetti non autorizzati in Italia, si concludono nel ns Paese: quindi chi lavorando nel nostro paese crea volumi in forza di quel servizio – che ad essere estremamente larghi di vedute possiamo definire “in corso di legalizzazione” – deve adempiere agli obblighi di natura erariale. Per le scommesse, come è noto, tali obblighi si chiamano imposta unica, peraltro rivisitata in forza di recenti interventi normativi. Ecco dunque che invocare la discriminazione – riconosciuta solo in parte dalla Corte di Giustizia Europea – serve forse a portare a casa vittorie come quella della Commissione bolognese ma non a rendere stabile il mercato. In realtà si auspica che il nuovo bando di gara esaurisca anche questi contenziosi. Che con ogni probabilità non vedranno né vinti nè vincitori, in quanto si arriverà ad una pronuncia risolutiva della Corte in un momento in cui l’interesse delle parti potrebbe non sussistere più.

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