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Sistema concessorio: un passo indietro per due passi avanti

Una recentissima pronuncia del Tar Lombardia del 13 marzo 2014, chiamato per l’ennesima volta a decidere sulla legittimità del diniego da parte della Questura di Milano a rilasciare la licenza ex art. 88 Tulps presentata da un CTD, ha ribadito come la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi non siano state compromesse dalla previsione di un regime concessorio sostenuto da ragioni di ordine pubblico e sociale.

Ma v’è di più, il Tar Lombardia nel richiamare la pronuncia del Consiglio di Stato del 27 novembre 2013 n. 5636, ha evidenziato altresì che il sistema concessorio-autorizzatorio imposto dal nostro ordinamento non si pone affatto in contrasto con l’ordinamento comunitario, anche alla luce delle esigenze di tutela del consumatore anch’esse protette dal diritto comunitario.

Il Collegio della III sez. del Tar Lombardia non accoglie il ricorso mettendo in rilievo che laddove il noto bookmaker fosse stato ingiustamente escluso dal sistema concessorio perché lo Stato italiano aveva imposto delle (“ingiuste”) barriere in entrata, il CTD ricorrente non ha dimostrato di avere rapporti contrattuali con il richiamato bookmaker. Sembrerebbe infatti di comprendere che i contratti depositati in giudizio provino che il ricorrente aveva dei vincoli contrattuali con una Società che ha sede a Malta, ma che non era titolare di licenza né era la stessa vessata dalle barriere in entrata.

Il passaggio, anche se meramente tecnico, pone in evidenza come per anni il sistema concessorio sia stato strapazzato da operatori che invocavano i principi del trattato della Comunità Europea senza averne titolo.

Il mercato però sembra aver dato loro ragione, in quanto i Centri di Trasmissione Dati (c.d. CTD) hanno sviluppato una rete del tutto parallela che in qualche caso raccoglie anche più del gioco lecito, in forza anche di una c.d. immunità fiscale non essendo essi stati in alcun modo soggetti al pagamento delle imposte, dei canoni e delle quote di prelievo che tutti gli operatori, che canalizzano il gioco su base ippica e su base sportiva in circuiti leciti, mensilmente e semestralmente corrispondono all’erario ed ADM.

Questo approccio perpetrato oramai da decenni dalla rete dei CTD nei confronti del sistema concessorio-autorizzatorio italiano viene ribadito da un interessante passaggio della sentenza da prima richiamata; il Tar Lombardia infatti evidenzia come “non vi è dubbio che la carenza del titolo autorizzatorio di cui all’art. 88 TUPLS, in quanto richiesto ma non ancora ottenuto, non consente (nemmeno nell’impostazione di parte ricorrente, in cui il titolo autorizzatorio dovrebbe essere rilasciato a prescindere dall’ottenimento del titolo concessorio presupposto) di esercitare l’attività di esercizio di scommesse (sul punto, in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2008, n. 6027: «…il provvedimento impugnato con il quale il Questore ha ordinato la cessazione dell’attività non si fonda sulla circostanza che Stanley fosse una società quotata in borsa e, quindi, non abilitata in base alla normativa nazionale ritenuta anticomunitaria ad ottenere la concessione; né si fonda sul fatto che il CTD intendesse svolgere l’attività di raccolta delle scommesse per conto di una società quotata e priva di concessione. Al contrario, il divieto del Questore è giustificato dalla mancanza di autorizzazione, dal fatto cioè che l’attività è iniziata senza che il CTD abbia atteso nemmeno l’esito della richiesta di autorizzazione a suo tempo presentata alla Questura…»)”.

Nell’ottica di una riforma della rete anche il mercato dei CTD dovrebbe essere ricondotto alla legalità. Questo garantirebbe una maggiore tutela del consumatore, e la possibilità di rivedere l’intero impianto normativo-fiscale e regolamentare, e perché no, di prendere dai CTD quello di buono che potrebbe rilanciare la rete: ciò in quanto altro elemento della concorrenza “sleale” da parte dei CTD è stato quello di poter offrire tutti i prodotti senza essere sottoposti ad alcun vincolo regolamentare.

Si pensi solo alla posta minima di gioco, alle distanze (ora eliminate ma forse troppo tardi..) ed alle scommesse virtuali, già conosciute da anni dagli scommettitori italiani perché commercializzate nelle rete dei CTD.

Oltre ad una riforma strutturale del regime fiscale, e del sistema duale concessorio/autorizzatorio sarà necessario rivedere anche tutta l’impianto della normativa penale in materia del gioco d’azzardo.

Si ritiene a tal proposito che sia stata persa un’occasione con il c.d. DDL Pene Carcerarie, per ripensare come e quali norme in materia di giochi e scommesse debbano avere valenza penale e quali no, visto e considerato che la legge n. 401/89 e successive modifiche ed integrazioni, censurata dalla Corte di Giustizia e troppo spesso disapplicata, è stata il veicolo principale della diffusione dei centri di trasmissione dati e dei “.com”; per assurdo, più successo invece la stessa norma, il cui apparato è oramai superato, sembra avere nei confronti degli operatori titolari della concessione rilasciata da ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), quando nel rispetto delle regole e per tenere la testa fuori dall’acqua nell’attuale caos, cercano affannosamente di promuovere il gioco pubblico.

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