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Sentenza Consiglio di Stato nr. 2661/2013

Ricorso proposto da Stanley International Betting Limited e Stanleybet Malta Limited contro Ministero dell’Economia e delle Finanze.

N. 04199/2013REG.PROV.COLL.

N. 02661/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 2661 del 2013, proposto da: 
Stanley International Betting Limited, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova, Fabio Ferraro, Anna Marcantonio, Daniela Agnello, con domicilio eletto presso Antonella Terranova in Roma, via A. Bertoloni, 14; Stanleybet Malta Limited, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Daniela Agnello, Fabio Ferraro, Roberto A. Jacchia, Anna Marcantonio, Antonella Terranova, con domicilio eletto presso Antonella Terranova in Roma, via A. Bertoloni, 14;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12, sono ope legis domiciliati;

nei confronti di

Intralot Italia Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Claudio Ghia, Leonardo Alesii, con domicilio eletto presso Leonardo Alesii in Roma, via Dardanelli, 13; Snai Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Stefano Vinti, Ferruccio Barone, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia, 88; Galassia Game Srl, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Mazzoli, con domicilio eletto presso Paolo Mazzoli in Roma, viale Parioli, 44;

e con l’intervento di

ad opponendum:
Eurobet Italia Srl unipersonale, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Ciro Benelli, Giorgio Fraccastoro, Sara Fiorucci, con domicilio eletto presso Giorgio Fraccastoro in Roma, via San Basilio, 72; Lottomatica Scommesse Srl, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Sara Fiorucci, Giorgio Fraccastoro, Cino Benelli, con domicilio eletto presso Giorgio Fraccastoro in Roma, via San Basilio, 72; Sisal Match Point Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Luigi Medugno, Annalisa Lauteri, Giorgio Fraccastoro, con domicilio eletto presso Luigi Medugno in Roma, via Panama, 58; Cogetech Gaming Srl, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Sara Fiorucci, Giorgio Fraccastoro, Ciro Benelli, con domicilio eletto presso Giorgio Fraccastoro in Roma, via San Basilio, 72;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA – SEZIONE II n. 01884/2013, resa tra le parti, concernente gara per l’affidamento in concessione di 2000 diritti per l’esercizio congiunto dei giochi pubblici attraverso l’attivazione di rete fisica di negozi di gioco e relativa conduzione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato e dell’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, nonché di Intralot Italia Spa, di Snai Spa e di Galassia Game Srl;
visti gli atti di intervento ad opponendum di: Eurobet Italia Srl unipersonale, Lottomatica Scommesse Srl, Sisal Match point Spa e Cogetech Gaming Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Agnello, Ferraro, Jacchia, Terranova, Fedeli, per delega dell’avv. Vinti , Barone, Mazzoli, Fiorucci, Fraccastoro, Lauteri, Medugno,Ghia e l’avvocato dello Stato Elefante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalle società odierne appellanti Stanley International Betting Limited e Stanley Malta Limited l’annullamento del bando di gara 2012/S 145-242654 pubblicato sulla GURI 5^ Serie Speciale – Contratti pubblici – n. 88 del 30 luglio 2012, per l’affidamento in concessione di 2.000 diritti per l’esercizio congiunto dei giochi pubblici ai sensi dell’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44, attraverso l’attivazione della rete fisica di negozi di gioco e la relativa conduzione e di tutti agli atti a questo connessi, propedeutici e consequenziali.
Le dette parti appellanti avevano fatto presente di essere state illegittimamente escluse dalle precedenti gare per l’affidamento di concessioni per l’esercizio di giochi pubblici e di essere interessate all’aggiudicazione delle nuove concessioni messe a gara.
Avevano rammentato che, con le sentenze delle Corte di Giustizia 6 marzo 2007, n. 338, cause riunite C-338/04 e C-360/07, Placanica, e 16 febbraio 2012, cause riunite C- 72/10 e C-77/10, Costa –Cifone, erano stati rilevati profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione Europea delle procedure di affidamento di concessioni per l’esercizio dei giochi tenutesi nel 1999 e nel 2006, (queste ultime sulla base della disciplina dettata dal decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani).
In via generale, con riferimento al decreto legge n. 16 del 2012, (in applicazione del cui art. 10 commi 9 octies e 9 novies, era stata indetta la selezione impugnata) si lamentava il contrasto con le indicazioni contenute nelle citate sentenze: ad avviso della odierna parte appellante, infatti, erano state introdotte discriminazioni nei confronti dei nuovi entranti, avuto particolare riguardo alla durata delle nuove concessioni, (di soli 40 mesi, laddove le precedenti concessioni avevano avuto durata di 12 e 9 anni), in tale modo precludendo ai nuovi concessionari di ammortizzare i costi e gli investimenti sostenuti per l’ingresso sul mercato e permettendo ai vecchi concessionari di consolidare le proprie posizioni.
Si sosteneva in proposito che, al fine di puntualmente conformarsi alle citate sentenze, l’AAMS avrebbe dovuto disapplicare le norme dettate dall’art. 10, commi 9-octies e 9-novies, del decreto legge n. 16 del 2012, revocare le precedenti concessioni ed indire una nuova gara basata sui principi di parità di trattamento, trasparenza e non discriminazione (come peraltro a più riprese parte appellante aveva invano richiesto all’Amministrazione).
La disciplina di gara era illegittima anche a cagione della previsione del carattere esclusivo dell’attività di commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici – non previsto nei precedenti bandi Bersani – e del divieto di cessione della titolarità della concessione e dei diritti sui negozi.
I numerosi profili di illegittimità del bando avrebbero fatto revocare seriamente in dubbio l’utilità della partecipazione alla gara, in quanto la lex specialis integrava un insieme di regole e requisiti immediatamente vincolanti per l’aspirante concessionario sin dal momento della sottoscrizione della domanda di partecipazione, con conseguente assunzione di obblighi produttivi di effetti con riferimento alle cause di revoca, sospensione e decadenza dalla concessione.
Proprio queste ultime erano connesse a requisiti ulteriori rispetto a quelli necessari per la partecipazione (come desumibile a contrario dalle previsioni contenute nell’art. 23 dello Schema di Convenzione) e, con riguardo alla prevista declaratoria di decadenza, dalla stessa discendeva l’incameramento della garanzia e la cessione a titolo non oneroso dell’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituivano la rete di gestione raccolta del gioco.
L’esposizione al rischio della decadenza e della revoca delle concessioni eventualmente acquisite – in ragione del contenzioso anche penale che aveva visto coinvolti i propri Centri Trasmissione Dati – determinata dalle previsioni, aventi carattere discriminatorio, inserite nel sistema normativo italiano, di fatto vanificava l’effetto utile della propria partecipazione alla selezione, stigmatizzandosi la mancanza di trasparenza delle ipotesi di decadenza e di revoca delle concessioni.
L’odierna parte appellante aveva rappresentato di avere interesse all’immediata impugnazione degli atti di gara ( pur senza aver presentato domanda di partecipazione alla gara medesima) in quanto dalle censurate previsioni della lex specialis discendeva un immediato effetto lesivo.
Esse, infatti, avevano carattere direttamente escludente: nell’imporre straordinari aggravi di natura patrimoniale, finanziaria e contabile, era stata privata di ogni effetto utile la partecipazione alla gara, ponendosi parte appellante nell’alternativa di dover rinunciare ad esercitare in Italia l’attività di impresa attraverso la rete di CTD, riconosciuta legittima dalla sentenza Costa-Cifone, o correre l’elevato rischio di incorrere in decadenza dalle concessioni eventualmente acquisite, con incameramento della garanzie prestate.
La medesima parte qui appellante aveva articolato undici macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, avverso gli atti gravati, chiedendone l’annullamento ed via subordinata sollecitando la rimessione alla Corte di Giustizia di numerosi quesiti pregiudiziali.
Il primo giudice ha partitamente esaminato le censure proposte ed ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, in quanto l’odierna parte appellante non aveva presentato domanda di partecipazione alla gara.
Ha in primo luogo riassunto e vagliato gli asseriti profili di contrasto delle norme dettate dall’art. 10 comma 9 octies del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44 ( sulla cui base era stata indetta la contestata selezione) con il diritto dell’Unione Europea e con i principi affermati dalla Corte di Giustizia nelle sentenze 6 marzo 2007, n. 338, cause riunite C-338/04 e C-360/07, Placanica, e 16 febbraio 2012, cause riunite C- 72/10 e C-77/10, Costa –Cifone, che avevano direttamente interessato il gruppo Stanley, previa illustrazione dei tratti caratteristici delle società originarie ricorrenti e delle modalità di loro operatività in Italia.
A tale ultimo riguardo, ha rammentato che la Stanley International Betting Limited, di nazionalità britannica, unitamente alla Stanleybet Malta Limited, di nazionalità maltese, svolgevano la propria attività nel mercato dei servizi di gioco e scommesse, anche con la modalità transfrontaliera, in vari Paesi europei, sulla base delle autorizzazioni rilasciate dai competenti organi del Paese di appartenenza.
La Stanley operava in Italia (nell’affermato esercizio dei diritti di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, di cui agli artt. 49 e 56 TFUE – prima artt. 43 e 49 del Trattato CE -) mediante operatori a sé contrattualmente legati, denominati Centri Trasmissione Dati (CTD o Centri), ubicati presso locali aperti al pubblico, i cui titolari mettono a disposizione dei giocatori il collegamento telematico e trasmettono i dati delle singole giocate a Stanley per incarico della stessa.
Quest’ultima gestiva direttamente le giocate, sopportava il rischio di impresa e trasmetteva ai Centri le indicazioni per il calcolo delle vincite e i pagamenti.
La detta attività veniva esercitata in Italia attraverso i titolari dei Centri sulla base di un rapporto riconducibile allo schema contrattuale del mandato, non potendosi ravvisare attività di intermediazione; ciò senza, tuttavia, essere in possesso di alcun titolo concessorio e senza l’autorizzazione di polizia [il cui rilascio - ai sensi dell’art. 88 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al Regio Decreto 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS) - presupponeva la titolarità di una concessione].
Il Tar ha poi rammentato che, sulla base della normativa vigente (art. 2 commi 2 bis e 2 ter, del decreto legge n. 40 del 2010 convertito nella legge n. 73 del 2010), il gioco con vincita in denaro poteva essere raccolto dai soggetti titolari di valida concessione rilasciata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato esclusivamente nelle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione, con esclusione di qualsiasi altra sede, modalità o apparecchiatura che ne permettesse la partecipazione telematica.
Con disposizione interpretativa e quindi retroattiva, tale previsione aveva altresì stabilito che il citato art. 88 del TULPS si interpretava nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolgeva l’esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, era da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l’esercizio e la raccolta di tali giochi.
Da ciò conseguiva la necessità della compresenza sia della concessione che dell’autorizzazione di polizia, a prescindere dalla distinzione tra soggetti delegati e titolari, nonché tra l’utilizzo di sistemi telematici o altri, anche con riferimento a soggetti che esercitavano l’attività di gioco e di scommesse agendo per conto di una società comunitaria.
Quanto invece al quadro normativo di riferimento in materia di organizzazione del settore della raccolta delle scommesse, il Tar ha posto in luce che l’attribuzione delle concessioni per l’organizzazione di scommesse su eventi sportivi era stata gestita, fino al 2002, dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e dall’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (l’UNIRE); nel 2002 le competenze del CONI e dell’UNIRE in materia di scommesse su eventi sportivi erano state trasferite, in seguito ad una serie di interventi legislativi, all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato che agisce sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Con il decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani), convertito in legge dalla legge n. 248 del 2006, era stata demandata all’adozione di decreti ministeriali la disciplina della raccolta del gioco su eventi diversi dalle corse dei cavalli, prevedendosi l’ammissione a tale attività degli operatori che esercitavano la raccolta di gioco presso uno Stato membro dell’Unione europea, degli operatori di Stati membri dell’Associazione europea per il libero scambio e anche degli operatori di altri Stati.
In ultimo, l’art. 10 comma 8 octies, del decreto legge n. 16 del 2012 aveva introdotto, nelle more di un riordino delle norme in materia di gioco pubblico, una disciplina volta a favorire tale riorganizzazione attraverso, innanzitutto, un primo allineamento temporale delle scadenze delle concessioni aventi ad oggetto la raccolta delle scommesse, e con contestuale adeguamento ai principi stabiliti dalla sentenza Costa-Cifone delle regole nazionali di selezione dei soggetti che, per conto dello Stato, raccoglievano scommesse.
Ivi era stata prevista, in considerazione della scadenza di un gruppo di concessioni per la raccolta delle scommesse, l’indizione di una gara per la selezione dei soggetti che dovevano raccogliere le scommesse aperta a tutti i soggetti che già esercitavano attività di raccolta di gioco in uno degli Stati dello spazio economico europeo, stabilendo il numero di diritti da concedere, il relativo prezzo e la durata delle concessioni, nonché i criteri per il loro affidamento.
Così delineato il quadro di rifermento normativo, il Tar ha quindi rimarcato che sulla delicata materia (ed in particolare sulla questione della attività di raccolta di gioco e scommesse attraverso i CTD senza concessione e senza autorizzazione in territorio italiano) si erano susseguite numerose pronunce della Corte di Giustizia.
In particolare, la sentenza n. 243 del 6 novembre 2003 (c.d. Gambelli), resa con riferimento alle concessioni rilasciate nel 1999 (c.d. concessioni CONI), nel rilevare come l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari del settore delle scommesse relative ad eventi sportivi in Italia fosse dovuta alla circostanza che la normativa italiana in materia di bandi di gara escludesse, in pratica, che le società di capitali quotate sui mercati regolamentati degli altri Stati membri potessero ottenere concessioni, aveva ritenuto che tale normativa costituisse una restrizione alla libertà di stabilimento.
Il predetto sistema di operatività del gruppo Stanley in Italia attraverso CTD privi di concessioni e di autorizzazioni aveva poi formato oggetto di successive pronunce della Corte di Giustizia: con la sentenza 6 marzo 2007, n. 338, cause riunite C-338/04 e C-360/07 (c.d. sentenza Placanica), era stata esaminata la compatibilità della normativa italiana con i principi del Trattato, ivi affermandosi che una normativa nazionale che vieti l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituiva una restrizione alla libertà di stabilimento, nonché alla libera prestazione dei servizi, previste, rispettivamente, dagli artt. 43 e 49 CE.
Nella predetta decisione, tuttavia, si era predicata la possibilità che la normativa nazionale introducesse restrizioni alla libera prestazione di servizi, in considerazione di specifici obiettivi da perseguire (lotta contro la criminalità e canalizzazione delle attività dei giochi di azzardo nei circuiti controllati), affermandosi che sarebbe spettato – in tale eventualità – ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale rispondesse realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
Il primo giudice ha, altresì, posto in risalto che, con la citata decisione, la Corte aveva ribadito la non conformità ai principi del Trattato di una normativa nazionale escludente dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali, le cui azioni erano quotate nei mercati regolamentati, ed aveva, pure, affermato,, con riferimento alle previste sanzioni penali, la contrarietà con gli artt. 43 e 49 CE di una normativa nazionale che imponeva una sanzione penale a soggetti che avevano esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale, allorché questi soggetti non avessero potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
Con la successiva sentenza 16 febbraio 2012,adottata sulle cause riunite C-72/10 e C-77/10, c.d. Costa-Cifone, la Corte di Giustizia aveva rilevato la contrarietà al diritto dell’Unione della normativa nazionale, che, nel tentare di rimediare all’esclusione di una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica in violazione del diritto dell’Unione, aveva messo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, proteggendo le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti attraverso la previsione della necessità di distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti.
Ivi era stato ancora affermato (quanto alle norme contemplanti la decadenza di concessioni rilasciate al termine della gara) che le cause di decadenza dovessero essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, in modo da non creare incertezza quanto all’obiettivo ed agli effetti delle relative previsioni.
Parimenti era stato ribadito il principio (fondato sugli articoli 43 e 49 CE) della preclusione alla applicabilità di sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione: ciò doveva valere anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest’ultima gara – e la conseguente attribuzione di nuove concessioni – non avesse effettivamente rimediato all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara.
Immediatamente dopo la ricostruzione di tale ordito normativo e giurisprudenziale, il primo giudice ha scrutinato la questione della ammissibilità del ricorso, avuto riguardo alla mancata presentazione, da parte delle società originarie ricorrenti, della domanda di partecipazione alla contestata procedura selettiva per l’affidamento delle concessioni.
Quanto a tale profilo, il Tar ha rammentato che parte appellante sosteneva il carattere immediatamente lesivo di talune disposizioni di gara, che avrebbero reso inutile – o comunque antieconomica – la partecipazione alla gara, precludendo qualsiasi prospettiva imprenditoriale di conservare il rapporto concessorio in caso di aggiudicazione. Ciò muovendo da due assunti: la propria posizione di soggetto illegittimamente escluso dalle precedenti procedure di affidamento delle concessioni, in ragione della contrarietà delle discipline regolanti le stesse al diritto dell’Unione Europea, per come riconosciuto dalla Corte di Giustizia; l’affermato carattere immediatamente lesivo ed escludente di talune delle disposizioni della disciplina di gara.
Ad avviso di parte appellante, la lex specialis di gara le imponeva l’alternativa di dover rinunciare ad esercitare la propria attività di impresa transfrontaliera attraverso la propria rete di Centri Trasmissione Dati – asseritamente riconosciuta legittima dalle sentenze Placanica e Costa–Cifone – al fine di evitare di incorrere in ipotesi di decadenza dalla concessione, o di partecipare alla selezione esponendosi all’applicazione delle previste cause di decadenza dalla concessione, con incameramento delle garanzie prestate, il che avrebbe reso antieconomica la partecipazione stessa.
Muovendosi dall’affermato carattere di legittimità ad operare in Italia attraverso la propria rete di Centri (prestesamente impresso alla propria attività dalle richiamate sentenze della Corte di Giustizia e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione penale), si denunciava il perdurante contrasto della regolamentazione della gara ai principi comunitari declinati dalla Corte di Giustizia: ciò legittimava parte odierna appellante alla proposizione del gravame pur in carenza di presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
Il primo giudice ha quindi proceduto alla disamina dei motivi di ricorso affermando in via di premessa il principio secondo il quale le pronunce della Corte di Giustizia invocate non potevano rivestire idoneità alcuna ad incidere, modificandole, sulle regole del regime impugnatorio vigente e sulle condizioni dell’azione, proprie della disciplina nazionale.
Ha poi rammentato il consolidato principio (in punto di immediata aggredibilità dei bandi di gara in carenza di avvenuta emissione dell’atto applicativo ), secondo il quale, laddove gli atti di gara rechino delle condizioni di partecipazione immediatamente lesive della posizione soggettiva degli aspiranti, in quanto aventi carattere escludente, dalla mancata presentazione della domanda di partecipazione ad una gara non discendeva l’inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso i relativi atti.
Dall’adesione a tale insegnamento, discendeva la necessità di accertare la sussistenza delle condizioni di legittimazione attraverso il riscontro del carattere immediatamente lesivo delle contestate previsioni e la ricostruzione della fisionomia dell’interesse azionato con le singole censure proposte.
In ossequio a tale necessità, il primo giudice ha immediatamente preso in esame le censure concernenti la prevista durata delle concessioni da affidare attraverso la contestata gara.
Tale durata (la scadenza era fissata al 30 giugno 2016), ad avviso delle odierne appellanti, era eccessivamente modesta (rectius: incomparabilmente ristretta rispetto alla durata delle pregresse concessioni) e rendeva non remunerativa la partecipazione alla procedura evidenziale (oltre a consolidare la posizione dei precedenti affidatari, in spregio al dictm contenuto nella sentenza Costa-Cifone della Corte di Giustizia).
In contrario senso, il Tar ha rilevato che, all’evidenza, si trattava di previsione non incidente in alcun modo sui requisiti di partecipazione alla gara, inerendo invece ad una caratteristica del rapporto concessorio da instaurarsi a seguito dell’eventuale aggiudicazione.
Le previsioni incidenti sulla decisione di convenienza – o meno – a partecipare alla gara non potevano in alcun modo essere ricondotte, in senso tecnico e giuridico, ai requisiti di partecipazione alla gara, giustificanti la pronta impugnazione della lex specialis pur in assenza di una domanda di partecipazione.
Per altro verso, l’immediata impugnazione delle clausole del bando – a prescindere dalla presentazione di una domanda di partecipazione alla gara – doveva ritenersi consentita solo quando le stesse clausole fossero state assolutamente irragionevoli e tali da non consentire (nei confronti di tutti i partecipanti e non già di uno soltanto di essi) una valida formulazione dell’offerta: nel caso di specie non ricorreva certamente detta situazione, di guisa che detto profilo di autorizzazione all’ammissibilità del gravame era carente.
Il Tar ha poi vagliato, anche in concreto, le obiezioni mosse da parte appellante alla previsione di contenuta durata delle concessioni, escludendone la fondatezza, in quanto a tale ridotta durata, stabilita per consentire ‘un primo allineamento temporale delle scadenze delle concessioni’ – per come previsto dal citato art. 10, comma 9-octies del decreto legge n. 16 del 2012 – faceva da contrappeso una serie di misure che avevano reso gli obblighi e gli oneri connessi alle nuove concessioni meno gravosi a fronte di quanto previsto per le concessioni precedentemente affidate aventi durata più lunga.
La lex specialis, infatti, e, prima di essa, il suindicato precetto normativo avevano eliminato i limiti riferiti alle distanze tra gli esercizi (cfr Corte di Giustizia, sentenza Costa-Cifone) ed al numero di concessioni attribuibili.
Inoltre: a) era stata fissata una base d’asta a livello normativo sensibilmente inferiore rispetto alle precedenti procedure; b) era stato dimezzato il numero di terminali da utilizzare; c) erano stati ridimensionati gli importi della cauzione provvisoria e di quella definitiva rispetto a quelli delle precedenti gare, parametrandoli alla diversa e minore durata dell’affidamento.
Dunque la durata delle nuove concessioni risultava congrua rispetto al ridotto importo di ciascun diritto ed in alcun modo essa poteva essere considerata una previsione escludente, tale da consentire il riconoscimento, in capo alla parte appellante, di una posizione giuridica legittimante l’azione.
Peraltro l’orientamento giurisprudenziale postulante la possibilità di impugnazione della lex specialis di gara, anche in caso di mancata presentazione della domanda di partecipazione, circoscriveva tale possibilità con riferimento alle ipotesi di clausole precludenti l’utile partecipazione alla gara, nei confronti di tutti gli aspiranti (e non con riferimento ad uno solo di essi).
Per concludere sul punto, il primo giudice ha rimarcato che la prevista durata delle concessioni era funzionale all’obiettivo di allineare cronologicamente le loro scadenze (30 giugno 2016) a quelle delle convenzioni precedentemente stipulate (a quel 30 giugno 2016 cessavano le concessioni c.d. Bersani): i relativi negativi effetti erano contemperati, appunto,dal previsto affievolimento degli oneri gravanti sul partecipante, per cui nessun carattere discriminatorio poteva ravvisarsi in tale contenuta durata (del resto la giurisprudenza comunitaria richiedeva che la durata delle concessioni fosse fissata in modo tale da consentire di ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali impiegati: ciò risultava pienamente realizzato).
Neppure, ad avviso del Tar, era riscontrabile una discriminazione a favore dei precedenti concessionari, non essendovi alcuna garanzia che gli stessi sarebbero risultati aggiudicatari delle nuove concessioni e non contenendo la lex specialis alcuna previsione di privilegio per gli stessi.
La circostanza che l’appellante fosse stata in passato destinataria delle richiamate pronunce della Corte di Giustizia non configurava in capo alla stessa una speciale legittimazione a dolersi (in assenza di domanda di partecipazione alla procedura) della relativa regolamentazione.
E per altro verso, l’essere stata – per come riconosciuto dalle sentenze della Corte di Giustizia – illegittimamente esclusa dalle precedenti procedure di affidamento delle concessioni di gioco, non faceva sì che la stessa avesse acquisito la titolarità di una speciale posizione di interesse qualificato e differenziato, rispetto alla generalità dei soggetti, che consentisse di prescindere dalla proposizione della domanda di partecipazione alla gara al fine di radicare il proprio interesse.
Al successivo capo (n. 5) della gravata decisione, il Tar ha preso in esame le censure avversanti le previsioni contenute nella lex specialis di gara relative alle cause di revoca e di decadenza della concessione (previste dallo schema di convenzione relativo al rapporto di concessione per l’esercizio dei giochi pubblici, di cui all’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge n. 16 del 2012)
Dette previsioni, contenute nell’art. 23, comma 2, lettere a), e) e k), del medesimo schema, si riferivano, in particolare:
-. alle ipotesi di rinvio a giudizio per reati giudicati dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato tali da far escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario, in ragione della natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione;
-. alle ipotesi di organizzazione, esercizio e raccolta di giochi pubblici con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalle disposizioni legislative, regolamentari e convenzionali vigenti;
-. alle ipotesi di violazione accertata dagli organi competenti della normativa in materia di repressione delle scommesse e del gioco anomalo, illecito e clandestino.
Ad avviso di parte appellante, dette prescrizioni erano idonee a privare di qualsiasi utilità economica la partecipazione alla gara, con riveniente affermata loro immediata lesività e impugnabilità, a prescindere dall’avvenuta presentazione di una domanda di partecipazione.
Il ragionamento svolto per supportare questa tesi era stato il seguente: in ragione della propria posizione di soggetto esercitante in territorio italiano l’attività transfrontaliera in materia di scommesse senza essere in possesso di concessione, né di autorizzazione di polizia, della pendenza di procedimenti penali a carico di taluni esponenti aziendali per il reato di cui all’art. 4 della legge n. 401 del 1989, dell’esercizio, attraverso i propri CTD, di attività di gioco con modalità diverse da quelle previste dalla disciplina italiana ed in violazione della normativa in materia di repressione del gioco irregolare, essa paventava di incorrere nelle previste cause di decadenza.
Una volta conseguita l’aggiudicazione, le sarebbe stato comunque precluso l’esercizio delle attività di cui alla concessione (destinata ad essere travolta da una declaratoria di decadenza) con conseguente incameramento delle garanzie prestate e grave danno economico.
Di fatto, dette previsioni sarebbero state preclusive dell’utile partecipazione alla gara (con conseguente loro impugnabilità a prescindere dalla presentazione della domanda di partecipazione alla procedura).
Il Tar ha disatteso, però, anche tale prospettazione del mezzo di primo grado.
Il primo giudice, infatti – pur contestando la trasposizione alla fase di qualificazione (e, quindi, di partecipazione alla procedura) di condizioni previste dalla regolamentazione di gara solo quali requisiti di mantenimento della concessione (pena la decadenza), inerenti, cioè, ad una fase successiva all’aggiudicazione – ha comunque esaminato nel merito dette censure, disattendendole.
Nella tesi della originaria parte ricorrente simili clausole le avrebbero precluso l’utile partecipazione alla procedura: ciò sia in relazione alla denunciata sussistenza dei presupposti per la declaratoria della decadenza dalla concessione in ragione del proprio modus operandi, sia con riferimento alla necessità (al fine di non incorrere in tale decadenza) di rinunciare ad esercitare la propria attività di impresa transfrontaliera attraverso la propria rete di Centri Trasmissione Dati (quest’ultima, nell’assunto, riconosciuta legittima dalle sentenze Placanica e Costa–Cifone).
Senonché, ad avviso del Tar, tali presupposti erano insussistenti.
Ciò in quanto la giurisprudenza comunitaria, nell’affermare che il divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comportava restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenze Gambelli e Placanica), aveva riconosciuto, tuttavia, l’ammissibilità di restrizioni a tali diritti o a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 e 49 CE, o in quanto giustificate da motivi imperativi di interesse generale.
Analogo giudizio di compatibilità del sistema concessorio con il diritto dell’Unione era stato espresso dalla Corte di Giustizia con riferimento all’instaurazione di monopoli pubblici, potendo un sistema nazionale, che prevedesse un’autorizzazione limitata dei giochi d’azzardo nell’ambito di diritti speciali o esclusivi riconosciuti o concessi a determinati soggetti, essere volto al perseguimento di obiettivi di interesse generale di tutela del consumatore e dell’ordine sociale.
Con specifico riferimento alla posizione della Stanley – operante in Italia attraverso i CTD, quali operanti tramite l’offerta dei loro servizi in locali aperti al pubblico, con la messa a disposizione degli scommettitori di un percorso telematico per accedere al server della Stanley situato nel Regno Unito, Centri i cui gestori, esercitando attività di raccolta di scommesse senza concessione e senza, conseguentemente, l’autorizzazione di polizia, erano passibili di sanzione penale -, la sentenza Placanica, nel rilevare la contrarietà ai principi del Trattato delle disposizioni precludenti alle società di capitali di ottenere la concessione per l’attività di gioco ed atte, così, a rendere impossibile, in modo illegittimo, l’esercizio di diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario, aveva affermato, quanto alle autorizzazioni di polizia, che la loro mancanza non potesse essere addebitata ai soggetti; ciò dato che costoro non avrebbero potuto ottenere quelle autorizzazioni per il solo fatto che il rilascio di tale autorizzazione presupponeva l’attribuzione di una concessione di cui detti soggetti non avevano potuto beneficiare in violazione del diritto comunitario.
Con la sentenza Costa-Cifone la Corte aveva ravvisato un ingiustificato ostacolo alla partecipazione alla “gara Bersani” della Stanley, i cui rappresentanti erano all’epoca sottoposti a procedimenti penali avviati prima della sentenza Placanica (ai sensi della quale non potevano applicarsi sanzioni penali – per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia – a persone legate a un operatore già escluso dalle gare in violazione del diritto dell’Unione).
Sulla base di tale presupposto, aveva ritenuto dunque la Corte che la nuova gara c.d. Bersani non avesse rimediato all’esclusione dell’operatore dalla precedente gara (cui si riferiva la sentenza Placanica).
La detta sentenza, quindi, si limitava ad affermare la preclusione all’applicazione di sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate a un operatore, come la Stanley, che, appunto, era stato escluso dalle gare precedenti in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara prevista dal decreto Bersani.
In coerente applicazione di tali principi interpretativi, la Corte di cassazione penale aveva disapplicato la norma sanzionatoria recata dall’art. 4 della legge n. 401 del 1989 in ragione della peculiare posizione della società Stanley.
Da tali arresti giurisprudenziali discendeva la conseguenza che la portata delle sentenze della Corte di Giustizia riverberava effetti (quanto alla posizione di una società ricorrente rispetto all’ordinamento italiano) solo con riferimento alla non suscettibilità di applicazione delle sanzioni penali per l’esercizio del gioco da parte di propri esponenti aziendali o titolari dei CTD, in quanto illegittimamente esclusa dalle precedenti gare in virtù di una disciplina contraria ai principi del Trattato.
Ciò non implicava che fosse stato in tal modo scalfito il sistema concessorio, ritenuto ammissibile in quanto giustificato da scopi di interesse generale e, di per sé, proporzionato al perseguimento degli stessi.
Se le pronunce comunitarie esplicavano certamente, quindi, effetti sul piano delle conseguenze penali previste dall’ordinamento italiano per l’esercizio dell’attività di gioco e scommesse senza concessione e senza autorizzazione di polizia (ciò a fronte dell’illegittima esclusione della Stanley dalle precedenti procedure di affidamento delle concessioni, come derivante da riscontrati profili di contrasto con il diritto comunitario di talune previsioni dettate dalle discipline delle gare precedentemente indette), giammai era stata affermata, nelle citate pronunce, la conformità del modus operandi Stanley attraverso i propri CTD al diritto interno italiano.
Non era stata quindi mai affermata una “esenzione” di parte appellante dall’assoggettamento alla disciplina interna di carattere concessorio, né mai era stata sancita la contrarietà del sistema concessorio ed autorizzatorio al diritto comunitario.
Tali pronunce si erano limitate ad affermare, si ripete, come in ragione della illegittima esclusione – derivante da talune previsioni della complessiva disciplina interna, ivi compresa quella riferita alle gare espletate – non potessero derivare conseguenze sul piano penale.
L’assenza di un’armonizzazione comunitaria nel settore dei giochi e le notevoli diversità degli obiettivi perseguiti e dei livelli di protezione ricercati dalle normative dei vari Stati comunitari consentivano che uno Stato membro potesse non considerare sufficienti i controlli cui l’operatore estero soggiaceva nel Paese dell’Unione dove era stabilito (e che lo facoltizzavano allo svolgimento di operazioni transfrontaliere). Non era pertanto contraria ai principi dell’Unione l’imposizione di specifici ed ulteriori meccanismi di controllo e di abilitazione, potendo quindi la normativa nazionale introdurre restrizioni alla libera prestazione di servizi garantita dall’art. 49 del Trattato, giustificate da motivi imperativi di interesse generale a condizione che siano rispettati i criteri di reale finalizzazione, proporzionalità ed effettività, equivalenza e non discriminazione.
In conclusione, ad avviso del Tar, poteva affermarsi la legittimità comunitaria del sistema concessorio fondato sul titolo concessorio e su quello autorizzatorio.
Pregnante conseguenza di tale ricostruzione riposava nella affermazione per cui, dalle richiamate decisioni della Corte di Giustizia, discendeva il solo effetto della esclusione, per il passato, della punibilità per i soggetti impossibilitati ad ottenere la concessione in ragione della contrarietà al diritto comunitario di taluni profili della normativa disciplinante le relative gare di affidamento.
Al di fuori delle condizioni di diritto e di fatto su cui poggiavano le sentenze Placanica e Costa-Cifone, si riespandeva quindi l’assoggettamento della originaria ricorrente alla normativa nazionale, anche penale, stante il contrasto delle modalità con cui essa operava in Italia (CTD) con il diritto interno.
Anche la Corte di cassazione penale (Sez. III, 16 maggio 2012 n. 18767) aveva affermato che (al di fuori dei casi di sanzioni applicate a soggetto già illegittimamente escluso dalle gare in violazione del diritto dell’Unione), “qualora non si tratti di una società che si trovi in questa particolare situazione, la normativa nazionale che sottopone a concessione ed autorizzazione di polizia la raccolta di scommesse non è in contrasto con le norme del Trattato, essendo finalizzata alla tutela di interessi di ordine pubblico (limitazione e controllo del giuoco d’azzardo; impedimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata e ad operazioni di riciclaggio), con l’ulteriore conseguenza che i centri di trasmissione dati che operano per società che non si trovano nella detta situazione senza essere muniti delle necessarie concessioni ed autorizzazioni di polizia non sono esenti dalle sanzioni penali.”
In sintesi, ad avviso del primo giudice, nessuna consolidata posizione – avente copertura nelle pronunce della Corte di Giustizia – poteva vantare l’appellante in ordine alla possibilità di proseguire la propria attività in Italia attraverso la propria rete, non risultando essa in alcun modo affrancata dal rispetto della normativa interna, ritenuta non illegittima dalla Corte di Giustizia.
La prospettata alternativa tra la scelta di partecipare alla gara rinunciando al contempo, alla propria attività transfrontaliera, altrimenti incorrendo in una causa di decadenza dalla concessione, non costituiva una conseguenza della disciplina di gara tale da connotarla in termini di immediata lesività, ma discendeva, piuttosto, da una libera scelta della odierna parte appellante.
In punto di legittimazione attiva, la contestata previsione della decadenza dalla concessione per i casi di organizzazione, esercizio e raccolta di giochi pubblici con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalle disposizioni legislative regolamentari e convenzionali vigenti e per le ipotesi di violazione accertata dagli organi competenti della normativa in materia di repressione delle scommesse e del gioco anomalo, illecito e clandestino – di cui allo schema di convenzione – non era suscettibile di arrecare un danno immediato alla posizione di parte appellante tale da consentirne l’immediata impugnazione pur in assenza di domanda di partecipazione alla gara, avendo quest’ultima la possibilità, una volta conseguita l’aggiudicazione, di rimuovere la situazione riconducibile alle previste cause di decadenza.
Né, sulla base di una inammissibile trasposizione delle conseguenze penali delle sentenze della Corte di Giustizia sul piano amministrativo, poteva riconoscersi all’attività della Stanley il carattere di legittimo esercizio delle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi: ciò proprio perché le dette pronunce si erano limitate ad affermare la non punibilità penale dei soggetti incorsi in ipotesi di reato in ragione dell’esercizio di attività di gioco in assenza di una concessione che era stata illegittimamente loro negata.
Da ciò non poteva desumersi il riconoscimento della legittimità di tali attività successivamente all’indizione di una nuova gara o la sussistenza di una posizione protetta dalla giurisprudenza comunitaria, che dovessero essere salvaguardate dalla nuova disciplina di gara.
Diversamente argomentando, si sarebbe finito con l’attribuire alla Stanley una posizione di ingiustificato privilegio.
Ciò in ragione della possibilità in capo a questa di operare senza i vincoli derivanti dal sistema concessorio (prestazione di cauzione, rischio di decadenza, limite al numero dei punti commerciali, posizionamento dei locali) che invece gravavano su coloro che avevano partecipato alla gara e si erano aggiudicati la concessione, ed in ragione della possibilità di stipulare contratti per la gestione dei punti di commercializzazione con persone che nei fatti non erano sottoposte ai controlli preventivi previsti dal T.U.L.P.S. (e che, per questo, a differenza dei gestori dei punti di commercializzazione riferibili a soggetti concessionari, non erano soggette a revoca dell’autorizzazione neppure in caso di sopravvenute situazioni di incompatibilità col regime della autorizzazione e della concessione).
La stessa Corte di Giustizia, nella sentenza Placanica, nell’affermare che “in assenza di una procedura di attribuzione di concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori”, presupponeva che l’assoggettamento all’ordinamento interno, anche sotto il profilo sanzionatorio, doveva trovare piena riespansione al momento in cui agli operatori illegittimamente esclusi fosse stata data la possibilità di ottenere la prevista concessione attraverso una procedura di affidamento, valendo le condizioni di non punibilità unicamente per il periodo anteriore all’indizione di una nuova gara e di attribuzione di nuove concessioni e non avendo la Corte di Giustizia in alcun modo pienamente legittimato le attività svolte dalle società ricorrenti in Italia attraverso i CTD.
Il Tar ha poi rammentato che l’odierna parte appellante aveva anche sostenuto l’affermata illegittimità dell’indizione di una nuova gara di affidamento di concessioni per l’esercizio delle attività di gioco, sull’assunto che lo Stato avrebbe dovuto procedere, al fine di conformarsi a quanto statuito dalla Corte di Giustizia, alla revoca di tutte le concessioni precedentemente rilasciate per poi affidarle sulla base di una nuova procedura.
Ma tale tesi collideva con quanto affermato dalla Corte di Giustizia, secondo la quale l’indizione di una nuova gara per l’affidamento di nuove concessioni era riconosciuta quale rimedio adeguato per la tutela dei diritti degli operatori illegittimamente esclusi dalle precedenti gare.
Tale ultima opzione, peraltro, si appalesava corretta anche sul piano dell’opportunità amministrativa, laddove l’auspicata revoca di tutte le concessioni precedentemente rilasciate e la loro successiva distribuzione avrebbe illegittimamente inciso sulle posizioni acquisite dai concessionari – irrimediabilmente pregiudicati da una eventuale revoca, adottata al fine di rimediare all’illegittima esclusione di taluni operatori -, la quale non sarebbe risultata rispondente al criterio di proporzionalità, tenuto conto del sacrificio che sarebbe imposto ai precedenti concessionari rispetto allo scopo (che era quello di consentire agli operatori precedentemente illegittimamente esclusi di poter operare in Italia sulla base di un titolo concessorio conseguito in condizioni di parità con altri soggetti).
Tale ultima esigenza era stata pienamente salvaguardata dalla indizione della nuova gara avversata.
Anche a non sottacere che i precedenti concessionari potevano godere di un vantaggio concorrenziale (per avere iniziato la propria attività prima degli operatori illegittimamente esclusi ed essersi insediati sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria), le conseguenze applicative delle sentenze della Corte di Giustizia non si estendevano alla necessità di eliminazione di tale vantaggio competitivo attraverso la revoca delle concessioni, sancendo esse il solo limite, in caso di adesione alla diversa opzione (pure suggerita) di indizione di una nuova gara, di non concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari, vantaggi che potessero perpetuare e rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima di questi ultimi dalle precedenti gare ( il che avrebbe integrato una ulteriore violazione degli articoli 43 e 49 del Tratto e del principio di parità di trattamento), rendendo eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione agli operatori illegittimamente esclusi dalle precedenti gare.
La nuova disciplina sottesa all’affidamento di concessioni di gioco aveva eliso – in coerente applicazione con le indicazioni comunitarie – i profili di ritenuta incompatibilità comunitaria della precedente regolamentazione, sancendo l’assenza di limiti territoriali e di concentrazione numerica dei diritti assegnabili, così evitando che i soggetti già concessionari potessero godere di una situazione di vantaggio rispetto ai nuovi concessionari
In conclusione, anche sotto tale profilo, ad avviso del Tar, le condizioni di parità, invocate al fine di poter conseguire il titolo concessorio, non transitavano necessariamente attraverso la previa revoca delle precedenti concessioni e la loro messa a gara, ma erano adeguatamente soddisfatte dalla nuova gara, “depurata” dai profili di incompatibilità comunitaria affermati nelle citate sentenze della Corte di Giustizia.
Non poteva, quindi, riconoscersi, in capo alle appellanti, una posizione giuridica qualificata e tutelata ad operare, successivamente all’indizione della nuova gara, sulla base delle modalità operative e gestionali sinora attuate, con la conseguenza che le cause di decadenza riferite alle ipotesi di organizzazione, esercizio e raccolta dei giochi pubblici con modalità diverse da quelle previste dalla normativa anche regolamentare e convenzionale, ed alle ipotesi di violazione della normativa in materia di repressione delle scommesse e del gioco anomalo, illecito e clandestino (di cui all’art. 23 dello schema di convenzione) non si traducevano in clausole immediatamente lesive, tali da legittimarne l’immediata impugnazione pur in assenza di una domanda di partecipazione alla selezione.
Le previste cause di decadenza si riferivano a vicende successive all’affidamento della concessione: la permanenza nelle situazioni riconducibili a tali cause andava ascritta ad una libera scelta delle originarie ricorrenti, cosicché le stesse non potevano lamentare il carattere immediatamente lesivo delle corrispondenti previsioni sul presupposto dell’esistenza di un interesse ad un’utile partecipazione alla gara.
Semmai, il non voler rinunciare ad operare in Italia attraverso la propria rete di CDT (così non optando per l’esercizio di attività in materia di gioco sulla base di un titolo concessorio) sottoponeva le stesse alle previste cause di decadenza in virtù di una loro libera scelta di non adeguarsi alla disciplina interna.
La affermata non utilità della partecipazione alla gara – come riferita all’immediata applicabilità della previste cause di decadenza –, che avrebbe asseritamente legittimato l’immediata impugnazione dei relativi atti, pur in assenza di domanda di partecipazione, doveva invece ascriversi unicamente alla decisione delle appellanti di non dismettere, dopo l’eventuale aggiudicazione, la propria rete.
Alle medesime conclusioni, peraltro, doveva giungersi, sempre secondo il Tar, anche sulla base della distinzione tra la fase di aggiudicazione e la successiva fase del rapporto: le contestate previsioni erano infatti destinate a governare la fase esecutiva del rapporto concessorio (ontologicamente successiva alla fase di partecipazione alla gara e di aggiudicazione), con la conseguenza che solo i soggetti che avevano partecipato alla procedura potevano vantare un interesse concreto e attuale, in caso di loro applicazione, a dolersene (poiché le contestate cause di decadenza, previste dallo schema di convenzione, potevano, infatti, operare solo nei confronti dell’eventuale affidatario della concessione, senza in alcun modo incidere sulla fase di partecipazione alla selezione e senza poter determinare l’esclusione del concorrente dalla stessa).
Ad avviso del Tribunale amministrativo analoghe considerazioni dovevano essere svolte anche con riferimento all’ulteriore causa di decadenza dal rapporto concessorio (indicata quale motivo ostativo all’utile partecipazione alla selezione), relativa alle ipotesi di rinvio a giudizio per reati giudicati dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato tali da far escludere l’affidabilità, la professionalità e l’idoneità morale del concessionario, in ragione della natura, della gravità, delle modalità di esecuzione e della connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione.
Anche tale causa di decadenza atteneva alla fase di esecuzione e di gestione del rapporto contrattuale, non avendo alcun riflesso di tipo preclusivo sul momento di partecipazione alla selezione e di requisiti di ammissione.
Neppure poteva farsi discendere il carattere immediatamente lesivo della contestata previsione dalla dedotta circostanza che si sarebbe trattato di una mera riproduzione dell’analoga clausola di cui allo schema di convenzione accessivo alla gara c.d. Bersani, dichiarata dalla Corte di Giustizia in contrasto con il diritto dell’Unione, con conseguente perpetuazione della discriminazione già operata e dell’illegittima esclusione dall’accesso alle concessioni di gioco.
Ciò in quanto il gravato schema di convenzione recava una nuova formulazione delle cause di decadenza riconducibili al rinvio a giudizio, che aveva ottenuto il parere favorevole del Consiglio di Stato, pronunciatosi sull’affare n. 6033/2012 con parere n. 3337 del 19 luglio 2012, superando in tal modo i rilievi critici contenuti nella sentenza Costa-Cifone rivolti avverso lo schema di convenzione attinente alle procedure di gara regolate dal decreto legge c.d. Bersani.
Il vincolo discendente dalla citata sentenza non si estendeva, in effetti, ad avviso del Tar, alla preclusione per l’ordinamento interno all’introduzione di cause di decadenza non ancorate a sentenze passate in giudicato, espressamente ammettendo la Corte di Giustizia l’adozione di misure preventive nei confronti di un operatore sospettato, sulla base di indizi concludenti, di essere implicato in attività criminali, purché le circostanze nelle quali doveva applicarsi la decadenza fossero enunciate in modo chiaro, preciso e univoco.
Il Tar ha in proposito rimarcato che la valutazione di non conformità al diritto comunitario era rivolta dalla Corte alla previsione di decadenza ricollegata ad “ogni altra ipotesi di reato suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS”, di cui al previgente schema di convenzione.
Al contrario, l’ultimo formulazione di tale causa di decadenza, contenuta nel gravato nuovo schema di convenzione all’art. 23, comma 2, lettera a), presentava un grado di chiarezza e precisione tale da far ritenere superate le criticità riscontrate, in quanto le cause di decadenza, attraverso la formulazione della previsione in esame, erano quelle in cui la qualità di imputato si riferiva alle ipotesi previste dall’art. 24, comma 25 del decreto legge n. 98 del 2011, o alle residuali ipotesi in cui il concessionario rivestiva la qualità di indagato per i medesimi reati, ovvero di indagato o imputato per reati diversi da quelli indicati dall’art. 24, comma 25, giudicati dal legislatore di minore gravità, le quali risultavano conformi alla pronuncia Costa-Cifone ( dovendosi fondare il giudizio di inaffidabilità, di mancanza di professionalità e di inidoneità morale del concessionario su indizi concludenti, sulla natura, sulla gravità e sulle modalità di esecuzione del reato, nonché sulla sua connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione).
La prevista causa di decadenza, come fondata sui criteri di non affidabilità, professionalità ed idoneità morale del concessionario, risultava, inoltre, rispondente al principio di proporzionalità rispetto all’interesse protetto, in relazione alla delicatezza del settore ed alla presenza di motivi imperativi di interesse pubblico sottesi alla sua regolamentazione.
Con l’ultimo capo della gravata sentenza (n. 7), il Tar ha preso in esame la censura volta a dolersi dell’introduzione di obblighi più onerosi rispetto a quelli cui erano soggetti i precedenti concessionari, con conseguente discriminazione a danno dei nuovi aspiranti ad ottenere il titolo concessorio.
Parte appellante, in particolare, aveva fatto riferimento all’attuazione che della legge di stabilità 2011 (13 dicembre 2010 n. 220) era stata operata, per effetto dell’adozione dei decreti n. 1845 del 2011 e n. 1861 del 2011 ( con i quali erano state introdotte prescrizioni regolatrici delle concessioni – riferite al possesso di requisiti di solidità patrimoniale, a limitazioni delle scelte imprenditoriali, di destinazione degli utili e di certificazione contabile – valevoli solo per le nuove concessioni, rendendole in tal modo molto onerose e poco appetibili).
Il Tar ha in proposito evidenziato che anche tali previsioni inerivano alla fase attuativa del rapporto concessorio (presupponendo che il soggetto che intendeva dolersene avesse presentato domanda di partecipazione alla selezione e fosse divenuto aggiudicatario, altrimenti difettando il requisito dell’interesse a ricorrere,).
Ha ribadito, inoltre, che – affinché potesse ammettersi l’immediata impugnazione degli atti di gara – il carattere di antieconomicità e non utilità della partecipazione ad una gara doveva assumere carattere generalizzato ed oggettivo e non essere riferito alla situazione di un singolo aspirante partecipante: le valutazioni espresse sul punto attenevano alla sfera propria ed esclusiva di parte appellante, e non intaccavano in sé la procedura.
Trattavasi di previsioni destinate a trovare uniforme applicazione nei confronti di tutti i concessionari, cosicchè le lamentate difficoltà di carattere gestionale, tecnico e organizzativo, nonché la maggiorazione dei costi e oneri di gestione, si risolvevano in circostanze di mero fatto, singolarmente riferibili alle società appellanti ed inidonee ad inficiare le contestate previsioni (oltre a non risolversi in requisiti di ammissione alla procedura selettiva, per il fatto di individuare criteri di valutazione di carattere contabile e tecnico connessi alla successiva e solo eventuale gestione del rapporto concessorio).
Parte appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
L’atto di appello si struttura nella maniera di seguito indicata.
Nelle prime ventotto pagine del ricorso l’appellante riepiloga le principali tappe del risalente contenzioso intrattenuto con le Autorità amministrative italiane ed indica quali siano – secondo il proprio avviso – i principi giuridici che dovrebbero essere applicati in subiecta materia.
La seconda parte dell’appello (pagg. 29-75) contiene le quattro macrocensure con le quali l’appellante critica la motivazione della impugnata decisione.
In sintesi, ivi si sostiene che il Tar non avrebbe potuto dichiarare la inammissibilità del ricorso di primo grado proposto, in quanto la parte appellante medesima vantava una posizione differenziata, che ben le avrebbe consentito di censurare il bando e la convenzione accessiva pur non avendo proposto domanda di partecipazione alla gara.
I plurimi motivi di illegittimità del bando, quindi, consentivano la proposizione del ricorso, in quanto la struttura del medesimo era collidente con il diritto comunitario sotto più profili.
Nella terza porzione dell’atto di appello, (pagg. 76 -93) parte appellante ha riproposto le undici censure già prospettate in primo grado, chiedendo che questo Collegio – rimossa la statuizione di improcedibilità asseritamente erronea resa dal primo giudice – provveda ad esaminarle partitamente.
In ultimo (pag 93- 102), ha elencato quali sarebbero le questioni di interpretazione comunitaria prospettabili innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE.
Le parti appellate hanno depositato memorie chiedendo la declaratoria di inammissibilità od infondatezza del gravame e l’appellante ha puntualizzato le proprie doglianze depositando una memoria di replica
All’adunanza camerale del 13 maggio 2013, fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della esecutività della gravata decisione, su concorde richiesta di tutte le parti processuali, la trattazione della causa è stata rinviata al merito.
Parte appellante ha poi depositato, in vista della pubblica udienza, una memoria, chiedendo un rinvio della trattazione dell’appello, in quanto talune cause che avrebbero potuto presentare elementi di interferenza con l’odierno giudizio pendono innanzi alla Terza Sezione del Consiglio di Stato e ne risultava già fissata l’udienza di discussione per il 14 novembre 2013.
Tale richiesta è stata respinta dalla presidenza del Collegio alla pubblica udienza del 2 luglio 2013; e in tale udienza, dopo amplissima discussione, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente si ribadisce che, come già fatto presente alle parti nel corso della discussione, il Collegio non ha giudicato di poter aderire alla richiesta di lungo rinvio proposta dall’appellante (che, a suo tempo, aveva già rinunciato all’istanza cautelare in vista di una sollecita trattazione del merito); si è ritenuto, infatti, che l’oggetto delle cause che saranno esaminate dalla Terza Sezione il 14 novembre 2013 non appare interferire con l’odierno giudizio, in quanto quell’oggetto è incentrato sull’effetto dei principi affermati dalle sentenze Costa-Cifone e Placanica sull’attuale posizione dei titolari di CTD.
1.1. Ciò posto, si omette una partita illustrazione delle modalità di funzionamento dei CTD di pertinenza dell’odierna parte appellante, ed un riepilogo del pregresso contenzioso da questa intrattenuto con lo Stato italiano, apparendo sufficiente, sotto tale secondo profilo, rinviare alla completa ricostruzione esposta nella decisione di primo grado (che sotto il profilo cronologico ed elencativo non è stata contestata nella sua esattezza da alcuna parte processuale).
Quanto al primo aspetto, invece, si rinvia alla completa ricostruzione operata dalla Corte giustizia Comunita’ Europee Grande Sez., 06-03-2007, in cause riunite n. 338/04, n. 359/04 e n. 360/04 nota come sentenza Placanica, laddove (punti 20, 21,23,24) si afferma che : “la Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la ) è una società di diritto inglese appartenente al gruppo Stanley Leisure plc, società di diritto inglese quotata alla Borsa di Londra (Regno Unito). Entrambe le società hanno la propria sede sociale in Liverpool (Regno Unito). Il gruppo opera nel settore dei giochi d’azzardo e rappresenta il quarto maggior bookmaker e il primo gestore di case da gioco nel Regno Unito.
La Stanley è uno dei canali operativi del gruppo Stanley Leisure plc al di fuori del Regno Unito. Essa è debitamente autorizzata ad operare come allibratore in tale Stato membro in forza di una licenza rilasciata dal Comune di Liverpool ed è assoggettata ai controlli di ordine pubblico e sicurezza da parte delle autorità britanniche, ad accertamenti interni sul regolare svolgimento delle attività, a controlli da parte di una società privata di audit e a controlli da parte del Tesoro e dell’amministrazione doganale del Regno Unito.
La Stanley opera in Italia tramite l’intermediazione di oltre duecento agenzie, comunemente denominate (in prosieguo: i ). Questi ultimi offrono i loro servizi in locali aperti al pubblico in cui mettono a disposizione degli scommettitori un percorso telematico che consente loro di accedere al server della Stanley situato nel Regno Unito. Gli scommettitori possono in tal modo, per via telematica, inviare alla Stanley proposte di scommesse sportive selezionate all’interno dei programmi di eventi e quotazioni forniti dalla Stanley, nonché ricevere l’accettazione di tali proposte, pagare le loro poste e, se del caso, riscuotere le loro vincite.
24. I CTD sono gestiti da operatori indipendenti legati alla Stanley da contratto.”
2.Ciò premesso, ritiene il Collegio di dovere in via assolutamente preliminare riepilogare quali siano le censure proposte e, insieme, provvedere a fissare alcuni punti fermi, esponendo il proprio convincimento su alcune questioni che costituiscono cardine orientativo per la decisione delle delicate tematiche devolute allo scrutinio giudiziale, anche e soprattutto nell’intento di sgombrare il campo da censure che appaiono certamente pretestuose e manifestamente infondate.
Tale modo di procedere si rende necessario alla stregua della progressione delle censure sostanziali articolate dall’appellante, che, in via di assoluta approssimazione e sintesi possono essere ricondotte alla seguente sequenza (esposta in via gradata, muovendo dalle critiche più radicali).
2.1. Si sostiene in particolare da parte dell’appellante, (sia sotto il profilo sostanziale che per chiarire la propria affermata legittimazione a ricorrere pur in carenza di proposizione della domanda di partecipazione alla gara di che trattasi), riproponendosi nel merito il contenuto del mezzo di primo grado, quanto segue.
a) Lo Stato italiano, alla luce del diritto comunitario affermato dalla Corte di Giustizia giammai avrebbe potuto bandire questa gara – né alcuna altra gara, quali ne fossero le prescrizioni ivi contenute – senza avere prima revocato le concessioni attualmente in essere (primo motivo di appello e primo motivo del mezzo di primo grado).
b) Comunque, in concreto, anche a volere ammettere che si potesse bandire una nuova gara senza previa revoca delle pregresse concessioni, la nuova gara avrebbe dovuto presentare prescrizioni positive atte a rimuovere i vantaggi di cui avrebbero goduto i concessionari “pregressi”, allorché avessero proposto domanda di partecipazione (seconda parte del primo motivo di appello, punto 36).
c) Se anche, poi, si fosse negato fondamento alle tesi esposte ai precedenti punti a e b (e si fosse quindi approdati ad una tesi “riduttiva”, secondo la quale, affinché la nuova gara fosse stata legittima ed “idonea” a rimuovere le pregresse discriminazione, sarebbe stato sufficiente che essa non avesse attribuito “ulteriori” vantaggi ai pregressi concessionari), ugualmente la gara avversata, in concreto, non soddisfaceva tale condizione: essa, infatti, (non soltanto non rimuoveva i vantaggi goduti dai precedenti concessionari, ma) perpetuava e rafforzava la posizione dei pregressi concessionari che avessero presentato domanda di partecipazione rispetto all’appellante (contrastando con le espresse indicazioni contenute nella sentenza Costa-Cifone). Ciò sarebbe avvenuto, in particolare, perché:
c1) la nuova gara era finalizzata ad attribuire concessioni, che avevano durata ridotta rispetto a quelle bandite in passato; e ciò significava che i “nuovi” partecipanti avrebbero dovuto effettuare investimenti più cospicui per un breve torno di tempo e che coloro i quali erano già concessionari si sarebbero avvantaggiati di una rendita di posizione già al momento della presentazione della domanda di partecipazione (quinto motivo del mezzo di primo grado);
c2) la avversata nuova gara imponeva requisiti più rigidi rispetto al passato, incorrendo nell’inconveniente già indicato al punto precedente (terzo e quarto motivo del mezzo di primo grado).
Inoltre (e con più specifico riferimento alla posizione dell’appellante quale soggetto operante in Italia e destinatario in passato di discriminazioni):
c3) le condizioni previste nello schema di convenzione accessiva – disconoscendo la legittimità del modulo operativo Stanley attraverso CTD, che, asseritamente, costituiva approdo pacifico del diritto comunitario – avrebbero obbligato quest’ultima a disfarsi della propria rete ovveroa partecipare alla gara, pur mantenendola in piedi, con conseguente sicura esclusione successiva (sesto, settimo, ottavo motivo del mezzo di primo grado);
c4) analoghe conseguenze – nella sostanza “escludenti”- discendevano dalle cause di esclusione previste con riferimento ai requisiti soggettivi (onorabilità, procedimenti penali pendenti, etc) dei partecipanti (sesto e settimo motivo del mezzo di primo grado).
3. Tracciate queste brevi coordinate riepilogative e considerato che le censure sostanziali sono intimamente collegate con quelle di natura processuale volte ad avversare la statuizione di inammissibilità resa dal primo giudice, appare immediatamente opportuno segnalare che – come riconosciuto anche da parte appellante con la significativa affermazione contenuta a pag.76 del pregevole atto di appello, laddove si evidenzia che “le statuizioni del Tar che hanno condotto alla declaratoria di inammissibilità contenevano valutazioni anche di merito” –, ad avviso del Collegio, la avversata decisione soltanto formalmente possa essere annoverata tra quelle “in rito”.
Certamente essa non lo è sotto il profilo sostanziale, perché le censure prospettate dall’appellante nel ricorso di primo grado ed integralmente riproposte nell’atto di appello sono state funditus (integralmente, verrebbe fatto di affermare) esaminate dal Tar, che, sia pure ponendosi nella peculiare ottica dell’analisi della sussistenza della legitimatio ad causam, le ha in realtà esaustivamente vagliate (nella sostanza prescindendo dalla affermazione di inammissibilità del mezzo di primo grado).
Per dirla in altri termini, il Tar, onde verificare se potesse essere “giustificabile” la scelta di parte appellante di non partecipare alla gara e cionondimeno impugnarla, ha saggiato la consistenza degli elementi di “certo danno” assuntamente contenuti nel bando e nella convenzione accessiva e le supposte clausole pretesamente escludenti che avrebbero resa inutile (se non anche potenzialmente dannosa) la partecipazione della stessa alla gara, e che, muovendo da tale premessa, l’avrebbero resa legittimata ad impugnarla, pur non avendovi partecipato.
Il primo giudice ha escluso il ricorrere di tale ultima evenienza, ma per far ciò ha diffusamente esaminato “nel merito” i detti elementi allegati dall’odierna appellante: appare evidente, pertanto, che soltanto dal punto di vista formale ci si trova al cospetto di una decisione limitata unicamente alla soluzione di un presupposto processuale.
Al contrario, la gravata decisione, nella sostanza, costituisce, si ripete, una vera e propria decisione “nel merito”.
L’appellante, che nel proprio atto di appello implicitamente ha con ciò concordato (si veda, per l’appunto,l’affermazione ivi contenuta a pag 76 e testualmente riportata prima), nella memoria di replica pare disconoscere in parte tale evidenza, sostenendo che le censure proposte sarebbero state esaminate in misura “ridotta” (unicamente in chiave di riscontro della legittimazione attiva, cioè), quando non addirittura ignorate (con conseguente violazione dell’art. 112 cpc).
Il Collegio non condivide tale tesi: e sarà sufficiente leggere l’iter motivo della sentenza di primo grado per rendersi conto che essa in realtà contiene una “doppia” motivazione e che tutte le censure sono state esaminate diffusamente nel merito.
Ciò, ad avviso del Collegio, produce due immediate conseguenze: l’appellante non avrebbe alcun motivo, né interesse, ad articolare il terzo ed il quarto motivo di ricorso in appello (punti 138-158, pagg. 64 -72, e punti 159-167, pagg. 72-75), né a proporre le questioni interpretative comunitarie di cui al punto n. 174 (pag.95) del ricorso in appello.
Le critiche contenute nei detti motivi (ed entrambe le questioni interpretative comunitarie prospettate) vertono sul sistema delle impugnazioni italiano in materia di gare: l’interesse a proporle, in concreto, si sarebbe potuto ravvisare laddove il primo giudice si fosse limitato a dichiarare inammissibile il mezzo di primo grado senza valutare nel merito partitamente le singole censure ivi contenute.
Ciò che è, invece, avvenuto.
Il primo giudice, infatti, è andato ben al di là di una verifica del fumus correlata alla necessità di scandagliare la sussistenza della legittimazione in capo all’appellante.
Il Tar ha negato quest’ultima, ma, cionondimeno, ha scrutinato funditus le singole censure, escludendone la fondatezza proprio nel merito.
Vale la pena di ribadire che la sentenza gravata contiene una doppia motivazione: in rito e nel merito.
E quest’ultima è piena ed esaustiva.
Pare al Collegio che ciò escluda alcuna lesione in capo all’appellante sotto il profilo processuale; né si vede quale vulnus in concreto la stessa abbia subito da tale modo di procedere, visto che le doglianze dalla stessa prospettate sono state esaminate in concreto (altro discorso, ovviamente, riposa nell’esattezza o meno della statuizione di infondatezza).
In definitiva, nessun dubbio di compatibilità comunitaria del sistema italiano delle impugnazioni può essere ipotizzato, essendo, a tutto concedere, del tutto carente il concreto interesse a sollevare la questione, per aver il primo giudice esaminato tutte le doglianze proposte nel nucleo del loro contenuto..
3.1. Con la premessa che si è finora illustrata e tenuto conto della circostanza che parte appellante ha proposto plurimi motivi legati a profili sostanziali proprio volti, in via preliminare, a rimuovere la detta statuizione di inammissibilità, il Collegio ritiene comunque brevemente di soffermarsi sulla esattezza – o meno di quest’ultima.
3.2. Ciò, si ribadisce, non tanto perché si ritenga che tale disamina corrisponda ad un reale interesse di parte appellante, quanto perché attraverso simile scrutinio sarà possibile fornire partita risposta a numerose censure di merito avanzate dall’appellante
3.3. E, proprio a tale proposito, si rileva immediatamente che, seppure la decisione di primo grado si fondi su una ricostruzione ermeneutica per larghi tratti condivisibile, essa, quantomeno su un aspetto – involgente la detta questione preliminare – vada rettificata.
Ciò senza alcuna necessità di dovere prendere posizione in ordine ad orientamenti giurisprudenziali evolutivi ancora incerti, non consolidati, ovvero comunque non attagliantisi alla fattispecie per cui è causa (ci si riferisce agli insistiti richiami di parte appellante alle ordinanze di rimessione della Sezione Sesta di questo Consiglio di Stato sottesi alla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 8/2013)
3.4. Il quesito al quale occorre rispondere, in vero,– a parere di questo Collegio – non verte affatto sulla (o, almeno, è soltanto marginalmente interessato dalla) risoluzione della problematica di recente rimessa all’Adunanza Plenaria (si veda appunto la decisione di quest’ultima n. 8/2013) e relativa alla questione “della immediata impugnabilità del bando di gara per ogni vizio rilevato”.
Tale ultima problematica presuppone positivamente risolto il quesito posto “a monte” della odierna vicenda processuale, che si incentra nella questione relativa alla impugnabilità del bando da parte di chi alla gara non abbia partecipato.
3.4.1. Ciò che occorre prodromicamente accertare è, quindi, quale sia la risposta da fornire al quesito concernente la legittimazione ad impugnare il bando di gara in capo ad un operatore del settore (quale indubitabilmente è parte appellante) che alla gara medesima non abbia partecipato.
3.4.2. A tale proposito il Collegio non ritiene di dovere mutare opinione rispetto a quanto autorevolmente affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nella importante decisione n. 4/2011, tenuto anche conto dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo.
Ivi, infatti, si è affermato (vale la pena di riportare per esteso i capi 39-41 della citata sentenza, che, si ritiene, fotografano in termini di chiarezza esemplare la realtà esistente e lo stato della condivisibile giurisprudenza) che: “è indispensabile, allora, approfondire il tema della legittimazione al ricorso nel settore specifico delle controversie in materia di affidamento dei contratti pubblici.
In linea di principio, gli orientamenti interpretativi più consolidati affermano la regola secondo cui la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione.
La regola, ormai consolidata, subisce, ora, alcune notevoli deroghe, concernenti, rispettivamente:
– la legittimazione del soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura;
– la legittimazione dell’operatore economico “di settore”, che intende contestare un “affidamento diretto” o senza gara;
– la legittimazione dell’operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando “escludente”, in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione.
Le diverse deroghe, ampiamente studiate dagli interpreti, si connettono ad esigenze e a ragioni peculiari, inidonee a determinare l’affermazione di una nuova regola generale di indifferenziata titolarità della legittimazione al ricorso, basata sulla mera qualificazione soggettiva di imprenditore potenzialmente aspirante all’indizione di una nuova gara.
La legittimazione del soggetto che impugna la decisione di indire una gara è ammessa nei soli casi in cui questi dimostri, comunque, una adeguata posizione differenziata, costituita, per esempio, dalla titolarità di un rapporto incompatibile con il nuovo affidamento contestato.
La legittimazione più ampia riguardante la contestazione degli affidamenti diretti si spiega agevolmente alla luce del giudizio di assoluto disvalore manifestato dal diritto comunitario nei confronti di atti contrastanti con il principio essenziale della concorrenza.
Non solo, ma proprio la circostanza obiettiva riguardante la mancanza di una procedura selettiva impedisce di collegare la legittimazione al ricorso alla partecipazione al procedimento, che, in radice, è del tutto mancato.
Anche la legittimazione del soggetto che contrasta immediatamente il bando di gara (in relazione alle sue clausole “escludenti”), senza partecipare al procedimento, ha una giustificazione logica evidente, direttamente collegata alla affermazione giurisprudenziale dell’onere di sollecita impugnazione di tale atto lesivo, senza attendere l’esito della selezione.
In tali circostanze, la certezza del pregiudizio determinato dal bando rende superflua la domanda di partecipazione e l’adozione di un atto esplicito di esclusione. D’altro canto, la legittimazione spetta, in questo caso, non già a tutti gli imprenditori del settore, genericamente intesi, ma ai soli soggetti cui è impedita la partecipazione, in virtù di una specifica clausola escludente del bando.
Al di fuori delle ipotesi tassativamente enucleate dalla giurisprudenza, pertanto, deve restare fermo il principio secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle controversie riguardanti l’affidamento dei contratti pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo tale qualità si connette all’attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela.
In questa veste, il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse “finale” al conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione dell’intera gara e alla sua riedizione (sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta). Ma l’interesse strumentale allegato, in questo modo, potrebbe assumere rilievo, eventualmente, solo dopo il positivo riscontro della legittimazione al ricorso.
La situazione legittimante costituita dalla partecipazione alla procedura, quindi, costituisce, tuttora, la condizione necessaria per acquisire la legittimazione al ricorso: al momento attuale, questa prima conclusione non risulta seriamente messa in discussione dalla giurisprudenza, ferme restando le eccezionali deroghe sopra indicate.”.
Sin qui l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 4/2011.
3.4.3 Il Collegio non ravvisa motivo di discostarsi da tali affermazioni (nè per il vero l’appellante si discosta da queste ultime, ritenendo invece che il Tar ne abbia fatto malgoverno) e segnatamente dall’ultima proposizione ivi contenuta e pedissequamente ripetuta in questa sede.
Pertanto, posto che l’appellante non ebbe a partecipare alla gara, è doveroso verificare se ricorresse alcuna delle citate e tassative deroghe: ovviamente, vertendosi in punto di verifica della legitimatio ad causam, tale indagine già in primo grado doveva essere svolta con riferimento a quanto “affermato” dalla parte originariamente ricorrente, costituendo invece accertamento di merito quello relativo alla sussistenza in concreto delle lamentate criticità che costituivano – secondo la prospettazione della originaria ricorrente – allo stesso tempo elemento idoneo a radicarne la legittimazione alla impugnativa del bando di gara e, inoltre, dimostrazione della illegittimità dell’azione amministrativa spiegata.
3.4.4. Il metodo di indagine del primo giudice ha “seguito” la prospettazione di parte appellante ed è stato condizionato dal congiunto esame dalla dedotta eccezione di carenza di legittimazione attiva articolata dalla parti controinteressate.
Id est: è stato svolto un esame congiunto sull’an della asserita lesione e sulla legittimazione a rilevarla giudizialmente pur senza avere alla gara partecipato (scrutinio che è pervenuto ad un esito negativo per la ricorrente, nella sostanza).
Senonché, se tale modus procedendi appare sicuramente corretto, in via di principio, allorchè si è provveduto ad esplorare la supposta portata “escludente” delle asserite clausole contenute nel bando e nella convenzione (il Tar, lo si rammenta, ha escluso la fondatezza sia dell’asserito legame inscindibile bando/convenzione, sia la portata concretamente escludente e/o lesiva o impeditiva della partecipazione delle previsioni contenute nella lex specialis di gara) esso non appare parimenti condivisibile in via assoluta.
3.4.5. Il Collegio infatti, in questa fase non intende soffermarsi sulla correttezza o meno dell’approdo raggiunto dal Tar nel proprio esame parcellizzato della portata escludente o impeditiva delle singole clausole, ciò costituendo verifica di merito successiva.
Ci si limita sul punto ad anticipare la propria condivisione del principio secondo il quale “l’avvenuta partecipazione ad una gara pubblica di appalto anche senza la formulazione di riserve non implica l’accettazione implicita della disciplina contenuta nel bando e nel relativo capitolato; ciò, anzitutto perché – in via di principio – l’intenzione di prestare acquiescenza ad un atto amministrativo deve comunque risultare in modo chiaro ed irrefutabile dal compimento di atti ovvero da comportamenti assolutamente inconciliabili con una volontà del tutto diversa ed inoltre (e sopratutto) quando la disciplina del bando di gara non sia di per sé immediatamente lesiva, sicché solo partecipando alla gara e solo conoscendo in seguito l’esito della stessa la società partecipante può in concreto decidere se prestare o meno acquiescenza agli atti adottati dalla Commissione di gara ed ai conseguenti provvedimenti di aggiudicazione posti in essere dall’Amministrazione in favore di altra società partecipante” (Cons. Stato Sez. V, 21-02-2011, n. 1074, ma si veda anche, in termine tranchant T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 09-10-2012, n. 4037: “in materia di gare di appalto l’accettazione della clausola di partecipazione senza riserve non comporta alcuna acquiescenza alle regole di gara, tale da rendere inammissibile la loro successiva impugnazione o da considerarsi preventiva rinuncia a far valere i vizi della procedura lesivi dell’interesse del concorrente.”).
3.4.6. Si ritiene, però, immediatamente, di porre in luce alcune circostanze.
Alla stregua delle richiamate affermazioni contenute nella decisione dell’Adunanza Plenaria n. 4/2011 prima citata, la eccezionale e “derogatoria” legittimazione vibratamente invocata dall’appellante può ricorrere in tre macroipotesi:
soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura;
operatore economico “di settore”, che intende contestare un “affidamento diretto” o senza gara;
operatore che manifesta l’intenzione di impugnare una clausola del bando “escludente”, in relazione alla illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione.
In ordine alla terza fattispecie (parimenti prospettata dalla originaria ricorrente di primo grado) sono state esposte le ragioni per le quali in Collegio non intende soffermarsi specificamente in questa fase al vaglio della sostanza delle argomentazioni reiettive esposte dal primo giudice.
La seconda ipotesi di “deroga” didascalicamente richiamata dall’Adunanza Plenaria non è, all’evidenza, predicabile al caso di specie (che verte, semmai su una situazione di fatto speculare ed opposta perché la gara è stata bandita, ed è proprio ciò che si contesta).
Resta da esplorare, allo stato, la prima fattispecie enucleata tra le possibili deroghe al principio per cui la presentazione della domanda di partecipazione è condizione essenziale per la impugnazione della lex specialis.
3.4.7. Nel primo motivo di censura prospettato nel mezzo di primo grado, infatti, l’appellante ha proprio contestato radicalmente la scelta di indire la gara e le norme di legge sulle quali si fonda.
Essa sostiene che fossero indubitabili, in proprio capo, la legittimazione ed interesse a ricorrere (pur senza avere partecipato alla gara), in quanto soggetto latore di una radicale contestazione alla possibilità di bandire la gara stessa senza avere previamente revocato le concessioni in essere.
L’affermazione di principio sottesa alla censura potrebbe così essere compendiata: la gara gravata è illegittima, ed ogni altra gara lo sarebbe stata, in quanto bandita senza che fossero state previamente revocate tutte le concessioni in essere (esemplificativamente, ma l’affermazione è trasversale, e ricorre spesso nel gravame, si vedano i punti nn. 37 e 38 dell’atto di appello, a pag. 31).
In carenza di previa revoca, la gara mantiene inalterato il vantaggio concorrenziale posseduto dagli operatori in essere e, in sostanza, riperpetua illegittimità analoghe a quelle stigmatizzate dalla Corte di Giustizia nella sentenza c.d. Cifone; e posto che la ricorrente era “beneficiaria” della sentenza Cifone, essa era attributaria della posizione differenziata che la rendeva legittimata ad agire in giudizio pur senza avere interposto domanda di partecipazione.
Accanto a questa affermazione di principio, successivamente (secondo motivo) se ne rinviene un’altra, che di fatto costituisce una “subordinata logica” della prima: la gara è illegittima perché, per le prescrizioni in ordine alla durata delle concessioni che ne costituiscono l’oggetto, ed altre prescrizioni discendenti dai commi 78 e 79 dell’art. 1 della legge di stabilità in punto di adempimenti connessi ai concessionari, di fatto perpetuano una discriminazione esistente, favorendo i partecipanti alla gara che siano già titolari di concessioni in vigore (censure 2, 4 e 5 del mezzo di primo grado).
Per mera esigenza di completezza di esposizione, nell’ambito di queste ultime citate, v’è un’altra questione che può, soltanto a fini descrittivi, essere accostata alla prima: quella relativa alle censure che investono le clausole della convenzione accessiva al bando, laddove imporrebbero all’appellante di smantellare la propria rete di CTD per potere partecipare alla gara.
Quest’ultima, in realtà, sotto il profilo ontologico sarebbe una censura “subordinata” perché investirebbe singole clausole asseritamente “escludenti/impeditive”: ha, però, in comune con la censura “principale” prima esposta la circostanza che si fonda sulla affermata specificità della posizione di Stanley, in quanto attributaria di pregresse decisioni della Corte di Giustizia e soltanto per tale ragione il Collegio la prenderà in esame nella prima parte della motivazione di seguito esposta (così il capo n. 90 della sentenza Costa-Cifone:” non si può addebitare ad un operatore, quale la Stanley, il fatto di aver rinunciato a presentare una candidatura per una concessione in assenza di qualsiasi sicurezza sul piano giuridico, fintanto che permaneva incertezza riguardo alla conformità del suo modus operandi alle disposizioni della convenzione da sottoscrivere al momento dell’attribuzione di una concessione. Qualora tale operatore fosse stato escluso, in violazione del diritto dell’Unione, dalla gara precedente oggetto di censura nella citata sentenza Placanica e a., deve ritenersi che la nuova gara non abbia effettivamente rimediato a tale esclusione dell’operatore in questione.” ).
3.4.8. Come dianzi riferito, il Tar ha scandagliato la fondatezza nel merito di dette affermazioni: le ha ritenute infondate ed escluso la legittimazione a ricorrere anche sotto tale angolo prospettico.
Senonché, se anche si volesse convenire sulla correttezza del modus procedendi riposante nel duplice e congiunto esame – e non si volesse affermare che (secondo il tradizionale insegnamento della dottrina processuacivilistica) ci si sarebbe dovuti limitare a valutare la sussistenza “astratta” dell’interesse e della posizione legittimante “affermata”- ugualmente la statuizione di inammissibilità del mezzo, quanto a tale specifico profilo, non persuade.
Il primo giudice, infatti, si è soffermato sul punto con un ragionamento che è esclusivamente di merito, affermando che (vale la pena di riportare integralmente tale passaggio decisionale) “seppur deve darsi atto che i precedenti concessionari godano di un vantaggio concorrenziale per avere iniziato la propria attività prima degli operatori illegittimamente esclusi ed essersi insediati sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria, le conseguenze applicative delle sentenze della Corte di Giustizia non si estendono alla necessità di eliminazione di tale vantaggio competitivo attraverso la revoca delle concessioni, sancendo esse il solo limite, in caso di adesione alla diversa opzione di indizione di una nuova gara, pure suggerita, di non concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari che possano perpetuare e rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima di questi ultimi dalle precedenti gare, il che costituirebbe una ulteriore violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato e del principio di parità di trattamento, rendendo eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione agli operatori illegittimamente esclusi dalle precedenti gare.”.
Ma tale valutazione si pone in antitesi con una delibazione preliminare in punto di ammissibilità del mezzo: si dice, in sostanza, che la censura non è fondata attraverso una disamina che muove dal riconoscimento che “i precedenti concessionari godano di un vantaggio concorrenziale per avere iniziato la propria attività prima degli operatori illegittimamente esclusi ed essersi insediati sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propri”.
Ciò è proprio quello che denunciava l’appellante, contestando radicalmente la “efficacia” (sotto il profilo della rimozione delle cause di perpetuazione della discriminazione) dell’azione amministrativa (e prima ancora legislativa, per il vero) di procedere alla indizione della gara senza avere previamente revocato le concessioni in essere.
E quindi contestando radicalmente il bando e la scelta di indire la procedura mentre le precedenti concessioni erano ancora operative.
3.4.9. Ne consegue che: la statuizione di inammissibilità dell’appello, sotto tale profilo, si appalesa errata, e che il mezzo di primo grado doveva essere ritenuto ammissibile (quanto all’interesse “affermato ed astrattamente sussistente”), mentre disamina del tutto diversa è invece quella relativa alla fondatezza della denunciata illegittimità.
La sentenza sotto tale profilo va pertanto riformata, con riguardo alla inammissibilità attingente i detti motivi del ricorso di primo grado; ed il Collegio può così proseguire nella disamina di merito dell’appello, ribadendo comunque che, in concreto, da tale “errore” nessun pregiudizio concreto è disceso sotto il profilo processuale alla posizione di parte appellante.
In sintesi, e per chiudere sull’argomento: è ben vero che, allorché si esamina in concreto la portata della “deroga” individuata dalla giurisprudenza – riposante nell’affermazione di sintesi a più riprese richiamata (“soggetto che contrasta, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura”) -, di regola si addiviene ad individuare il soggetto legittimato facendolo coincidere con quello “già titolare di un affidamento da parte dell’Amministrazione che ritiene che lo stesso debba continuare” ( le controinteressate appellate proprio su ciò incentrano le proprie eccezioni) .
Ma tale posizione attiva non esaurisce il novero dei soggetti legittimati “a contrastare ab externo la scelta evidenziale”.
In particolare deve attribuirsi tale posizione anche a chi, come l’appellante, in quanto attributario di pregresse discriminazioni, si trovi al cospetto di una gara bandita per rimediare a tali passate discriminazioni e la contesti radicalmente nell’an, in quanto (asseritamente) nuovamente “discriminatoria”.
Il mezzo di primo grado, quanto a tale profilo, era ammissibile.
4. Per quanto si è finora rassegnato, appare altresì evidente l’intendimento del Collegio di prendere in esame proprio detta censura in ultimo indicata (primo motivo di appello, in particolare punti 37 e 38, e primo motivo del mezzo di primo grado, con particolare richiamo ai punti 96 e 97 ivi contenuti ed ulteriori successivi quattro motivi connessi) in quanto rivestente portata pregiudiziale rispetto alle altre censure (sia che le si valuti in un’ottica dimostrativa della legitimatio ad causam, che nel merito), in quanto volta a radicalmente avversare la possibilità per l’Amministrazione di procedere a bandire la gara in esame senza avere previamente revocato le precedenti concessioni in essere (si vedano proprio i punti 37 e 38 dell’atto di appello).
4.1. Va in proposito rimarcato che la scelta di indire la detta gara, come è noto, discende in via diretta ed immediata da una previsione di legge.
Il D.L. 2-3-2012 n. 16, ai commi 9 octies e 9 novies dell’art. 10, così dispone: “Nelle more di un riordino delle norme in materia di gioco pubblico, incluse quelle in materia di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, le disposizioni del presente comma sono rivolte a favorire tale riordino, attraverso un primo allineamento temporale delle scadenze delle concessioni aventi ad oggetto la raccolta delle predette scommesse, con il contestuale rispetto dell’esigenza di adeguamento delle regole nazionali di selezione dei soggetti che, per conto dello Stato, raccolgono scommesse su eventi sportivi, inclusi quelli ippici, e non sportivi ai principi stabiliti dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 16 febbraio 2012 nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10. A questo fine, in considerazione della prossima scadenza di un gruppo di concessioni per la raccolta delle predette scommesse, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato bandisce con immediatezza, comunque non oltre il 31 luglio 2012, una gara per la selezione dei soggetti che raccolgono tali scommesse nel rispetto, almeno, dei seguenti criteri:
a) possibilità di partecipazione per i soggetti che già esercitano attività di raccolta di gioco in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, avendovi la sede legale ove operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell’ordinamento di tale Stato e che siano altresì in possesso dei requisiti di onorabilità, affidabilità ed economico-patrimoniale individuati dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato tenuto conto delle disposizioni in materia di cui alla legge 13 dicembre 2010, n. 220, nonché al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
b) attribuzione di concessioni, con scadenza al 30 giugno 2016, per la raccolta, esclusivamente in rete fisica, di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi presso agenzie, fino a un numero massimo di 2.000, aventi come attività esclusiva la commercializzazione di prodotti di gioco pubblici, senza vincolo di distanze minime fra loro ovvero rispetto ad altri punti di raccolta, già attivi, di identiche scommesse;
c) previsione, quale componente del prezzo, di una base d’asta di 11.000 euro per ciascuna agenzia;
d) sottoscrizione di una convenzione di concessione di contenuto coerente con ogni altro principio stabilito dalla citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 16 febbraio 2012, nonché con le compatibili disposizioni nazionali vigenti in materia di giochi pubblici;
e) possibilità di esercizio delle agenzie in un qualunque comune o provincia, senza limiti numerici su base territoriale ovvero condizioni di favore rispetto a concessionari già abilitati alla raccolta di identiche scommesse o che possono comunque risultare di favore per tali ultimi concessionari;
f) rilascio di garanzie fideiussorie coerenti con quanto previsto dall’articolo 24 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
9-novies. I concessionari per la raccolta delle scommesse di cui al comma 9-octies in scadenza alla data del 30 giugno 2012 proseguono le loro attività di raccolta fino alla data di sottoscrizione delle concessioni accessive alle concessioni aggiudicate ai sensi del predetto comma. Sono abrogati i commi 37 e 38 dell’articolo 24 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, la lettera e) del comma 287 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nonché la lettera e) del comma 4 dell’articolo 38 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.”
4.2.Le censure dell’appellante si appuntano sull’effetto congiunto dei suindicati commi, e si spingono a sostenere che essi avrebbero dovuto essere disapplicati dall’amministrazione procedente (prima) ed in sede giudiziale (successivamente), in quanto collidenti con il diritto comunitario.
4.2.1. Nel sottolineare che la questione di massima, nei termini prospettati, non è minimamente interferente con il contenuto del parere n. 3337 del 19 luglio 2012 del Consiglio di Stato (sull’affare n. 6033/2012), che, in quanto relativo unicamente allo schema di convenzione, non incide, né concerne la “scelta” a monte di bandire una nuova gara senza previa revoca delle concessioni in essere, rileva il Collegio che il giudice di primo grado ha respinto l’argomento critico di parte appellante non soltanto in base all’ordito argomentativo prima riportato per esteso.
Il Tar ha espresso il proprio convincimento reiettivo anche sulla scorta del seguente ragionamento (che pure di seguito testualmente si riporta): “laddove l’auspicata revoca di tutte le concessioni precedentemente rilasciate e la loro successiva distribuzione avrebbe illegittimamente inciso sulle posizioni acquisite dai concessionari che hanno acquisito diritti di gestione, sostenendo ingenti oneri ed investimenti, che sarebbero irrimediabilmente pregiudicati da una eventuale revoca, adottata al fine di rimediare all’illegittima esclusione di taluni operatori, la quale non risulterebbe peraltro rispondente al criterio di proporzionalità tenuto conto del sacrificio che sarebbe imposto ai precedenti concessionari rispetto allo scopo, che è quello di consentire agli operatori, precedentemente illegittimamente esclusi, di poter operare in Italia sulla base di un titolo concessorio conseguito in condizioni di parità con altri soggetti.
In corretto contemperamento dei contrapposti interessi coinvolti, quindi, il legislatore ha optato per l’affidamento di nuove concessioni mettendo in competizione i precedenti concessionari con gli altri potenziali concorrenti, al contempo salvaguardando l’affidamento dei precedenti concessionari sulla durata del titolo rilasciato eliminando, dalla disciplina della nuova gara, i profili di incompatibilità comunitaria che affliggevano le precedenti regolamentazioni.”.
4.3. L’appellante contesta tali argomenti sia sotto il profilo astratto, che in concreto; e ribadisce che l’unico modo per ottemperare “realmente”al decisum contenuto nella sentenza Costa-Cifone sarebbe stato quello di revocare tutte le concessioni in essere, prima di bandire alcuna gara (quali che fossero le prescrizioni concrete contenute nella disciplina di gara).
4.3.1. Nel prendere in esame proprio questa prima e più radicale censura, investente a monte la legittimità dell’an della scelta di bandire la gara senza avere previamente revocato le concessioni in essere, (“premessa maggiore” dell’atto di appello e nucleo centrale del primo motivo del mezzo di primo grado), il Collegio deve affermare che la medesima, se vale a radicare la legittimazione attiva dell’appellante ad impugnare il bando pur senza avervi partecipato, è nel merito inconsistente.
La fragilità ed infondatezza della stessa, invero, è ricavabile già attraverso una pacata e serena disamina di alcuni passaggi motivazionali delle sentenze della Corte di Giustizia invocate da parte appellante (che peraltro hanno orientato l’attività di normazione primaria e secondaria successiva delle Autorità italiane).
4.3.2. Invero al punto 63 della sentenza “Placanica” si rinviene la seguente affermazione: “per quanto riguarda le conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare al fine dell’attribuzione delle concessioni esistenti, spetta all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti che gli operatori derivano dall’efficacia diretta del diritto comunitario, a condizione tuttavia che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v. sentenze 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I-6297, punto 29, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57). Tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate a tale riguardo. Occorre tuttavia constatare, in ogni caso, che, in assenza di una procedura di attribuzione di concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori.”.
Detta affermazione è richiamata e ribadita al punto 52 della sentenza “Cifone, che così si esprime: “al medesimo punto della citata sentenza Placanica e a., la Corte ha poi affermato che tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni, quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate. Entrambe queste soluzioni sono in linea di principio idonee a rimediare, quanto meno per il futuro, all’esclusione illegittima di alcuni operatori, permettendo a questi ultimi di esercitare la loro attività sul mercato alle stesse condizioni applicabili agli operatori esistenti.”.
4.3.3. Proprio alla stregua di tali univoche affermazioni del Giudice comunitario, dunque, si deve affermare che la censura collide frontalmente con l’inequivoco tenore di dette pronunce, che come è noto costituiscono a tutti gli effetti “diritto comunitario”.
Detta radicale doglianza merita pertanto di essere disattesa.
4.3.4. La conclusione è,quindi, quella per cui, in armonia con il diritto comunitario suindicato -invocato a più riprese proprio da parte appellante -, lo Stato italiano poteva decidere se bandire una nuova gara “aperta” ovvero revocare tutte le concessione in essere: non soltanto la doglianza è infondata, ma neppure si pone alcun dubbio interpretativo del diritto comunitario.
4.4. Può dirsi, pertanto, che l’appellante aveva legittimazione a sollevare la detta critica, pur senza avere partecipato alla gara, sia perché contestava integralmente la scelta di indire la gara nella data situazione (in est: senza avere prima revocato tutte le concessioni in essere) e sia perché attributaria di una posizione legittimante che discendeva dall’essere stata destinataria delle precedenti decisioni della Corte di Giustizia prima richiamate.
Detta doglianza, però, è infondata, perché proprio nelle sentenze invocate si afferma un principio del tutto diverso.
Il Collegio lo ribadisce con le parole stesse della sentenza Costa Cifone: “tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni, quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate.”
4.5. Resta in definitiva infondata la censura radicale di cui al primo motivo di appello (ed al primo motivo del mezzo di primo grado) e neppure è ipotizzabile alcun dubbio interpretativo comunitario su detta problematica.
4.6. A questo punto il Collegio, per continuità espositiva, dovrebbe dedicarsi allo scrutinio della critica appellatoria logicamente subordinata a quella appena esaminata e volta ad affermare che, sebbene fosse possibile bandire una gara senza avere previamente revocato le concessioni in essere, la gara perpetuava una discriminazione ed impingeva negli ulteriori precetti contenuti nella sentenza Costa- Cifone e/o comunque dalla stessa evincibili.
5. Si ritiene, invece, opportuno – a costo di frammentare la continuità della esposizione- di esplorare in questo contesto, immediatamente, un ulteriore caposaldo dell’appello, pure in connessione “logica “ con quello prima scrutinato.
Anche la doglianza che ci si accinge ad esaminare, infatti, sebbene riferentesi a prescrizioni contenute nella convenzione accessiva, si fonda sull’argomento logico nascente dalla specificità di parte appellante in quanto attributaria di pregresse decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ciò che, come in precedenza evidenziato, è il nucleo fondante della critica appellatoria.
5.1. E sebbene il Collegio condivida, in parte qua, le esaustive argomentazioni del primo giudice – secondo cui, trattandosi di clausola negoziale riguardante lo svolgimento del rapporto concessorio, essa (non investendo l’an della gara) non avrebbe potuto essere veicolata in giudizio in carenza di previa proposizione di domanda partecipativa -, l’ infondatezza nel merito della tesi al riguardo prospettata dall’appellante, autorizza ad affrontare il merito relativo, prescindendo dai profili di inammissibilità.
5.1.1. Ci si riferisce alle insistite affermazioni [pagg. 47-55 dell’atto di appello, sub motivo secondo (sesto motivo del mezzo di primo grado, punti 143 -151, settimo motivo del mezzo di primo grado, punti 152-156)], secondo cui l’amministrazione appellata in primis, e la sentenza gravata poi, avrebbero disconosciuto la illegittimità del vigente sistema concessorio italiano e la legittimità “amministrativa” dell’operato di Stanley a mezzo dei propri CTD, con conseguente illegittimità di numerose clausole contenute nella convenzione accessiva al bando.
5.2. Avuto riguardo a tali argomenti, il primo quesito cui è doveroso rispondere può essere sintetizzato nei seguenti termini: il vigente sistema giuridico italiano, incentrato sul sistema autorizzativo o concessorio contrasta con il diritto comunitario?
La risposta negativa – almeno in termini assoluti – si trae da più elementi, ed è stata affermata dalla Corte di giustizia europea in numerose pronunce: sentenza Schindler del 24.3.1994, C-275/92; sentenza Laara del 21.9.1999, C-124/97; sentenza Zenatti del 21.10.1999, C-67/98,; sentenza Gambelli del 6.11.2003, C-243/01.
In particolare, il dispositivo della sentenza in ultimo citata così prevede: “una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi.”.
La sintesi che da queste pronunce prima citate può trarsi è quindi la seguente: una normativa nazionale contenente divieti – penalmente sanzionati – di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommesse, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, all’art. 43 e all’art. 49 CE, ma spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi; possono giustificare restrizioni ai principi comunitari esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (cd. ludopatia), ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico.
5.3. Come a più riprese affermato dalle Sezioni penali della Corte di cassazione (ex multis, Sezione III 16-05-2012, n. 18767), il Collegio ritiene:
a) che l’approdo di cui alle citate decisioni della Corte di Giustizia sia pienamente condivisibile;
b) che, in concreto, le misure adottate (sistema concessorio e successiva autorizzazione) non siano discriminatorie e siano proporzionate, razionali, e non abnormi.
5.4. Il secondo quesito cui rispondere (tenuto conto delle critiche avanzate dall’appellante) è il seguente: può affermarsi che le sentenze della Corte di Giustizia Europea Placanica del 6 marzo 2007, in cause riunite C – 338/04, C -3S9/04 e C – 360/04, e Costa e Cifone, in cause riunite C -72/10 e C- 77/10 del 16 febbraio 2012, contengano affermazioni atte anche solo potenzialmente a sconfessare o porre in dubbio l’approdo ermeneutico tratteggiato in precedenza?
La risposta è negativa.
La sentenza Placanica ha specificato i principi generali posti dagli artt. 43 e 49 del Trattato CE, in tema di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, affermando che: “l’art. 43 CE e art. 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che escluda e per di più continui ad escludere dal settore dei giochi d’azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati”, e che “l’art. 43 CE e art. 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che imponga una sanzione penale a soggetti imputati per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale, allorché questi soggetti non abbiano potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro”.
Ne deriva che la specifica norma comunitaria individuata dalla Corte di giustizia con la citata sentenza risulta incompatibile con la norma incriminatrice nazionale – con conseguente obbligo del giudice di “non applicazione” – SOLTANTO allorché il soggetto svolga senza autorizzazione di pubblica sicurezza attività organizzata di intermediazione per l’accettazione e la raccolta di scommesse sportive in favore di un allibratore straniero che non abbia potuto ottenere in Italia le concessioni o le autorizzazioni richieste dalla normativa nazionale a causa del rifiuto dello Stato italiano di concedergliele, in violazione del diritto comunitario.
A fortiori, quindi, si conferma quanto affermato in precedenza: se l’operatore non è tra quelli in passato illegittimamente esclusi, il sistema concessorio opera in pieno (nei limiti della verifica di adeguatezza da svolgere da parte del Giudice nazionale nei termini prima descritti).
Le stesse considerazioni, semmai rafforzate, valgono con riferimento alla sentenza Costa-Cifone (come già si è fatto presente e come di seguito si ribadirà).
Ivi, infatti, si è affermato il principio per cui “l’art. 43 CE e l’art. 49 CE, nonchè i principi di parità di trattamento e di effettività, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell’Unione, una categoria di operatori dall’attribuzione di concessioni per l’esercizio di un’attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti”.
Parimenti, ivi si è posto in risalto che “l’art. 43 CE e l’art. 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest’ultima gara e la conseguente attribuzione di nuove concessioni non abbiano effettivamente rimediato all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara”.
Da quest’ultima decisione, si trae quindi il convincimento per cui, in via ipotetica, laddove la nuova gara bandita e “destinata a rimediare a pregressa violazione” abbia effettivamente raggiunto lo scopo, ponendo rimedio all’illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara, il sistema concessorio- autorizzatorio (che per le già chiarite ragioni si è ritenuto non abnorme da parte di questo Collegio e della Corte di Cassazione penale) opera pienamente nei confronti della generalità degli operatori.
Ed opera anche, quindi, nei confronti di chi in passato venne ingiustamente discriminato (il che l’appellante continua pervicacemente a disconoscere).
5.5. Va parimenti rammentato che il punto 12 della predetta decisione comunitaria in ultimo citata, sia pure riepilogando lo stato della normativa vigente, contiene la significativa affermazione secondo cui “è pacifico che, tenuto conto del modus operandi della Stanley, spetta in via di principio a quest’ultima l’obbligo di ottenere una concessione per l’esercizio delle attività di raccolta e di gestione delle scommesse in Italia, ciò che permetterebbe ai CTD di esercitare le loro attività.
5.6. Se la superiore esposizione non è fallace, allora può dirsi che non resta spazio alcuno per una affermazione – quale quella che è dato leggere nell’atto di appello – secondo la quale il diritto comunitario avrebbe bocciato in assoluto e senza deroghe il vigente sistema concessorio italiano.
Ma soprattutto non si vede in base a quale prescrizione, contenuta anche nella convenzione accessiva, vi sarebbe alcuna discriminazione in danno della Stanley.
Essa – che sta già giovandosi dei CTD ed operando per il tramite dei medesimi, in quanto sinora “legittimati” dalle dette decisioni comunitarie – sarebbe liberissima di mantenere gli stessi anche a seguito della indizione di gare che abbiano rimosso le pregresse discriminazioni, ove ovviamente gli operatori a sé legati richiedano ed ottengano concessioni e correlative autorizzazioni ex art. 88 Tulps : affermare, però,che dal diritto comunitario nasca un divieto per lo Stato italiano di prevedere la decadenza/revoca in capo a chi violi la normativa in materia di repressione del gioco clandestino, ovvero di chi organizzi, eserciti, o raccolga giochi pubblici con modalità diverse da quelle previste dalle norme di legge, di regolamento, o convenzionali (ultima parte del sesto motivo del mezzo di primo grado, punti 140-151 e settimo motivo del mezzo di primo grado) costituisce errore prospettico non revocabile in dubbio.
Lo si ripete: intervenuta nel sistema una gara “non discriminatoria” (quale è, secondo l’Amministrazione, quella oggetto dell’odierno scrutinio giudiziale) la “pregressa illegittimità” viene sanata.
In tal modo, rimossa la pregressa illegittimità, non si vede perché il sistema concessorio italiano (nei limiti e termini in cui esso è stato ritenuto non illegittimo in sede comunitaria) non debba operare nei confronti di tutti gli operatori.
Ad oggi esso opera pienamente per:
a) concessionarii;
b) aspiranti operatori non concessionarii e non latori, in passato, di ingiuste discriminazioni.
Non opera pienamente per l’appellante (che, di fatti, continua ad operare con i proprii CTD e senza concessione/autorizzazione) in quanto in passato “discriminata”.
Elisa la discriminazione, mercé nuova gara immune da mende, il sistema è destinato ad operare anche nei confronti di quest’ultima, che, altrimenti, si gioverebbe in eterno di una passata discriminazione.
5.7. La portata discriminatoria od escludente di tali previsioni unilateralmente disegnate e destinate a regolare pattiziamente il rapporto concessorio (si veda sesto e settimo motivo del mezzo di primo grado) non sussiste affatto, proprio perché è carente l’anello maggiore della premessa, riposante nell’affermazione della illegittimità del sistema concessorio italiano e della piena legittimità pro futuro dell’attività dei CTD.
Per il resto, lo si anticipa, valgono in pieno le considerazioni del primo giudice: le clausole di cui all’art. 23 comma 2 lett. e) e lett. k) dello schema di convenzione, oltre a non essere discriminatorie in sé, ed a non essere escludenti in sé, non lo erano neppure per la generalità dei partecipanti.
Se va esclusa la speciale legittimazione del gruppo Stanley proprio perché le sentenze comunitarie non hanno affermato i principi dalla stessa sostenuti, esse comunque non impedivano ad alcuno (non alla generalità dei possibili aspiranti, ma neppure a Stanley) la partecipazione alla gara: e se esse erano “semplicemente” sconvenienti sotto il profilo economico per la particolare posizione dell’appellante, la stessa non avrebbe potuto veicolare in giudizio detta posizione processuale non avendo partecipato alla gara.
5.8. Per concludere sul punto: anche a seguire la tesi dell’appellante, la censura sarebbe stata ammissibile unicamente laddove fossero risultate esatte la prospettazione secondo la quale il sistema concessorio italiano è radicalmente illegittimo, e quella per cui, di converso, la legittimità dei CTD sarebbe stata acclarata anche pro futuro e non in quanto risultante (e rimedio) di pregressa discriminazione ed al fine di esonerare gli stessi da sanzioni penali.
Disattesa la fondatezza di tali asserzioni, in sé la censura si riduce all’affermazione per cui, in virtù di tali prescrizioni, la gara non sarebbe per l’appellante conveniente. Ma posto che per denunciare la “non convenienza” sarebbe stato quantomeno proporre domanda partecipativa, residuerebbe l’inammissibilità di tale articolazione del mezzo.
Ad abundantiam, però, si rileva che essa articolazione è pure infondata, perché, nel momento in cui si muove dalla constatazione che il sistema concessorio italiano è legittimo laddove persegue gli obiettivi di tutela esemplificativamente indicati nelle più volte citate decisioni comunitarie, non si vede come possa l’appellante denunciare quali discriminatorie le dette prescrizioni, che (in un eventuale futuro, si badi) avrebbero potuto farla incorrere in ipotesi di decadenza.
5.9. A conclusione di tale esposizione può essere di interesse rimarcare che davvero il Collegio non riesce a comprendere le affermazioni di parte appellante laddove essa (anche nella memoria in ultimo depositata, ma già nell’atto di appello) cita due ordinanze della Corte di Giustizia (c.d. “Ferrazzoli” del 16 febbraio 2012 n. 164, nelle cause riunite da C-164/10 a C-176/10; e c.d. “Rizzo” del 16 febbraio 2012 n. 107) ed una serie di decisioni di questo Consiglio di Stato (rese alla pubblica udienza del 29 maggio 2009, identiche nella motivazione –sent n. 7035/2009, etc – come da indicazione contenuta tra l’altro a pag. 6 della memoria di replica, sub punto 10), che avrebbero pretesamente confermato la tesi sostenuta. dalla medesima parte.
Quanto alla portata delle ordinanze comunitarie, esse non si discostano punto dalla sentenza Costa–Cifone (ciò ha costituito presupposto, come è noto, perché la Corte di Giustizia pronunciasse ordinanza, anziché sentenza).
Se ne omette un partito esame perché questo costringerebbe a ripetere considerazioni già rese.
Quanto alle decisioni della Sesta Sezione, esse contengono addirittura affermazioni atte a contrastare radicalmente l’assunto di parte appellante: il richiamo di un breve passaggio motivazionale contenuto in una di esse (la n. 7035/2009, ma la motivazione è identica per tutte ) che il Collegio integralmente condivide, può costituire utile momento di sintesi e conclusione del presente excursus.
Il Consiglio di Stato ha ivi precisato, infatti, che sussiste “un ulteriore interrogativo consistente nello stabilire se la normativa italiana in materia di scommesse possa ritenersi giustificata da esigenze imperative di interesse pubblico non adeguatamente tutelate dalla normativa dello Stato di origine.
Ed è su questo tema che i Giudici nazionali (sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione) e il Giudice comunitario sono stati ripetutamente chiamati a pronunciarsi, fino ad arrivare alla sentenza Placanica, per molti aspetti risolutiva delle questioni sopra accennate.
Questa sentenza, diversamente da quanto da qualcuno sostenuto, non decreta affatto la fine (per incompatibilità comunitaria) della disciplina nazionale sulla raccolta delle scommesse, disciplina caratterizzata, come sopra ricordato, dall’esistenza di una concessione (rilasciata all’esito di una gara) seguita dal rilascio di una autorizzazione di pubblica sicurezza.
La sentenza Placanica riconosce, infatti, che le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi non sono state compresse a causa dalla previsione di un regime concessorio in quanto tale. Ciò perché tale regime è sostenuto da ragioni di ordine pubblico e sociale e può essere compatibile con quelle libertà in quanto risulti rispondente ai principi di non discriminazione, di necessità e di proporzione.
La stessa Corte di giustizia riconosce che la “canalizzazione” delle scommesse su un numero chiuso di concessionari può rispondere a concrete e ragionevoli esigenze, quali l’assorbimento delle scommesse nel circuito legale, l’incentivazione degli scommettitori favorita dalla sicurezza che le società operanti possono offrire, la difesa da infiltrazioni criminali o abusi, l’agevolazione dei controlli preventivi e successivi. Non si può non richiamare a tal proposito anche la sentenza 6 novembre 2003, Gambelli (punti 61 e 62) in cui la Corte comunitaria ha affermato che costituiscono “motivi giustificati” di restrizione delle libertà tanto la “tutela del consumatore”, quanto “la prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco” e “la necessità di prevenire turbative all’ordine sociale”.
Secondo i Giudici di Lussemburgo, ciò che rende contraria ai principi comunitari la normativa italiana in tema di concessione è rappresentato, piuttosto, dalle modalità con cui il regime concessorio è stato disciplinato e, quindi, attuato.
La non conformità del regime concessorio italiano viene rilevata dalla Corte sotto un triplice profilo, caratterizzato da intensità diversa: a) la previsione di un numero di concessioni limitato, permanendo il dubbio – ed un necessario ulteriore approfondimento rimesso, tuttavia, alle autorità italiane – che un numero molto contenuto di concessioni comporti una inutile compressione delle libertà ricordate; b) la previsione di limiti ingiustificati alla partecipazione alla gara per l’aggiudicazione delle concessioni, così che le società quotate con azioni anonime furono escluse dal bando di gara del 1999, subendo una radicale quanto illegittima compressione delle libertà; c) la decisione dello Stato italiano, ancorché successiva alle prime sentenze della Corte di Giustizia e alla riforma introdotta con la legge finanziaria per l’anno 2003, di conservare il regime di monopolio in favore dei concessionari pubblici e, soprattutto, di prorogare le concessioni già attribuite, così scegliendo in modo consapevole di aprire la strada alla possibilità che la situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario si protraesse per alcuni anni ancora.
Per quanto riguarda, invece, il regime dell’autorizzazione di polizia, che più direttamente ha come obiettivo non ingiustificate cautele contro fenomeni criminali o di frode, la Corte, come si è già anticipato, afferma che non si tratta di regime incompatibile con quello comunitario, ad eccezione della parte in cui, subordinando il rilascio della autorizzazione o licenza al previo ottenimento della concessione, porta ad ulteriori conseguenze le ingiustificate limitazioni derivanti dal regime concessorio, ed in particolare preclude alle società quotate di porre rimedio alla esclusione dal mercato italiano attraverso l’apertura di punti di raccolta dati gestiti da persone domiciliate in Italia.
Se questi sono i contenuti della decisione della Corte di Giustizia, occorre concludere, così ha già avuto modo di affermare la Cassazione penale nella già citata sentenza 16928/2007, che l’attuale regime della gestione delle attività di giochi e scommesse non può essere ulteriormente applicato dal giudice italiano solo nella parte in cui prevede limiti alle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi che la sentenza 673/2007, Placanica ha ritenuto ingiustificati.
E’ fuori dubbio che limiti ingiustificati sono esistenti nei confronti delle società quotate che hanno sede nei Paesi membri e che non hanno potuto partecipare alle gare per l’attribuzione delle licenze sebbene fossero in possesso delle necessarie forme di autorizzazione che il Paese ove sono stabilite richiede per la gestione organizzata di scommesse in ambito nazionale e europeo.
Parimenti, limiti ingiustificati potrebbero esistere nei confronti delle persone operanti in Italia che sono escluse dal rilascio delle autorizzazioni ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88 per il solo fatto di che la richiesta di autorizzazione sia finalizzata all’attività di raccolta delle scommesse per conto delle società quotate e prive di concessione.
Al di fuori di tali limiti, tuttavia, sia il regime concessorio, sia il regime dell’autorizzazione rimangono assolutamente operativi, così che risulterebbe del tutto legittimo il diniego di autorizzazione allo svolgimento di gestione e/o raccolta di scommesse nella ipotesi di domande presentate da persone che non rispondano ai requisiti di incensuratezza e moralità previsti dall’ordinamento.”
Pare al Collegio che nulla debba aggiungersi sull’argomento, il che consente anche di affermare la non percorribilità della “suggerita” alternativa di sollevare questioni interpretative sul punto.
6. Così disatteso anche questo passaggio-cardine delle critiche appellatorie, può essere affrontata adesso la questione relativa al supposto effetto discriminatorio “in concreto” della gara.
Per far ciò è necessario muovere da quanto statuito in sede giudiziale comunitaria.
Come è noto, infatti,la sentenza Costa- Cifone contiene numerose significative affermazioni ulteriori rispetto a quelle prima riportate(e ciò interseca la porzione delle censure prospettate dall’appellante laddove ci si duole del quomodo della strutturazione della gara medesima).
6.1. Quella sentenza, infatti, afferma (punto 53) che: “ciò non si verifica nel caso in cui le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti siano tutelate dalla normativa nazionale. Il fatto stesso che gli operatori esistenti abbiano potuto iniziare la propria attività alcuni anni prima degli operatori illegittimamente esclusi, ed abbiano così potuto insediarsi sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria, conferisce loro un indebito vantaggio concorrenziale. Concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari ha come conseguenza di perpetuare e di rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima di questi ultimi dalla gara del 1999, e costituisce dunque una nuova violazione degli articoli 43 CE e 49 CE nonché del principio di parità di trattamento. Inoltre, una misura siffatta rende eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione agli operatori illegittimamente esclusi dalla gara del 1999 e dunque non rispetta il principio di effettività.”.
6.2. L’appellante prende le mosse da tale affermazione e sostiene che tale evenienza si sia (nuovamente) verificata nel caso di specie.
Proprio come avvenuto in passato, con riferimento alla gara sottoposta alla disamina della Corte comunitaria e culminata nella sentenza Costa-Cifone, l’appellante sostiene che anche la gara oggetto della odierna delibazione presenti profili di anticoncorrenzialità e favorisca i precedenti concessionari (il che, in tesi avrebbe determinato la necessità – stante le dette prescrizioni di gara – di revocare tutte le precedenti concessioni).
Invero, afferma subordinatamente l’appellante (sostanzialmente evocando l’istituto civilistico dell’obbligazione alternativa o facoltativa ben noto all’ordinamento italiano) delle due l’una: o la nuova gara non concede ulteriori vantaggi concorrenziali, ovvero la stessa non risponde alle prescrizioni comunitarie, per cui la scelta del quid faciendum rimessa allo Stato italiano si “concentra” sulla opzione di revocare tutte le concessioni in essere.
6.3. Tale prospettazione (che in realtà è appunto una “subordinata” rispetto alle affermazioni di portata assoluta contenute nell’appello e nel mezzo di primo grado e delle quali si è prima esclusa la favorevole delibazione) necessita di una accurata disamina.
6.3.1. Essa – strutturata secondo una pluralità di versanti causali – costituisce l’essenza delle censure contenute nel secondo motivo di appello, e va individuata come asse portante del ricorso di primo grado (secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo di quel ricorso introduttivo del giudizio).
6.4. E’,dunque necessario innanzitutto interrogarsi su ciò che l’ordinamento comunitario abbia effettivamente richiesto/imposto allo Stato italiano nella richiamata decisione Costa-Cifone .
Il punto centrale di questo esame – al quale può fornirsi risposta unicamente esaminando accuratamente le prescrizioni contenute nella richiamata sentenza – può ricondursi al seguente quesito: ci si deve chiedere cosa abbia inteso affermare il Giudice comunitario, allorché ha stabilito che “concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari ha come conseguenza di perpetuare e di rafforzare gli effetti dell’esclusione illegittima di questi ultimi dalla gara del 1999, e costituisce dunque una nuova violazione degli articoli 43 CE e 49 CE nonché del principio di parità di trattamento”.
In altri termini:
.- per ottemperare alle prescrizioni comunitariamente imposte e compendiate nelle superiori affermazioni, è sufficiente che le prescrizioni della nuova gara siano omogenee, identiche per tutti i partecipanti (siano essi soggetti già concessionari, o “nuovi aspiranti”), e soprattutto non consentano anche surrettiziamente od indirettamente, a chi era già concessionario di perpetuare una posizione di vantaggio?
.- oppure è necessario che le prescrizioni della gara siano positivamente orientate a rimuovere eventuali vantaggi in essere (punto 36 dell’appello, seconda parte del primo motivo di gravame) ?
Volendo fare un suggestivo richiamo traslativo alle prescrizioni contenute nella Carta Fondamentale italiana: si pretende l’applicazione del primo comma dell’art. 3 della Costituzione, ovvero del capoverso?
6.5. Il passaggio motivazionale della decisione Cifone prima richiamato, ed il dispositivo della stessa (che come è noto ha stigmatizzato la precedente gara in quanto contenente misure che indirettamente finivano con il favorire i titolari di concessioni già in essere) autorizzano la prima conclusione.
Il giudice comunitario, infatti, ha, sì, ponderato la circostanza della risalente presenza in Italia di concessionari, affermando che “il fatto stesso che gli operatori esistenti abbiano potuto iniziare la propria attività alcuni anni prima degli operatori illegittimamente esclusi, ed abbiano così potuto insediarsi sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria, conferisce loro un indebito vantaggio concorrenziale”. Purtuttavia, sebbene cosciente di tale situazione cristallizzatasi ed oggettiva (riconosciuta, come si è prima rilevato, anche dal Tar nella decisione oggetto della odierna impugnazione), ha ribadito il presupposto per cui ciò che è vietato consiste nel “concedere agli operatori esistenti ulteriori vantaggi concorrenziali rispetto ai nuovi concessionari”.
Nella citata sentenza Costa-Cifone non è stato mai affermato che la futura gara – per rimediare alla pregressa “discriminazione” (sentenza “Gambelli del pari prima citata) e, quindi, per possedere quel crisma di legittimità, che avrebbe potuto renderla utile alternativa all’altra opzione (revoca di tutte le concessioni illegittimamente rilasciate) – avrebbe dovuto contenere prescrizioni atte a rimuovere la situazione oggettivamente creatasi; ammesso che ciò sia possibile, senza prevedere disposizioni all’evidenza illegittime, quali condizioni “punitive” per gareggianti già concessionari, ovvero statuizioni “premiali” per i nuovi entranti, in spregio al principio di par condicio per tutti gli operatori (inclusi quelli già illegittimamente esclusi)..
6.6. Se così è – e non pare che il tenore letterale della sentenza citata autorizzi dubbi in proposito -, resta destituita di fondamento anche la ulteriore (subordinata) articolazione della prima macrocensura, secondo cui l’ordinamento comunitario avrebbe, sì, consentito di bandire una nuova gara (anche senza previa revoca delle concessioni in essere) a condizione che la disciplina della stessa avesse permesso di “rimuovere” la situazione creatasi.
Ad avviso del Collegio, il barrage discendente dal diritto comunitario ed imposto al Legislatore nazionale era contenuto nel precetto preclusivo della attribuzione di “ULTERIORI” vantaggi concorrenziali, ma non anche in una supposta necessità che la futura gara “emendasse” il vantaggio creatosi, rimuovendolo.
6.6.1. A questo punto della disamina, dunque, ad avviso del Collegio, una obiettiva lettura del diritto comunitario positivamente enunciato in sede giustiziale consente di affermare riassuntivamente che:
a) non risponde al vero l’affermazione assoluta secondo la quale nessuna nuova gara poteva essere bandita se non si fosse prima provveduto a revocare le concessioni in essere;
b) non è condivisibile la tesi (subordinata alla prima) secondo la quale, a tutto concedere, la nuova gara, per soddisfare le prescrizioni della sentenza Costa-Cifone, avrebbe dovuto contenere prescrizioni positive, “asimmetriche” tali da rimuovere “l’indebito vantaggio concorrenziale determinato dal fatto stesso che gli operatori esistenti abbiano potuto iniziare la propria attività alcuni anni prima degli operatori illegittimamente esclusi, ed abbiano così potuto insediarsi sul mercato con una certa notorietà e con una clientela propria”;
c) neppure è vero che il sistema concessorio italiano sia radicalmente illegittimo, né che il gruppo Stanley, in quanto latore di pregressa discriminazione, possa per sempre sottrarvisi: simile deroga vale se e fino a quando la discriminazione non venga rimossa mercé gara depurata da vantaggi “ULTERIORI” per i concessionari in essere; una volta verificato detto presupposto, la posizione di Stanley diviene quella di ogni altro aspirante operatore di settore.
6.6.2. E’ giunto quindi il momento di soffermarsi sulla ulteriore macrocensura, che, in via ulteriormente gradata, parte appellante articola.
6.6.2. Si sostiene nell’atto di appello che, anche ad ammettere che potesse essere bandita una nuova gara senza procedere in via preventiva alla revoca delle concessioni in essere, ed anche a volere concedere che la nuova gara (per essere reputata legittima) non dovesse “ rimuovere” (aliunde rispetto alla revoca) la situazione creatasi, ma unicamente limitarsi a non attribuire “ulteriori” vantaggi, ugualmente l’azione amministrativa spiegata risultava illegittima, perché, in realtà, la avversata gara attribuiva, appunto, “ulteriori” vantaggi agli attuali concessionari.
6.6.3. Il Collegio concorda – come si è prima a più riprese affermato – con la premessa maggiore di tale censura subordinata (id est: il diritto comunitario imponeva “unicamente” che la nuova gara, per essere reputata legittima, non attribuisse “ulteriori” vantaggi ai soggetti già concessionari).
Occorre, quindi, a questo punto dell’esposizione, soffermarsi su quali siano, ad avviso di parte appellante, i precetti, contenuti nella nuova bandita gara, determinanti (nuovamente) una attribuzione agli operatori esistenti degli “ulteriori” vantaggi concorrenziali rispetto agli aspiranti new incomers.
6.6.4. Essi precetti, ad avviso del Collegio (che di seguito chiarirà meglio la portata della propria affermazione), possono ricondursi, sostanzialmente, ad una prescrizione: quella, contenuta nel d.L. 2.3.2012 n. 16, ai commi 9 octies e 9 novies dell’art. 10, e finalizzata a realizzare “un primo allineamento temporale delle scadenze delle concessioni aventi ad oggetto la raccolta delle predette scommesse” in virtù della quale “in considerazione della prossima scadenza di un gruppo di concessioni per la raccolta delle predette scommesse“ la gara de qua è stata finalizzata all’attribuzione di concessioni, con scadenza al 30 giugno 2016”.
6.6.5. La tesi dell’appellante è chiara: posto che i pregressi concessionari (le cui concessioni non sono state revocate) avrebbero continuato ad operare, nelle medesime localizzazioni assegnate, giovandosi degli ammortamenti già effettuati, la eccessiva brevità del termine di durata della concessioni bandite (anni tre e mesi sei) scoraggiava l’ingresso dei nuovi operatori in passato illegittimamente esclusi (motivi n. 1 e 2 del ricorso di primo grado)
Unitamente a ciò, per il vero l’appellante si duole (originari terzo, quarto e quinto motivo di censura) delle disposizioni attuative della Legge di stabilità 2011 (13 dicembre 2010 n. 220, commi 78 e 79 dell’art. 1).
Detta attuazione è avvenuta per effetto dell’adozione dei decreti n. 1845 del 2011 e n. 1861 del 2011.
Secondo l’appellante, essendo state ivi introdotte prescrizioni regolatrici delle concessioni – riferite al possesso di requisiti di solidità patrimoniale, a limitazioni delle scelte imprenditoriali, alla destinazione degli utili ed agli obblighi di certificazione contabile – valevoli solo per le nuove concessioni, esse avrebbero reso la partecipazione alla gara meno conveniente rispetto al passato (in senso assoluto, quindi) e, quel che più rileva, meno conveniente per l’operatore “nuovo” a fronte di chi era già concessionario (non essendo, per altro, contestato, da parte appellante, che le su accennate “nuove disposizioni” si applichino a tutti i partecipanti alla contestata gara).
6.7. Il primo giudice, come è noto, non soltanto ha ritenuto che siffatte censure non valessero a radicare la legittimazione dell’appellante ad impugnare il bando, pur non avendo presentato domanda di partecipazione, ma ha poi saggiato comunque nel merito le doglianze ipotizzate, respingendole.
6.8.). Sul tema l’oggetto della tesi appellatoria (subordinata) che ora si affronta miranteb a
convincere che, in realtà la nuova gara ha attribuito appunto “ulteriori” vantaggi ai concessionari.
6.9. A tale riguardo, si può escludere senza dubbio che le disposizioni “di dettaglio” (rispetto a quella incentrata sulla durata ridotta delle concessioni poste in gara e di cui al quinto motivo del mezzo di primo grado ) possano rivestire portata “anticoncorrenziale in concreto” nei termini ipotizzati da parte appellante ed in passato stigmatizzati nella sentenza Costa-Cifone a più riprese richiamata.
6.9.1. Il Collegio si proprone di non utilizzare nel presente esame espressioni che possano prestarsi ad equivoci e dunque esaminerà le medesime disposizioni “leggendole” in connessione al petitum ricorsuale di primo grado (riproposto in appello) secondo cui esse rendevano la gara in partenza più favorevole a chi era già concessionario; si trascurerà ogni questione sulla palese circostanza che tutte dette previsioni si riferiscono non già alla disciplina di gara in senso proprio, ma alla fase di attuazione del rapporto concessorio e che esse non avevano carattere escludente; il che non militerebbe per la loro diretta impugnabilità a prescindere dalla partecipazione alla gara.
6.9.2. Proprio esaminando le censure in tale ottica prospettica, non pare assolutamente che esse meritino favorevole delibazione, né isolatamente considerate, né congiuntamente alla disciplina in punto di durata delle concessioni.
La prova palmare di ciò si rinviene nello stesso ricorso di primo grado, nell’ambito del quale ci si limita a citare genericamente dette disposizioni, se ne denuncia la rigidità e l’aggravio di oneri per gli aspiranti partecipanti alla gara, ma, a parte tale profilo (e nella incontestata considerazione che essere riguardano tutti gli aspiranti aggiudicatari e, quindi, anche coloro i quali siano già titolari di concessioni), non viene prospettata alcuna decisiva lesione.
6.9.3. Un’analisi delle disposizioni “ di riferimento” censurate (e delle doglianze di cui ai motivi del ricorso di primo grado nn. 3, 4, 5, 6 e 7, quanto alle clausole di decadenza previste nella convenzione accessiva) chiarirà meglio il concetto prima espresso.
La disamina deve muovere dal disposto di cui ai commi 78 e 79 dell’art. 1 della legge n. 220/2011 (legge di stabilità 2011) che così prevedono (per comodità espositiva se ne riporta il testo):
“L’aggiornamento di cui al comma 77 è orientato in particolare all’obiettivo di selezionare concessionari che, dovendo dichiarare in ogni caso in sede di gara i dati identificativi delle persone, fisiche o giuridiche, che detengono direttamente o indirettamente una partecipazione al loro capitale o patrimonio superiore al 2 per cento, siano dotati almeno dei requisiti di cui alla lettera a), nonché accettino di sottoscrivere convenzioni accessive alla concessione che rechino almeno clausole, condizioni e termini idonei ad assicurare il rispetto degli obblighi di cui alla lettera b):
a) requisiti:
1) costituzione in forma giuridica di società di capitali, con sede legale in Italia ovvero in uno degli altri Stati dello Spazio economico europeo, anteriormente al rilascio della concessione e alla sottoscrizione della relativa convenzione accessiva;
2) esercizio dell’attività di gestione e di raccolta non a distanza di giochi in Italia ovvero in uno degli altri Stati dello Spazio economico europeo, avendovi sede legale ovvero operativa, sulla base di valido ed efficace titolo abilitativo rilasciato secondo le disposizioni vigenti nell’ordinamento di tale Stato, con un fatturato complessivo, ricavato da tale attività, non inferiore, nel corso degli ultimi due esercizi chiusi anteriormente alla data di presentazione della domanda, all’importo di 2 milioni di euro;
3) possesso di una capacità tecnico-infrastrutturale, non inferiore a quella richiesta, in sede di gara, dal capitolato tecnico, comprovata da relazione tecnica sottoscritta da soggetto indipendente, nonché rilascio all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di una garanzia bancaria ovvero assicurativa, a prima richiesta e di durata biennale, di importo non inferiore a 1,5 milioni di euro;
4) possesso di adeguati requisiti di solidità patrimoniale, individuati con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze;
5) previsione nello statuto delle società concessionarie di idonee misure atte a prevenire i conflitti di interesse degli amministratori e, per gli stessi nonché per il presidente e i procuratori, di speciali requisiti di affidabilità, onorabilità e professionalità nonché, per almeno alcuni di essi, di indipendenza definiti con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze;
6) residenza delle infrastrutture, incluse quelle tecnologiche, hardware e software, dedicate alle attività oggetto di concessione in Italia ovvero in uno degli altri Stati dello Spazio economico europeo;
b) obblighi:
1) mantenimento, per l’intera durata della concessione, dei requisiti di cui alla lettera a) e dimostrazione, su richiesta dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, della loro persistenza;
2) comunicazione all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di ogni variazione relativa ai requisiti di cui alla lettera a);
3) immediata e integrale ricostituzione del capitale sociale nei casi di riduzione del medesimo, ovvero di suo aumento, su motivata richiesta dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, nel caso in cui lo sviluppo delle attività e delle funzioni in concessione lo richieda;
4) mantenimento, per l’intera durata della concessione, del rapporto di indebitamento entro un valore non superiore a quello stabilito con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze;
5) consegna all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, entro e non oltre quindici giorni dalla loro approvazione, del bilancio d’esercizio e delle rendicontazioni contabili trimestrali, relative alla società concessionaria e a quella dalla stessa controllata, necessariamente accompagnate da apposita relazione di certificazione redatta da una primaria società di revisione contabile;
6) fermi i finanziamenti e le garanzie già prestati alla data di sottoscrizione della convenzione accessiva alla concessione e salvo che non sia strettamente finalizzato a ottenere indirettamente, tramite finanziamenti intragruppo, maggiori risorse finanziarie a condizioni di mercato più efficienti e funzionali all’esercizio di attività rientranti nell’oggetto sociale del concessionario ovvero nell’oggetto della concessione, divieto di prestazione di finanziamenti o garanzie a favore di società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile ovvero collegate o controllate dal medesimo controllante, fatta eccezione per le società controllate o collegate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, operanti nel settore delle infrastrutture di gioco, fermo rimanendo il mantenimento dei requisiti di solidità patrimoniale di cui al numero 4) della lettera a) del presente comma; in ogni caso, tempestiva comunicazione all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato dei finanziamenti e delle garanzie prestati nei casi predetti;
7) distribuzione, anche straordinaria, di dividendi solo subordinatamente al fatto che risultino pienamente adempiuti tutti gli obblighi di investimento, specialmente quelli occorrenti al mantenimento dei livelli di servizio richiesti al concessionario;
8) sottoposizione ad autorizzazione preventiva dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, a pena di decadenza dalla concessione, delle operazioni che implicano mutamenti soggettivi del concessionario, intendendosi per modifiche soggettive riguardanti il concessionario ogni operazione, posta in essere dal concessionario, di fusione, scissione, trasferimento dell’azienda, mutamento di sede sociale o di oggetto sociale, scioglimento della società, escluse tuttavia quelle di vendita o di collocamento delle azioni del concessionario presso un mercato finanziario regolamentato;
9) sottoposizione ad autorizzazione preventiva dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato delle operazioni di trasferimento delle partecipazioni, anche di controllo, detenute dal concessionario suscettibili di comportare, nell’esercizio in cui si perfeziona l’operazione, una riduzione dell’indice di solidità patrimoniale determinato con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, fermo l’obbligo del concessionario, in tali casi, di riequilibrare, a pena di decadenza, il predetto indice, mediante aumenti di capitale ovvero altri strumenti od operazioni volti al ripristino dell’indice medesimo entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio;
10) mantenimento del controllo, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, del concessionario sempre in capo a un soggetto che abbia i requisiti e assuma gli obblighi seguenti:
10.1) patrimonializzazione idonea, intendendosi per tale che il soggetto abbia un patrimonio netto, risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio approvato e certificato, almeno pari all’importo determinato con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze per ogni punto percentuale di partecipazione nel capitale del concessionario;
10.2) sede sociale, o residenza in caso di persona fisica, in un Paese non incluso nelle liste degli Stati e territori a regime fiscale privilegiato individuati ai sensi degli articoli 110 e 167 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni;
10.3) se in Italia all’atto dell’aggiudicazione della concessione, assicurare il mantenimento nel territorio, anche a fini fiscali, della sede del concessionario, nonché il mantenimento nel medesimo territorio delle competenze tecnico-organizzative del concessionario, impegnandosi formalmente ad assicurare al concessionario i mezzi occorrenti per far fronte agli obblighi derivanti dalla convenzione di concessione e dagli atti ad essa allegati, agendo a tal fine al meglio delle proprie possibilità;
10.4) composizione dell’organo amministrativo, nella misura richiesta, da amministratori e sindaci in possesso dei requisiti di cui alla lettera a), numero 5), e aventi altresì, ricorrendone il caso, i requisiti di onorabilità previsti ai fini della quotazione in mercati regolamentati;
11) trasmissione all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, entro e non oltre quattro mesi dalla sottoscrizione della convenzione accessiva alla concessione, del documento attestante l’avvenuta certificazione di qualità dei sistemi di gestione aziendale conformi alle norme dell’Unione europea, con espresso impegno al mantenimento di tale certificazione per l’intera durata della convenzione;
12) comunicazione all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, su sua richiesta, di tutte le informazioni utili a valutare le modalità di organizzazione, gestione, assistenza e controllo della rete di distribuzione fisica, con particolare riferimento alle funzioni di customer service e di logistica distributiva, relativamente alle attività di produzione, stoccaggio e distribuzione alla predetta rete del materiale di gioco;
13) adozione ovvero messa a disposizione di strumenti e accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco, per l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori, nonché per l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti di gioco gestiti dal concessionario;
14) promozione di comportamenti responsabili di gioco e vigilanza sulla loro adozione da parte dei giocatori, nonché di misure a tutela del consumatore previste dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206;
15) nell’ambito dell’esercizio e della raccolta dei giochi pubblici, svolgimento dell’eventuale attività di commercializzazione esclusivamente mediante il canale prescelto;
16) esercizio attraverso la rete di raccolta del gioco di attività strumentali o collaterali a quella di gioco nonché valorizzazione delle immobilizzazioni ovvero delle infrastrutture occorrenti per la raccolta del gioco negli stretti limiti e condizioni stabiliti in sede di gara e solo previa autorizzazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, alla cui approvazione preventiva sono altresì sottoposti gli schemi di atti, anche negoziali, che i concessionari adottano per la disciplina dell’esercizio delle predette attività;
17) destinazione a scopi diversi da investimenti legati alle attività oggetto di concessione della extraprofittabilità generata in virtù dell’esercizio delle attività di cui al numero 6) solo previa autorizzazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
18) individuazione del momento ovvero delle condizioni al cui avverarsi l’eventuale variazione degli oneri di esercizio e gestione delle attività oggetto di concessione rientra nel rischio d’impresa del concessionario, salvi i casi di forza maggiore o di fatto del terzo;
19) trasmissione al sistema centrale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato delle informazioni, dei dati e delle contabilità relativi all’attività di gioco specificati con decreto direttoriale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
20) trasmissione annuale, anche telematica, all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato del quadro informativo minimo dei dati economici, finanziari, tecnici e gestionali delle società concessionarie specificato con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze;
21) messa a disposizione, nei tempi e con le modalità indicati dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all’atto della sua richiesta, di tutti i documenti e le informazioni occorrenti per l’espletamento delle attività di vigilanza e controllo della medesima Amministrazione;
22) consenso all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per l’accesso, nei tempi e con le modalità indicati dalla stessa Amministrazione, di suoi dipendenti o incaricati alle sedi del concessionario a fini di controllo e ispezione, nonché, ai medesimi fini, impegno di massima assistenza e collaborazione nei riguardi di tali dipendenti o incaricati;
23) definizione di sanzioni, a titolo di penali, a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione accessiva alla concessione imputabili al concessionario, anche a titolo di colpa; graduazione delle penali in funzione della gravità dell’inadempimento e nel rispetto dei principi di proporzionalità ed effettività della sanzione;
24) previsione di meccanismi tesi alla migliore realizzazione del principio di effettività della clausola di decadenza dalla concessione, nonché di maggiore efficienza, efficacia ed economicità del relativo procedimento nel rispetto dei principi di partecipazione e del contraddittorio;
25) previsione per il concessionario uscente, alla scadenza del periodo di durata della concessione, di proseguire nell’ordinaria amministrazione delle attività di gestione ed esercizio delle attività di raccolta del gioco oggetto di concessione fino al trasferimento della gestione e dell’esercizio al nuovo concessionario;
26) previsione della cessione non onerosa ovvero della devoluzione della rete infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all’atto della scadenza del termine di durata della concessione, esclusivamente previa sua richiesta in tal senso, comunicata almeno sei mesi prima di tale scadenza ovvero comunicata in occasione del provvedimento di revoca o di decadenza della concessione.
Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti concessionari ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici sottoscrivono l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti ai principi di cui al comma 78, lettera b), numeri 4), 5), 7), 8), 9), 13), 14), 17), 19), 20), 21), 22), 23, 24), 25) e 26).”
6.9.4. In ottemperanza alle dette previsioni l’Amministrazione ha emanato i decreti n. 1845 del 2011 e n. 1861 del 2011, con i quali sono state introdotte prescrizioni regolatrici delle concessioni.
Parte appellante muove una critica a tali prescrizioni che appare al Collegio infondata, sino a sfociare nella temerarietà.
In contrario senso rispetto a quanto sostenutosi nell’atto di appello, osserva, infatti, questo giudice che è ben vero che dette prescrizioni, che riguardano soltanto le nuove concessioni, sono più stringenti e penetranti di quelle in passato previste, ma, posto che esse riguardano tutti i partecipanti (id est: anche i vecchi concessionari), e che trovano applicazione anche per i rapporti già in essere, francamente non è dato realmente comprendere in cosa consista il supposto “vantaggio” perpetuato in favore di costoro.
A meno di non volere affermare il principio (che, in realtà, rischia di trasformarsi in un paradosso) per cui, laddove in passato sia stata bandita una gara che non abbia risposto ai canoni comunitari, ovvero una gara alla quale illegittimamente non sia stato ammesso un soggetto, per garantire il pieno dispiegarsi della partecipazione di questo soggetto, all’Amministrazione sia inibito apportare alcuna modifica alla nuova disciplina di gara che la renda difforme (in parte qua e quanto a requisiti, condizioni di ammissione etc) dalla disciplina delle passate gare.
In sostanza, si dovrebbe obliare ogni evoluzione normativa, ogni progresso in punto di accorgimenti per evitare che i rilevanti problemi di ordine pubblico sottesi alla organizzazione del gioco possano inverarsi (si noti che in talune delle disposizioni predette è palese l’intento anti-riciclaggio): ed il tutto dovrebbe avvenire per garantire al pregresso aspirante concessionario pretermesso di concorrere in posizione di parità con coloro che sono già concessionari.
Ed anche se fosse ammessa la praticabilità di una simile opzione (ed il Collegio ciò nega fermamente), sarebbe almeno necessario che venisse chiarito in qual modo ed in che misura dette nuove disposizioni, in punto di obblighi, fatturato, etc, (valevoli, lo si ripete, per tutti gli aspiranti), siano (non soltanto ex se intrinsecamente illogiche, ma, anche) tali da imporre un onere a carico dell’aspirante non già concessionario sproporzionato, e quindi, in ultima analisi, si risolvano in un “favor” per chi concessionario lo è già.
L’appellante tace del tutto in proposito, rapporta gli oneri predetti a parametri che non possono, invece,costituire tertium comparationis (la meno stringente disciplina accessiva alle pregresse concessioni, ormai datata nel tempo, ovvero addirittura i meno stringenti obblighi imposti ai concessionari in altri settori, – punto 127 del ricorso di primo grado-) e comunque finisce con il riportare il tutto ad una problematica di eccessiva ristrettezza del termine di durata delle concessioni da affidarsi.
6.9.5 Preme più in particolare al Collegio osservare che: quanto agli oneri di oneri di capitalizzazione e di verifica, l’appellante oblia quanto espressamente affermato dalla Corte di Giustizia dove ha ammesso che, a particolari condizioni, e per la tutela di specifici interessi, non poteva non essere sacrificato il sistema concessorio italiano.
Non può, infatti, sottacersi che si verte in un settore (quello dei giochi e delle scommesse) a forte rischio di infiltrazione criminale, che dunque richiede uno stretto vincolo di verifica: alle stesse esigenze presiedono le prescrizioni in punto di vincolo di esclusività e divieto di cessione (peraltro quest’ultimo approdo acquisito della disciplina italiana in materia di concessioni di beni e servizi, quale che sia il settore di riferimento) e sono palesemente destinate a garantire il settore dal rischio di infiltrazioni criminali le prescrizioni che radicano in capo all’amministrazione un potere autorizzativo e di controllo sull’acquisto delle partecipazioni sociali (motivi 3 e 4 del mezzo di primo grado).
6.9.6. Quanto alle richieste di dotazioni tecniche e di cauzione, rileva il Collegio che, all’evidenza, le stesse sono di incidenza molto più ridotta rispetto alle concessioni dei bandi “Coni” e “Bersani”.
L’appellante veicola detti argomenti di critica che tendono a dimostrare l’antieconomicità “relativa” della partecipazione alla gara per chi non vanti già concessioni in essere: seconché, da un canto ciò avviene trascurando i fini cui le dette prescrizioni tendono (che sono quelli già prima enunciati, ed espressi nell’art. 38 del D.L. 4.7.2006, n. 223 , convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – c.d.“Decreto Bersani” – che ha riformato il settore delle concessioni per l’esercizio dei giochi d’azzardo, prevedendo nuove modalità di distribuzione dei giochi d’azzardo nell’intento di contrastare la diffusione del gioco irregolare e illegale, l’evasione e l’elusione fiscale, nonché di assicurare tutela al giocatore); e, per altro verso, tali argomenti sono apoditticamente affermati, senza neppure chiarirne l’incidenza (ci si riferisce, ad esempio, alla critica ai “gravosi adempimenti di compliance e certificazione contabile” di cui al punto 115 del mezzo di primo grado) e senza rapportare tali oneri alla ridottissima base d’asta delle concessioni.
6.9.7. Può aggiungersi, sempre in proposito, che le difese delle controinteressate e dell’Amministrazione hanno buon giuoco nel rilevare, sul punto, che la supposta “antieconomicità assoluta” della gara è smentita dal fatto che circa 120 concorrenti (inclusi, secondo quanto dichiarato senza smentita dalle parti resistenti, importanti gruppi stranieri parimenti operanti a mezzo di CTD e non attributari di precedenti concessioni) hanno avanzato domanda partecipativa e nulla hanno criticato della detta gara, per quel che è dato allo stato conoscere.
6.9.8. Per esaurire il tema relativo alle critiche mosse alle disposizioni contenute nella convenzione accessiva, il Collegio perviene ad analoghe conclusioni con riguardo alle censure mosse alle supposte clausole escludenti relative alla decadenza del concessionario (critiche in larga parte concentrate nell’originario sesto motivo del mezzo di primo grado).
In parte, su talune di esse ci si è già soffermati, quando si è affermata la erroneità del presupposto di partenza sotteso alle censure, fondato sull’asserita assoluta illegittimità del sistema concessorio italiano.
6.9.9. A rischio di incorrere in qualche superflua ripetizione (del resto, per ragioni di chiarezza e, magari eccessiva, analiticità, questo rischio è stato più volte volutamente affrontato in vari passi della presente decisione, seguendo il principio del repetita juvant), va ribadito in questa sede che, non soltanto per la sedes materiae (convenzione accessiva), ma anche e soprattutto per la formulazione delle clausole “denunciate”, il Collegio giudica evidente che le stesse non abbiano avuto portata escludente, ma che, al più (come del resto quelle immediatamente prima esaminate tendenti ad ipotizzare la supposta antieconomicità della partecipazione al bando) esse sarebbero state impugnabili soltanto da chi avesse presentato una domanda partecipativa, proprio in quanto destinate a regolamentare una fase successiva e distinta dalla fase evidenziale.
6.9.10. Invero, se l’appellante gruppo Stanley avversa l’an della gara e sostiene che la stessa non avrebbe potuto giammai essere bandita, o ne avversa l’impostazione in quanto asseritamente fondata su un sistema (concessorio) in tesi assolutamente illegittimo, e se si ritiene (come ha ritenuto questo Collegio) che, in relazione a tali premesse, la stessa parte possedesse legittimazione ad immediatamente dolersi del bando, ciò non implicherebbe di necessità che – muovendo dalla medesima causa legittimante – la ripetuta parte potesse impugnare ogni e qualsiasi prescrizione, ivi comprese anche quelle esecutive e quelle non in stretta correlazione con il proprio tutolo legittimante (ci si riferiscein particolare quelle alle clausole incentrate sugli “oneri economici” e sugli “adempimenti”, in quanto indiscriminatamente gravanti su tutti gli aspiranti).
Non può fare a meno di rilevare il Collegio, sul punto, che si è prossimi ad un utilizzo “abusivo” dello strumento ricorsuale, laddove, peraltro, si consideri che le eventualità paventate da parte Stanley a giustificazione del proprio agire (id est: omessa partecipazione alla gara e, nondimeno, poposizione del gravame volto ad avversarla) in parte qua collidono con la già ricordata giurisprudenza, secondo cui “in materia di gare di appalto l’accettazione della clausola di partecipazione senza riserve non comporta alcuna acquiescenza alle regole di gara, tale da rendere inammissibile la loro successiva impugnazione o da considerarsi preventiva rinuncia a far valere i vizi della procedura lesivi dell’interesse del concorrente.”(T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 09-10-2012, n. 4037).
Tutti i “pericoli” (incameramento cauzione, etc) posti a sostegno di tale operare appaiono al Collegio forzosamente rappresentati dall’appellante, in termini enfatici, al solo strumentale scopo di dimostrare la propria legittimazione anche in riferimento a dette censure.
E, d’altro canto, lo si ribadisce, la circostanza che, con riferimento a talune delle doglianze prospettate, il gravame era ammissibile non implica automaticamente che pure altre censure, non collegate a tale peculiare riscontrata legittimazione attiva, potessero essere sollevate a prescindere dall’avvenuta partecipazione alla gara, essendo patrimonio acquisito, in dottrina e giurisprudenza, quello per cui ogni singolo motivo introduce nel processo una singola azione, soggetta a individuale verifica in ordine al ricorrere dei presupposti processuali: l’ammissibilità in sé del gravame di primo grado non implica, in via conseguenziale, che tutte le censure ivi contenute fossero parimenti ammissibili.
6.9.11. La palese infondatezza delle doglianze, però, consente di prescindere dall’approfondimento di quell’indirizzo evolutivo segnalato ed invocato dall’appellante (vedasi ordinanze di remissione sottese alla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 8/2013, che ha però deciso sulle medesime seguendo un ragionamento capace di aggirare il loro nucleo) e che, in tesi giustificherebbe l’immediata proposizione dell’impugnazione anche con riferimento a tale versante.
In pratica la facile risoluzione in senso negativo di quelle censure ne abilita la immediata trattazione nel merito, senza che ci si debba interrogare sulla necessità od opportunità di devolvere nuovamente all’esame dell’adunanza Plenaria la questione (come suggerito da parte appellante nella memoria di replica in ultimo depositata).
6.9.12. A tal proposito, si ribadisce che l’appellante si duole delle prescrizioni sub art. 23 comma 2 lettere a),e) e k).
Con riguardo a queste ultime due, se ne è già rilevata la infondatezza, laddove si è posta in luce l’erroneità del punto di partenza (illegittimità assoluta del sistema concessorio italiano) che induceva l’appellante a censurarle.
Le stesse considerazioni valgono,semmai rafforzate, con riferimento alla prescrizione di cui alla lett. a) citata.
Oltre a quanto si è detto con riferimento al rigetto della specifica prospettazione fondata sul binomio “illegittimità del sistema concessorio italiano/legittimità pro-futuro dei CTD”, il Collegio non trova espressioni migliori per esprimere il proprio convincimento reiettivo rispetto a quelle contenute nel parere preventivo del Consiglio di Stato n. 3337/2012.
E’ ben vero – come ha rimarcato l’appellante nel proprio gravame – che la avvenuta positiva sottoposizione al parere di questo Consiglio dello schema di convenzione accessiva non è, in sé, garanzia di indubitabile legittimità delle prescrizioni esaminate.
Ciò è persino superfluo rammentarlo.
Questo Collegio, però, il contenuto del detto parere condivide integralmente; e non ritiene che siano spendibili altre considerazioni (in riferimento alla censura di cui ai punti 136 e segg. del mezzo di primo grado) rispetto a quelle contenute nel citato atto consultivo.
Ivi infatti è stata puntualmente vagliata la clausola contenente la previsione della decadenza per <>.
Rapportando il tenore letterale della clausola suddetta a quello dell’analoga prescrizione nello schema di convenzione attinente alle procedure di gara del 2006, sono stati rammentati i principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza Costa-Cifone in proposito (p. 75 e ss e, in particolare, p. 81, ai quali si fa integrale riferimento in questa sede) ed è stata rievocata la circostanza che alla Corte sovranazionale è apparsa non rispondente a tali principi, con riserva di verifica, da parte del giudice di rinvio, circa la chiarezza, precisione ed univocità, la previsione di decadenza ricollegata ad <>.
La Sezione consultiva ha, a tale proposito, osservato come “non vi è dubbio che la nuova formulazione dell’art. 23 presenti un grado di gran lunga superiore di chiarezza e precisione”.
Con tale diagnosi preventiva concorda il Collegio, che non può esimersi dal sottolineare quanto, è stato esattamente osservato nella successiva parte del parere; cioè che: “Rimane, tuttavia, da considerare che, una volta contemplate dall’art. 24, comma 25 del D.L. n. 98/2011 – e puntualmente richiamate nella convenzione – le (numerose) ipotesi di reato per le quali è sufficiente, ai fini dell’esclusione e della decadenza, la qualità di imputato, il campo di applicazione dei casi residuali di decadenza si restringe alle ipotesi in cui il concessionario rivesta la qualità di indagato per i medesimi reati ovvero di indagato o imputato per reati diversi da quelli indicati dall’art. 24, comma 25, evidentemente giudicati dal legislatore di minore gravità.
Per questa ipotesi, la disposizione residuale sembrerebbe essere conforme alla pronuncia della Corte di Giustizia dovendosi fondare il giudizio di inaffidabilità, di mancanza di professionalità e di inidoneità morale del concessionario su indizi concludenti, sulla natura, sulla gravità e sulle modalità di esecuzione del reato nonché sulla sua connessione con l’oggetto dell’attività affidata in concessione. Essa pare, altresì, conforme alla condizione, stabilita dalla Corte, della possibilità di ricorso in sede giurisdizionale e di azione per il risarcimento del danno, rimedi ammessi dall’ordinamento in via generale, senza che vi sia bisogno di un espresso richiamo.”.
Il Collegio, anche in questo caso aderisce integralmente alle riportate considerazioni e, traendo le fila da tale iter motivo, è tenuto a rimarcare che la Corte di Giustizia ha ammesso con la detta decisione Costa-Cifone:
-.“che l’esclusione degli operatori i cui gestori abbiano riportato condanne penali può, in linea di principio, essere considerata misura giustificata dall’obiettivo della lotta contro la criminalità”;
-. che “l’esclusione dovrebbe, in linea di principio, essere considerata proporzionata all’obiettivo della lotta contro la criminalità unicamente nel caso in cui fosse fondata su una sentenza avente autorità di giudicato in relazione ad un delitto sufficientemente grave”;
ma, soprattutto, che “peraltro, in determinate circostanze può rivelarsi giustificato adottare misure preventive nei confronti di un operatore sospettato, sulla base di indizi concludenti, di essere implicato in attività criminali”.
In definitiva le censure dell’appellante finiscono con l’appuntarsi su una clausola in passato intaccata dal giudizio della Corte unicamente in ragione dell’emergere di una certa indeterminatezza, ma non tengono conto della circostanza che, proprio per rispettare le prescrizioni della decisione della Corte, essa è stata riformulata in termini tali da escludere i precedenti rilievi.
Pare al Collegio che si possa affermare la infondatezza anche di questa censura.
6.9.13. In sintesi: l’appellante denuncia “rischi” inesistenti, per il passato, allorché prende in esame l’art. 23 comma 2 lett. a), posto che il giudice penale ha a più riprese disapplicato la normativa di riferimento con riguardo ai soggetti legati da rapporti di collaborazione con Stanley, in ossequio a quanto stabilito in passato nella sentenza Placanica.
L’appellante muove, poi, da un presupposto falso, quanto all’art. 23 comma 2 lett. e) e k), perché, allorchè dovesse giungere una affermazione giudiziale di legittimità e non discriminatorietà di una gara bandita dall’Amministrazione nel settore per cui è causa, essa non avrebbe alcun titolo per non soggiacere al sistema concessorio italiano, e non si vede perché l’Amministrazione non debba pretendere che il partecipante alla gara ( non “discriminatoria”), aggiudicatosi la concessione, non debba attenersi alle modalità organizzative previste dallo Stato italiano e non debba astenersi dal violare la disciplina da quest’ultimo prevista.
Le dette clausole, oltre a non essere escludenti nei termini già visti, appaiono perfettamente legittime, chiare, e sinanco doverose; suona invece quasi paradossale la critica dell’appellante che, ove accolta, sarebbe idonea a privare di ogni logica le pronunce della Corte di Giustizia prima richiamate: non si vede, infatti, perché quest’ultima abbia ipotizzato la possibilità di bandire una “gara non discriminatoria” per sanare le pregresse illegittimità, se, poi, (per seguire gli argomenti dell’appellante) neppure questa sarebbe idonea allo scopo, vantando l’appellante sine die il “diritto” di sottrarsi all’applicazione nei propri confronti del sistema concessorio italiano (nei termini, lo si ribadisce in cui lo stesso è risultato legittimo allo scrutinio comunitario).
6.9.14. Detta articolazione del gravame, pertanto, anche genericamente e confusamente formulata, va dichiarata infondata (ed il giudizio di infondatezza riguarda anche i motivi da 8 ad 11 del riproposto mezzo di primo grado, tesi a dimostrare quali “corollari negativi” discendano dalla supposta, ma non riscontrabile, genericità delle avversate prescrizioni e quali conseguenze essa genericità avrebbe potuto produrre, piuttosto che ad introdurre specifiche doglianze).

6.10 Conviene invece approfondire quello che già si è avuto modo di indicare costituire il vero nodo centrale della macrocensura di cui al quinto motivo del mezzo di primo grado riproposta nel ricorso in appello.
Essa si appunta sulla prescrizione di cui all’art. 3 della convenzione, laddove il termine di durata delle concessioni è determinato fino al 30 giugno 2016, con lo scopo, indicato dalla norma primaria, di allineare la scadenza delle nuove concessioni a quelle già rilasciate sulla base della previgente normativa.
Si sostiene la illegittimità della detta prescrizione e, a monte della disposizione di legge che la legittima ed impone (art.10 comma 9 octies lett. b del D.L. 2 marzo 2012 n. 16 convertito in legge dall’art. 1, comma 1, L. 26 aprile 2012, n. 44).
Di quest’ultima, in parte qua, si invoca la disapplicazione per supposto contrasto con il diritto comunitario.
6.10.1. Di nuovo ben consapevole di ripetere considerazioni già svolte, il Collegio puntualizza che la critica di parte appellante si incentra sulla seguente prospettazione:
le Autorità italiane, avvalendosi della “scelta” concessa loro dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non hanno revocato le concessioni in essere, preferendo bandire una nuova gara.
Tuttavia, per la prescrizione concreta ivi contenuta – avente ad oggetto la ridotta durata delle future concessioni – detta gara perpetuerebbe una discriminazione, finendo con l’attribuire de facto un vantaggio ai precedenti concessionari.
I passaggi dell’atto di appello, nell’ambito dei quali la detta tesi è illustrata con dovizia di argomenti, sono quelli di cui ai punti 65-79 del gravame, da leggersi in correlazione con le affermazioni contenute nella seconda parte del riproposto quinto motivo del mezzo di primo grado (ancorché numerosi richiami di questo assunto, a dimostrazione della sua centralità nell’economia dell’atto impugnatorio di primo grado, siano contenuti in numerosi ulteriori motivi del ricorso introduttivo medesimo).
Al punto n. 175 lett. a) dell’atto di appello (pagg. 95 e 96) viene chiesto, in via subordinata, di sollevare questione pregiudiziale interpretativa dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), proprio in relazione a tale profilo (unitamente ad altri suggerimenti per analoghe “rimessioni”, per il vero, già prima esaminati e rigettati da questo Collegio).
Ciò in quanto la prescrizione colliderebbe con gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del medesimo TFUE.
6.11. Osserva in proposito il Collegio quanto segue.
Come è noto, costituisce jus receptum il principio per cui anche i giudici di ultima istanza non sono tenuti a sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di norme comunitarie:
-. se questa non è pertinente (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite);
-. se la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla Corte o se comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso,;
-. o se la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata (cfr, Corte Giust, CE, Cilfit, del 6-10-82, C 283/81).
Per altro verso, la Corte ha affermato in passato, proprio nella sentenza Placanica, a più riprese citata, ai punti 36 e 37, che (con riferimento alla ripartizione delle responsabilità nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’art. 234 CE e succ. mod.) il seguente principio:
se è vero che l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto comunitario, per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v., in particolare, sentenze Gebhard, del 30 novembre 1995, causa C-55/94 – Racc. pag. I-4165 – punto 19; nonché Wilson, citata, punti 34 e 35).
Inoltre, si è ivi osservato che, sebbene, nel caso in cui il contenuto letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale inviti la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto comunitario (benché la Corte non possa risolvere tale questione così come essa viene formulata), “nulla le impedisce di dare una soluzione utile al giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di interpretazione che rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario.”.
In ultimo, preme al Collegio porre in risalto che, per costante interpretazione della Suprema Corte di Cassazione, cui questo Consiglio di Stato ha più volte aderito, e dalla quale questo Collegio non ravvisa motivo per discostarsi (ex multis Cass. civ., sez. V, 11-12-2012, n. 22577), “l’interpretazione del diritto comunitario adottata dalla Corte di giustizia ha efficacia “ultra partes”, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della Comunità.”.
6.12. Ciò premesso, rileva il Collegio che, nel caso di specie e con riferimento esclusivo alla censura in ultimo elencata, non ricorre alcuna delle elencate evenienze ”esoneranti” il giudice nazionale di ultima istanza a sollevare questione pregiudiziale.
6.13. In particolare, l’appellante sostiene che le menzionate disposizioni siano illegittime, e che, a monte, la norma di legge nazionale suindicata confligga con il diritto comunitario, nei termini specificati dalla sentenza Costa-Cifone, laddove si considera non conforme al diritto comunitario una gara bandita nel detto settore dei giuochi e delle scommesse da un’autorità nazionale, che “attribuisca ulteriori vantaggi ai concessionari”.
E tale sarebbe una gara finalizzata ad attribuire concessioni di durata breve, o comunque assai più contenuta rispetto alle pregresse concessioni attribuite, in quanto perpetuerebbe il vantaggio concorrenziale derivante dall’essere i concessionari già da tempo presenti nel mercato italiano.
6.14. Il Collegio ritiene di dovere sinteticamente esprimere il proprio punto di vista sulla doglianza (e sulla questione interpretativa prospettata in via subordinata) e ciò può fare giovandosi in larga parte di affermazioni già rassegnate nella presente motivazione.
6.15. In particolare, si ritiene di non aderire alla richiesta di diretta disapplicazione della norma nazionale in punto di durata della concessioni messe in gara, sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
A) in primo luogo – e tale motivazione avrebbe ex se portata troncante – la questione della compatibilità di dette disposizioni con il diritto europeo non riguarda profili di interpretazione che la Corte di Giustizia Ce ha già esaminato nelle proprie pronunce (come per il vero riconosciuto dalla stessa parte appellante, laddove sottolinea la “novità” della questione);
B) secondariamente, e come già esposto nei pregressi paragrafi, la pretesa di ravvisare elementi di illegittimità nell’avversato bando di gara a cagione della difformità dello stesso rispetto alle precedenti modalità attributive dei diritti concessori (anche con riguardo ad un elemento assai rilevante e qualificante dell’instaurando rapporto concessorio, quale quello della durata) non appare in sé persuasiva;
C) tale non persuasività discende, tra l’altro, dalla circostanza che l’appellante ha misconosciuto un elemento assolutamente rilevante (id est: il contenuto prezzo a base d’asta, rispetto al passato), che di tale ridotta durata costituisce il logico contrappeso, unitamente alle disposizioni che avevano dimezzato il numero di terminali da utilizzare, ridimensionato gli importi della cauzione provvisoria e di quella definitiva rispetto a quelli delle precedenti gare, parametrandoli, appunto, alla diversa e minore durata dell’affidamento; se è vero, pertanto, che le concessioni messe in gara hanno minor durata di quelle precedentemente attribuite, esse sono, però, anche meno onerose e meno impegnative economicamente per l’aspirante concessionario;
D) si è già rilevato, peraltro, che le affermazioni in punto di diseconomicità della gara (in quanto contenente la detta prescrizione sulla ridotta durata delle concessioni, unitamente alle altre prescrizioni sulle quali ci si è già soffermati) risultano oggettivamente smentite dalla numerosa partecipazione alla gara da parte di numerosi gruppi, anche stranieri, secondo quanto asserito dalle parti resistenti all’apppello, senza smentita di parte agente;
E) in ultimo, ma non da ultimo, l’esigenza di razionalizzare e riordinare il sistema, prevedendo, sì, una durata ridotta, ma con lo scopo di raccordarla alla scadenza delle concessioni in essere, così da conseguire un primo allineamento temporale, pare al Collegio esigenza organizzativa degna di ragguardevole considerazione; per solo apparente paradosso, essa appare proprio finalizzata a ridurre od azzerare gli inconvenienti lamentati dall’appellante poggianti su un differente regime di concessioni contemporaneamente operative, connesso ad uno stratificato ed in parte risalente meccanismo attributivo.
6.15. Dette considerazioni – che come è agevole riscontrare sono in larga parte comuni a quelle sottese alla reiezione delle doglianze (definite dal Collegio ”di dettaglio”) pure denuncianti l’antieconomicità della partecipazione alla gara per gli aspiranti “nuovi” concessionari – impediscono, lo si rimarca nuovamente, la positiva delibazione della censura principale, tendente alla disapplicazione della norma di legge primaria ed all’annullamento del bando.
Esse condurrebbero il Collegio a disattendere nel merito anche detta ultima censura prospettata.
6.16. Senonché lo stesso Collegio non si può esimere dal formulare una considerazione:
a) le clausole esaminate in precedenza (asseritamente “determinanti antieconomicità” – ed in quanto tali definite dall’appellante “escludenti”-) trovavano una giustificazione proprio in quegli obiettivi primari “di controllo su coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti”, come espressamente affermato nella sentenza “Placanica”della Corte di Giustizia, che, si è visto, legittimano, a determinate condizioni, il permanere del sistema concessorio italiano;
b) invece, l’avversata disposizione in punto di durata delle concessioni messe in gara non trova eguale fondamento legittimante sotto il profilo causale.
Essa si distacca da quelle precedentemente esaminate, per la ratio impositiva alla stessa sottesa, e come si è visto, fondante su una (mera) esigenza organizzativa e razionalizzatrice (si veda il punto n. 74 dell’appello, espressivo, in parte qua, di una constatazione senz’altro condivisibile).
6.17. Se non può dirsi, pertanto, a tale proposito, che sussistano indici interpretativi comunitari che possano indurre a ritenere già esaminata la questione, neppure può affermarsi che la stessa – al di là del convincimento sinora espresso dal Collegio – sia pretestuosa o manifestamente infondata od inammissibile.
Essa muove in realtà da una massima di esperienza: quando concorrano un operatore già presente ed uno esterno, la ridotta durata del rapporto aggiudicabile rischia di favorire colui il quale già gode di una organizzazione collaudata e che si giova di esperienza, know how ed investimenti pregressi non parimenti posseduti dall’aspirante extraneus al sistema.
E’ ben vero che, come osservato già dal primo giudice (e come ribadito da tutte le parti controinteressate odierne appellate), la impugnante società ha comunque sinora operato in Italia attraverso il sistema dei CTD per circa 15 anni, con l’oggettivo privilegio discendente dalla circostanza che i propri delegati sono rimasti sottratti ai controlli di ordine e sicurezza pubblici.
E’, altresì, vero, però, che, da un canto, si tratta di una circostanza di mero fatto; d’altro canto, e ciò rileva di più, non può affermarsi che – in virtù di una possibile automatica “riconversione” della propria struttura da parte dell’appellante – i concessionari in essere non godano di una posizione privilegiata di partenza (il punto è incontestabile, non foss’altro perché ha costituito oggetto di plurime affermazioni, prima integralmente riportate, contenute delle decisioni della Corte di Giustizia).
Va conclusivamente sul punto rammentato l’insegnamento contenuto nella sentenza Costa–Cifone (punto 59), secondo il quale “per giurisprudenza consolidata ragioni di natura economica – come l’obiettivo di garantire agli operatori aggiudicatari di concessioni dopo la gara del 1999 la continuità, la stabilità finanziaria o una giusta remunerazione degli investimenti realizzati – non possono essere riconosciute quali motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (sentenza Commissione/Italia, cit., punto 35 e la giurisprudenza ivi citata, nonché sentenza dell’11 marzo 2010, Attanasio Group, C-384/08, Racc. pag. I-2055, punti 53-56).
6.18. Nella data situazione, pur permanendo il convincimento negativo del Collegio prima esposto – il che implica che non debba disporsi alcuna misura cautelare o di altra natura sugli atti avversati, che continueranno a produrre gli effetti propri-, convincimento costituente il punto di vista del Collegio nella soluzione della questione pregiudiziale sottoposta (che viene espresso, ai sensi del paragrafo 23 della nota informativa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – pubblicata sulla G.U.U.E. del 28 maggio 2011-), si ritiene di sollevare questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
La questione è rappresentata dal seguente doppio quesito:
A) se gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del TFUE ed i principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza 16.02.2012 n. 72, vadano interpretati nel senso che essi ostano a che vengano poste in gara concessioni di durata inferiore a quelle in passato rilasciate, laddove la detta gara sia stata bandita al fine di rimediare alle conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare;
B) se gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del TFUE ed i principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella medesima sentenza 16.02.2012 n. 72, vadano interpretati nel senso che essi ostano a che l’esigenza di riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni costituisca giustificazione causale adeguata di una ridotta durata delle concessioni poste in gara rispetto alla durata dei rapporti concessori in passato attribuiti.
7. In conclusione, parzialmente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo accoglie in parte qua,nei termini di cui alla motivazione che precede, e, per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado, pronunciandosi sul merito del ricorso di primo grado, lo respinge ad eccezione della riproposta censura di cui al quinto motivo del ricorso di primo grado;
non definitivamente pronunciando su tale quinto motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello, siccome specificato ed integrato nel primo motivo dell’appello in epigrafe, dispone, con contestuale ordinanza (contenuta nello stesso atto che reca la sentenza parziale) la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dei quesiti pregiudiziali suindicati.
8. Ai sensi della «nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» 2011/C 160/01 in G.U.U.E. 28 maggio 2011, vanno trasmessi alla cancelleria della Corte, mediante plico raccomandato in copia gli atti del giudizio, di primo e di secondo grado, comprensivi della presente sentenza parziale con annessa contestuale ordinanza.
9. Il presente giudizio viene sospeso nelle more della definizione del procedimento pregiudiziale, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), parzialmente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie in parte qua,nei termini di cui alla motivazione che precede,e, per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado, pronunciando sul merito del riproposto ricorso di primo grado, lo respinge ad eccezione della ripresentata censura di cui al quinto motivo del medesimo ricorso di primo grado;
non definitivamente pronunciando sul quinto motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello, siccome specificato ed integrato nel primo motivo dell’appello in epigrafe, dispone:
a) – la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea delle questioni pregiudiziali indicate in motivazione;
b) – a cura della Segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia del fascicolo di causa;
c) – la sospensione del presente giudizio;
d) – la riserva alla decisione definitiva di ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e sulle spese.
Ordina che la presente sentenza parziale, con annessa contestuale ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Seguirà commento…

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