Sentenza 6 marzo 2007
Corte di Giustizia delle Comunità Europee Grande Sezione – Sentenza 6 marzo 2007
- Presidente Skouris – Relatore Schiemann
- Ricorrente tribunale di Larino ed altro
- Cause C-338/04, C-359/04 e C-360/04
«Libertà di stabilimento – Libera prestazione dei servizi – Interpretazione degli articoli 43CE e 49CE – Giochi d’azzardo – Raccolta di scommesse su eventi sportivi – Requisito di una concessione – Esclusione di operatori costituiti in talune forme di società di capitali – Requisito di un’autorizzazione di polizia – Sanzioni penali»
- (Ambito normativo) Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli articoli 43CE e 49CE.
- (Ambito normativo) Tali domande sono state presentate nell’ambito di procedimenti penali a carico dei sigg.Placanica, Palazzese e Sorricchio per violazione della normativa italiana relativa alla raccolta di scommesse. Esse si inseriscono in contesti normativi e di fatto analoghi a quelli che hanno dato luogo alle sentenze 21 ottobre 1999, Zenatti (causa C-67/98, Racc.pag. I-7289), e 6 novembre 2003, Gambelli e a. (causa C-243/01, Racc. pag. I-13031).
- La normativa italiana stabilisce, in sostanza, che la partecipazione all’organizzazione di giochi d’azzardo, compresa la raccolta di scommesse, è sottoposta all’ottenimento di una concessione e di un’autorizzazione di polizia. Qualsiasi violazione di tale normativa è passibile di sanzioni penali che possono andare fino ad una pena detentiva di tre anni.
- (Le concessioni)L’attribuzione delle concessioni per l’organizzazione di scommesse su eventi sportivi era gestita, fino al 2002, dal Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI») e dall’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (in prosieguo: l’«UNIRE»), che erano abilitati ad organizzare le scommesse connesse con manifestazioni sportive organizzate o svolte sotto il loro controllo. Questo risultava dal combinato disposto del decreto legislativo 14 aprile 1948, n.496 (GURI n.118 del 14 aprile 1948), dell’articolo 3, n. 229, della legge 28 dicembre 1995, n.549 (Supplemento ordinario alla GURI n.302 del 29 dicembre 1995), e dell’articolo 3, n.78, della legge 23 dicembre 1996, n.662 (Supplemento ordinario alla GURI n.303 del 28 dicembre 1996).
- Norme specifiche per l’attribuzione delle concessioni sono state fissate dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 2 giugno 1998, n.174 (GURI n.129 del 5 giugno 1998; in prosieguo: il «decreto n.174/98»), per quanto riguarda il CONI, e dal decreto del Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n.169 (GURI n.125 del 1 giugno 1998), per quanto riguarda l’UNIRE.
- Quanto alle concessioni rilasciate dal CONI, il decreto n.174/98 prevedeva che l’attribuzione avvenisse tramite gara. In tale attribuzione il CONI doveva in particolare garantire la trasparenza dell’azionariato dei concessionari e una razionale distribuzione dei punti di raccolta e di accettazione delle scommesse nel territorio nazionale.
- Al fine di assicurare la trasparenza dell’azionariato, l’articolo 2, n.6, del decreto n.174/98 prevedeva che, nel caso in cui il concessionario fosse costituito in forma di società di capitali, le azioni aventi diritto di voto dovevano essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice, e non potessero essere trasferite per semplice girata.
- Le disposizioni relative all’attribuzione di concessioni da parte dell’UNIRE erano analoghe.
- Nel 2002 le competenze del CONI e dell’UNIRE in materia di scommesse su eventi sportivi sono state trasferite, in seguito ad una serie di interventi legislativi, all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato che agisce sotto il controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
- In forza di una modifica introdotta in tale occasione dall’articolo 22, n.11, della legge 27 dicembre 2002, n.289 (Supplemento ordinario alla GURI n.305 del 31 dicembre 2002; in prosieguo: la «legge finanziaria per il 2003»), tutte le società di capitali, senza limitazione alcuna relativamente alla loro forma, possono ormai partecipare alle gare per l’attribuzione delle concessioni.
- (Le autorizzazioni di polizia) Un’autorizzazione di polizia può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse. Queste condizioni per l’attribuzione risultano dall’articolo 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), come modificato dall’articolo 37, n. 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 2000; in prosieguo: il «regio decreto»).
- Inoltre, in forza del combinato disposto degli articoli 11 e 14 del regio decreto, l’autorizzazione di polizia non può essere rilasciata ad un soggetto che ha subito una condanna a determinate pene o per particolari delitti, in particolare per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o per violazione della normativa relativa ai giochi d’azzardo.
- Una volta rilasciata l’autorizzazione, il titolare, in forza dell’articolo 16 del regio decreto, deve consentire che le forze dell’ordine accedano, in qualsiasi momento, ai locali destinati all’esercizio dell’attività soggetta ad autorizzazione.
- (Le sanzioni penali) L’articolo 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive (GURI n. 294 del 18 dicembre 1989), come modificata dall’articolo 37, n. 5, della legge n. 388 (in prosieguo: la «legge n. 401/89») prevede le seguenti sanzioni penali per l’esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa:
Chiunque esercita abusivamente l’organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal [CONI], dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall’[UNIRE]. Chiunque abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore a lire un milione (…).
Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.
Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n.773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero. - (La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione) Nella sua sentenza 26 aprile 2004, n. 111/04 (in prosieguo: la «sentenza Gesualdi»), la Corte Suprema di Cassazione ha esaminato la compatibilità della normativa italiana in materia di giochi d’azzardo con gli articoli 43CE e 49 CE. Da quanto risulta dalla sua analisi, tale giudice è pervenuto alla conclusione che la detta normativa non è incompatibile con gli articoli 43CE e 49CE.
- Nella sentenza Gesualdi, la Corte Suprema di Cassazione constata che il legislatore italiano persegue da diversi anni una politica espansiva nel settore dei giochi di azzardo allo scopo evidente di aumentare le entrate fiscali e che la normativa italiana non potrebbe essere in alcun modo giustificata in base a scopi legati alla tutela dei consumatori o consistenti nel limitare la propensione al gioco dei consumatori o nel contenere l’offerta di gioco. Essa ha piuttosto individuato quale scopo reale della normativa italiana l’intenzione di canalizzare le attività di gioco d’azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile degenerazione criminale. Per tali motivi, la normativa italiana sottoporrebbe a controllo e vigilanza i soggetti che esercitano la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici ed i luoghi in cui tale esercizio è svolto. La Corte Suprema di Cassazione ha giudicato che questi obiettivi, in quanto tali, possono giustificare le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
- Per quanto riguarda le condizioni miranti a garantire la trasparenza dell’azionariato dei concessionari, condizioni che avevano in particolare per effetto di escludere dalle gare per le concessioni le società i cui singoli azionisti non erano identificabili in qualsiasi momento, la Corte Suprema di Cassazione constata nella sentenza Gesualdi che la normativa italiana non opera alcuna discriminazione, neanche indiretta, a danno delle società straniere, poiché ha per effetto di escludere non solo le società di capitali straniere i cui azionisti non possono essere identificati con precisione, ma anche tutte le società di capitali italiane i cui azionisti non possono essere identificati con precisione.
- (Cause principali e questioni pregiudiziali – L’attribuzione di concessioni.) Dai fascicoli risulta che, ai sensi delle disposizioni della normativa italiana, il CONI ha indetto, in data 11 dicembre 1998, una gara per l’attribuzione di 1000 concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive, in quanto questo numero di concessioni è stato considerato, sulla base di una specifica valutazione, sufficiente per tutto il territorio nazionale. Simultaneamente, 671 nuove concessioni sono state messe a concorso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in accordo con il Ministero delle Politiche agricole e forestali per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche e 329 concessioni esistenti sono state automaticamente rinnovate.
- L’applicazione delle disposizioni relative alla trasparenza dell’azionariato in vigore all’epoca di dette gare ha avuto in particolare l’effetto di escludere dalle gare gli operatori costituiti in forma di società le cui azioni erano quotate nei mercati regolamentati, in quanto per tali società l’identificazione costante e precisa dei singoli azionisti era impossibile. In seguito a queste gare, nel 1999 sono state attribuite alcune concessioni valide per sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni.
- (La società Stanley International Betting Ltd) La Stanley International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley») è una società di diritto inglese appartenente al gruppo Stanley Leisure plc, società di diritto inglese quotata alla Borsa di Londra (Regno Unito). Entrambe le società hanno la propria sede sociale in Liverpool (Regno Unito). Il gruppo opera nel settore dei giochi d’azzardo e rappresenta il quarto maggior bookmaker e il primo gestore di case da gioco nel Regno Unito.
- La Stanley è uno dei canali operativi del gruppo Stanley Leisure plc al di fuori del Regno Unito. Essa è debitamente autorizzata ad operare come allibratore in tale Stato membro in forza di una licenza rilasciata dal Comune di Liverpool ed è assoggettata ai controlli di ordine pubblico e sicurezza da parte delle autorità britanniche, ad accertamenti interni sul regolare svolgimento delle attività, a controlli da parte di una società privata di audit e a controlli da parte del Tesoro e dell’amministrazione doganale del Regno Unito.
- La Stanley, avendo interesse ad acquisire concessioni per almeno 100 punti di accettazione di scommesse nel territorio italiano, si era informata circa la possibilità di partecipare alle gare, ma si era resa conto di non poter soddisfare i requisiti relativi alla trasparenza dell’azionariato per il fatto di far parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati. Essa non ha quindi preso parte alla gara e non detiene nessuna concessione per la gestione delle scommesse.
- (I centri di trasmissione dati)La Stanley opera in Italia tramite l’intermediazione di oltre duecento agenzie, comunemente denominate «centri di trasmissione dati» (in prosieguo: i «CTD»). Questi ultimi offrono i loro servizi in locali aperti al pubblico in cui mettono a disposizione degli scommettitori un percorso telematico che consente loro di accedere al server della Stanley situato nel Regno Unito. Gli scommettitori possono in tal modo, per via telematica, inviare alla Stanley proposte di scommesse sportive selezionate all’interno dei programmi di eventi e quotazioni forniti dalla Stanley, nonché ricevere l’accettazione di tali proposte, pagare le loro poste e, se del caso, riscuotere le loro vincite.
- I CTD sono gestiti da operatori indipendenti legati alla Stanley da contratto. I sigg. Placanica, Palazzese e Sorricchio, imputati nell’ambito dei procedimenti principali, sono, tutti e tre, gestori di CTD legati alla Stanley.
- Dal fascicolo trasmesso dal Tribunale di Teramo risulta che i sigg.Palazzese e Sorricchio, prima di avviare le loro attività, avevano chiesto alla Questura di Atri autorizzazioni di polizia ai sensi dell’articolo 88 del regio decreto. Queste domande sono rimaste senza risposta.
- (La domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Larino – procedimento C-338/04) Il Pubblico Ministero, addebitando al sig.Placanica di aver commesso il reato di cui all’articolo 4, n.4bis, della legge n.401/89, ossia di aver esercitato, in qualità di gestore di un CTD per conto della Stanley, un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza l’autorizzazione di polizia richiesta, ha avviato un procedimento penale a suo carico dinanzi al Tribunale di Larino.
- Tale giudice nutre dubbi relativamente alla fondatezza delle conclusioni cui la Corte Suprema di Cassazione è pervenuta nella sentenza Gesualdi per quanto riguarda la compatibilità dell’articolo 4, n.4bis, della legge n.401/89 con il diritto comunitario. Esso si chiede se gli obiettivi di ordine pubblico invocati dalla Corte Suprema di Cassazione siano idonei a giustificare le restrizioni di cui trattasi.
- In tale contesto, il Tribunale di Larino ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: “Valuti la Corte adita la conformità della norma di cui all’articolo 4, [n.]4bis, della legge n.401/89 con i principi espressi dagli articoli 43[CE] e segg. e 49[CE], in materia di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi transfrontalieri, anche alla luce del contrasto interpretativo emerso nelle decisioni della Corte (…) (in particolare nella Sentenza Ga[m]belli e a. [soprammenzionata]) rispetto alla decisione della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite [nella causa Gesualdi]; in particolare, si chiarisca l’applicabilità della normativa sanzionatoria riportata nell’imputazione e contestata al sig. Placanica nello Stato italiano”.
- (Le domande di pronuncia pregiudiziale del Tribunale di Teramo – procedimenti C-359/04 e C-360/04) La Questura di Atri, che addebita ai sigg. Palazzese e Sorricchio di aver esercitato un’attività organizzata al fine di facilitare la raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia, ha proceduto al sequestro preventivo dei loro locali e delle loro attrezzature in forza dell’articolo 4, n.4bis, della legge n.401/89. Poiché il Pubblico Ministero ha convalidato i sequestri, i sigg. Palazzese e Sorricchio hanno proposto, ciascuno, un ricorso contro queste misure di sequestro dinanzi al Tribunale di Teramo.
- Tale giudice ritiene che le restrizioni imposte alle società di capitali quotate nei mercati regolamentati che hanno impedito loro, nel 1999, di partecipare all’ultima gara per l’attribuzione di concessioni per l’esercizio delle attività di scommessa siano incompatibili con i principi del diritto comunitario poiché operano una discriminazione nei confronti degli operatori non italiani. Di conseguenza, analogamente al Tribunale di Larino, il detto giudice nutre dubbi circa la fondatezza della sentenza Gesualdi.
- In tale contesto, il Tribunale di Teramo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
“In particolare è necessario al Tribunale [di Teramo] conoscere se [gli articoli 43, primo comma, CE e49, primo comma, CE] possano essere interpretat[i] nel senso che sia possibile agli Stati membri derogare temporaneamente (per un tempo pari a 6-12 anni) al regime di libertà di stabilimento e di libertà della prestazione di servizi nell’ambito dell’Unione europea, legiferando nel seguente modo, senza determinare un “vulnus” dei richiamati principi comunitari: attribuendo ad alcuni soggetti concessioni per lo svolgimento di determinate attività di prestazione di servizi, valide per 6/12 anni, sulla base di un regime normativo che aveva portato ad escludere dalla gara di attribuzione talune tipologie di concorrenti (non italiani); modificando quel regime giuridico, avendo preso atto successivamente della non conformità di esso ai principi di cui agli articoli 43 [CE] e 49[CE], nel senso di consentire nel futuro la partecipazione anche a quei soggetti che erano stati esclusi; non procedendo alla revoca delle concessioni rilasciate sulla base del precedente regime normativo, come detto, ritenuto lesivo dei principi della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi e all’indizione di una nuova gara in applicazione della nuova normativa, ora rispettosa di detti principi; continuando per contro a perseguire chiunque operi in collegamento con quei soggetti che, [benché] abilitati a tale attività nello Stato membro di origine, erano stati esclusi dalla gara proprio a causa di quelle preclusioni contenute nelle precedenti previsioni normative, in seguito rimosse”. - Con una prima ordinanza del presidente della Corte, datata 14 ottobre 2004, i procedimenti C-359/04 e C-360/04 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza. Con una seconda ordinanza del presidente della Corte, del 27 gennaio 2006, è stata disposta la riunione del procedimento C-338/04 con i procedimenti C-359/04 e C-360/04 ai fini della fase orale e della sentenza.
- (Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali) Nel procedimento C-338/04, tutti i governi che hanno presentato osservazioni, ad eccezione del governo belga, mettono in discussione la ricevibilità della questione sottoposta. Per quanto riguarda i procedimenti C-359/04 e C-360/04, i governi italiano e spagnolo nutrono dubbi sulla ricevibilità della questione sottoposta. Relativamente al procedimento C-338/04, i governi portoghese e finlandese sostengono che la decisione di rinvio del Tribunale di Larino non contiene informazioni sufficienti che consentano di fornire una soluzione, mentre, secondo i governi italiano, tedesco, spagnolo e francese, la questione sottoposta riguarda l’interpretazione del diritto nazionale e non quella del diritto comunitario e invita, di conseguenza, la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con il diritto comunitario. I governi italiano e spagnolo operano una riserva identica per quanto riguarda la ricevibilità della questione posta nei procedimenti C-359/04 e C-360/04.
- Per quanto riguarda le informazioni che devono essere fornite alla Corte nell’ambito di una decisione di rinvio, occorre ricordare che queste informazioni non servono solo a consentire alla Corte di dare soluzioni utili, ma devono anche conferire ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia. A tal fine, risulta da una giurisprudenza costante che è, da un lato, necessario che il giudice nazionale definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Dall’altro, la decisione di rinvio deve indicare i motivi precisi che hanno indotto il giudice nazionale a interrogarsi sull’interpretazione del diritto comunitario ed a ritenere necessaria la formulazione di questioni pregiudiziali alla Corte. In tale contesto, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle disposizioni comunitarie di cui chiede l’interpretazione e sul nesso che individua tra quelle disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui alla causa principale (v., in particolare, in tal senso, sentenze 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393, punto 6; 6 dicembre 2005, cause riunite C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, ABNA e a., Racc. pag. I-10423, punti 45-47, nonché 19 settembre 2006, causa C-506/04, Wilson, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 39).
- La decisione di rinvio del Tribunale di Larino (procedimento C-338/04) soddisfa questi requisiti. Infatti, in quanto l’ambito normativo nazionale nonché gli argomenti dedotti dalle parti sono in sostanza identici al contesto nel quale si inseriva la sentenza Gambelli e a., sopra menzionata, un rinvio a questa sentenza era sufficiente per consentire sia alla Corte sia ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate di identificare l’oggetto della controversia di cui alla causa principale.
- Per quanto riguarda la ripartizione delle responsabilità nell’ambito del sistema di cooperazione istituito dall’articolo 234CE, è vero che l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito di un procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di diritto interno con le disposizioni del diritto comunitario. Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v., in particolare, sentenze 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 19, nonché Wilson, citata, punti 34 e 35).
- A tale riguardo, l’avvocato generale ha rilevato giustamente, al paragrafo 70 delle sue conclusioni, che il contenuto letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale dal Tribunale di Larino (procedimento C-338/04) invita la Corte a pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto comunitario. Tuttavia, benché la Corte non possa risolvere tale questione così come essa è formulata, nulla le impedisce di dare una soluzione utile al giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di interpretazione che rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario.
- Nella questione pregiudiziale sottoposta dal Tribunale di Teramo (procedimenti C-359/04 e C-360/04) si identificano con precisione gli effetti di una serie di interventi legislativi nazionali e si chiedono alla Corte chiarimenti sulla compatibilità di questi effetti con il Trattato CE. Di conseguenza, con tale questione non si chiede alla Corte a pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale o sulla compatibilità di quest’ultimo con il diritto comunitario.
- Le questioni sottoposte sono pertanto ricevibili.
- (Sulle questioni pregiudiziali) Dai fascicoli trasmessi alla Corte risulta che un operatore che intende esercitare, in Italia, un’attività nel settore dei giochi d’azzardo deve conformarsi ad una normativa nazionale che presenta le seguenti caratteristiche, ossia: l’obbligo di ottenere una concessione; un sistema di attribuzione delle dette concessioni, mediante una gara che esclude taluni tipi di operatori e, in particolare, le società i cui singoli azionisti non siano identificabili in qualsiasi momento; l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, e sanzioni penali in caso di violazione della normativa di cui trattasi.
- Con le questioni pregiudiziali sottoposte, che occorre esaminare congiuntamente, i giudici nazionali chiedono in sostanza se gli articoli 43CE e 49CE si oppongano ad una normativa nazionale relativa ai giochi d’azzardo, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, nella misura in cui tale normativa presenti siffatte caratteristiche.
- La Corte ha già dichiarato che la normativa nazionale di cui trattasi nelle cause principali, in quanto contiene il divieto – penalmente sanzionato – di esercitare attività nel settore dei giochi d’azzardo in assenza di concessione o di autorizzazione rilasciata dallo Stato, comporta restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 59 e dispositivo).
- Da un lato, le restrizioni imposte ad intermediari quali gli imputati nelle cause principali costituiscono ostacoli alla libertà di stabilimento di società stabilite in un altro Stato membro, quali la Stanley, che effettuano un’attività di raccolta di scommesse in altri Stati membri per il tramite di un’organizzazione di agenzie, quali i CTD gestiti dagli imputati nella causa principale (v. sentenza Gambelli e a., citata, punto 46).
- D’altra parte, il divieto imposto a intermediari quali gli imputati nelle cause principali di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria attività, costituisce una restrizione al diritto del detto prestatore alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi (sentenza Gambelli e a., citata, punto 58).
- Ciò premesso, occorre esaminare se le restrizioni di cui trattasi nelle cause principali possano essere ammesse a titolo di misure derogatorie espressamente previste agli articoli 45CE e 46CE, ovvero se possano essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi di interesse generale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 60).
- A tale riguardo, un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative all’ordine sociale in generale sono stati ammessi dalla giurisprudenza (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler, Racc. pag. I-1039, punti 57-60; 21 settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a., Racc. pag. I-6067, punti 32 e 33; Zenatti, citata, punti 30 e 31, nonché Gambelli e a., citata, punto 67).
- In tale contesto, le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l’individuo e la società che sono collegate ai giochi d’azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di tutela del consumatore e dell’ordine sociale (sentenza Gambelli e a., citata, punto 63).
- A tal riguardo anche se gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito, le restrizioni che essi impongono devono tuttavia soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.
- Di conseguenza, occorre esaminare separatamente per ciascuna delle restrizioni imposte dalla normativa nazionale in particolare se essa sia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito dallo Stato membro interessato e non vada oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, queste restrizioni devono essere applicate in modo non discriminatorio (v., in tal senso, sentenze Gebhard, citata, punto 37; Gambelli e a., citata, punti 64 e 65, nonché 13 novembre 2003, causa C-42/02, Lindman, Racc. pag. I-13519, punto 25).
- (Sul requisito di una concessione) Al fine di poter operare nel settore dei giochi d’azzardo in Italia, un operatore deve ottenere una concessione. In forza del sistema di concessioni utilizzato, il numero di operatori è limitato. Per quanto riguarda l’accettazione di scommesse, il numero di concessioni per la gestione delle scommesse sulle competizioni sportive diverse dalle competizioni ippiche e il numero di concessioni per l’accettazione di scommesse sulle competizioni ippiche sono, ciascuno, limitati a 1000.
- Occorre rilevare innanzi tutto che il fatto che questo numero di concessioni per le due categorie, come risulta dai fascicoli, sia stato considerato «sufficiente» per tutto il territorio nazionale sulla base di una valutazione specifica non può di per sé giustificare gli ostacoli alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi che derivano da tale limitazione.
- Per quanto riguarda gli obiettivi che possono giustificare tali ostacoli, nel presente contesto deve essere operata una distinzione tra, da un lato, l’obiettivo mirante a ridurre le occasioni di gioco e, dall’altro, nella misura in cui i giochi d’azzardo sono autorizzati, l’obiettivo mirante a lottare contro la criminalità assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e canalizzando le attività dei giochi di azzardo nei circuiti così controllati.
- Relativamente al primo tipo di obiettivo, dalla giurisprudenza risulta che, anche se possono, in via di principio, essere giustificate restrizioni del numero degli operatori, tali restrizioni devono in ogni caso rispondere all’intento di ridurre considerevolmente le opportunità di gioco e di limitare le attività in tale settore in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, citate sentenze Zenatti, punti 35 e 36, nonché Gambelli e a., punti 62 e 67).
- Ora, è pacifico, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione, che il legislatore italiano persegue una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali e che nessuna giustificazione della normativa italiana possa essere fatta derivare dagli obiettivi di limitare la propensione al gioco dei consumatori o di limitare l’offerta di giochi.
- Infatti, è il secondo tipo di obiettivo, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività di gioco d’azzardo per fini criminali o fraudolenti canalizzandole in circuiti controllabili, che viene identificato come lo scopo reale della normativa italiana di cui trattasi nelle cause principali sia dalla Corte Suprema di Cassazione sia dal governo italiano nelle sue osservazioni presentate dinanzi alla Corte. In tale ottica, una politica di espansione controllata del settore dei giochi d’azzardo può essere del tutto coerente con l’obiettivo mirante ad attirare giocatori che esercitano attività di giochi e di scommesse clandestini vietati in quanto tali verso attività autorizzate e regolamentate. Come hanno rilevato in particolare i governi belga e francese, al fine di raggiungere questo obiettivo, gli operatori autorizzati devono costituire un’alternativa affidabile, ma al tempo stesso attraente, ad un’attività vietata, il che può di per sé comportare l’offerta di una vasta gamma di giochi, una pubblicità di una certa portata e il ricorso a nuove tecniche di distribuzione.
- Il governo italiano ha del resto menzionato elementi di fatto quali, in particolare, un’indagine conoscitiva sul settore dei giochi e delle scommesse realizzata dalla sesta commissione permanente (Finanze e Tesoro) del Senato italiano. Tale indagine conoscitiva ha concluso che le attività di giochi e di scommesse clandestine vietate in quanto tali costituiscono un problema rilevante in Italia al quale potrebbe porre rimedio un’espansione di attività autorizzate e regolamentate. Pertanto, secondo la detta indagine conoscitiva, la metà del fatturato totale del settore dei giochi d’azzardo in Italia deriva da queste attività illegali. È stato quindi ritenuto realizzabile, estendendo attività di giochi e di scommesse autorizzate dalla legge, recuperare dalle dette attività illegali una parte del fatturato per un importo almeno equivalente a quello che deriva dalle attività autorizzate dalla legge.
- Un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti. Per contro, la Corte non dispone di elementi di fatto sufficienti per valutare, in quanto tale, la limitazione del numero globale delle concessioni in relazione ai requisiti derivanti dal diritto comunitario.
- Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato dal governo italiano, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti. Inoltre, spetterà ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità.
- (Sui bandi di gara) Il Tribunale di Teramo (procedimenti C-359/04 e C-360/04) evidenzia esplicitamente l’esclusione delle società di capitali, i cui singoli azionisti non erano identificabili in ogni momento, e quindi della totalità delle società quotate nei mercati regolamentati, dalle gare per l’attribuzione di concessioni. La Commissione delle Comunità europee ha rilevato che questa restrizione ha come conseguenza di escludere da queste gare gli operatori comunitari più importanti nel settore dei giochi d’azzardo, operatori che sono costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
- Occorre rilevare, in via preliminare, che la questione della legittimità delle condizioni imposte nei bandi di gara del 1999 è lungi dall’essere stata privata di oggetto dalle modifiche legislative intervenute nel 2002, che consentono ormai a tutte le società di capitali, senza alcuna limitazione per quanto riguarda la loro forma, di partecipare alle gare al fine di un’attribuzione di concessioni. Infatti, come rileva il Tribunale di Teramo, poiché le concessioni attribuite nel 1999 erano valide per un periodo di sei anni e rinnovabili per un nuovo periodo di sei anni e poiché nessuna nuova gara era prevista nel frattempo, l’esclusione dal settore dei giochi di azzardo di società di capitali quotate nei mercati regolamentati nonché di intermediari quali gli imputati nelle cause principali che potrebbero agire per conto di tali società rischia di produrre effetti fino al 2011.
- La Corte ha già dichiarato che, anche se l’esclusione dalle gare si applica indistintamente a tutte le società di capitali quotate nei mercati regolamentati che possono essere interessate da concessioni, siano esse stabilite in Italia o in un altro Stato membro, la normativa nazionale in materia di bandi di gara, nella misura in cui l’assenza di operatori stranieri tra i concessionari è dovuta al fatto che la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società di capitali quotate nei mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere concessioni, costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di stabilimento (sentenza Gambelli e a., citata, punto 48).
- Indipendentemente dalla questione se l’esclusione delle società di capitali quotate nei mercati regolamentati si applichi, in effetti, allo stesso modo agli operatori stabiliti in Italia ed a quelli provenienti da altri Stati membri, tale esclusione totale va oltre quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo mirante ad evitare che soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo siano implicati in attività criminali o fraudolente. Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 125 delle sue conclusioni, esistono altri strumenti di controllo dei bilanci e delle attività degli operatori nel settore dei giochi di azzardo che limitano in modo minore la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi, come quello consistente nel raccogliere informazioni sui loro rappresentanti o sui loro principali azionisti. Tale constatazione è corroborata dal fatto che il legislatore italiano ha creduto di poter abrogare completamente la detta esclusione con la legge finanziaria per il 2003 senza tuttavia sostituirla con altre misure restrittive.
- Per quanto riguarda le conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare al fine dell’attribuzione delle concessioni esistenti, spetta all’ordinamento giuridico interno stabilire le modalità procedurali che garantiscano la tutela dei diritti che gli operatori derivano dall’efficacia diretta del diritto comunitario, a condizione tuttavia che le dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v. sentenze 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I-6297, punto 29, nonché 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57). Tanto una revoca e la redistribuzione delle precedenti concessioni quanto la messa a concorso di un numero adeguato di nuove concessioni potrebbero essere soluzioni appropriate a tale riguardo. Occorre tuttavia constatare, in ogni caso, che, in assenza di una procedura di attribuzione di concessioni aperta agli operatori che erano stati illegittimamente esclusi dalla possibilità di beneficiare di una concessione nell’ultimo bando di gara, la mancanza di concessione non può costituire oggetto di sanzioni nei confronti di tali operatori.
- Gli articoli 43 CE e 49CE devono quindi essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
- (Sul requisito di un’autorizzazione di polizia) La condizione che coloro che operano nel settore dei giochi d’azzardo nonché i loro locali siano assoggettati ad un controllo iniziale e ad una sorveglianza continua contribuisce chiaramente all’obiettivo mirante a evitare che questi operatori siano implicati in attività criminali o fraudolente e sembra essere una misura del tutto proporzionata a tale obiettivo.
- Tuttavia, dal fascicolo risulta che gli imputati nelle cause principali erano disposti a procurarsi autorizzazioni di polizia e ad assoggettarsi a tale controllo e a tale sorveglianza. Infatti, poiché le autorizzazioni di polizia vengono rilasciate solo ai titolari di una concessione, sarebbe stato impossibile per gli imputati nelle cause principali ottenere tali autorizzazioni. A tale riguardo, dal fascicolo risulta anche che i sigg. Palazzese e Sorricchio, prima di avviare le loro attività, avevano chiesto autorizzazioni di polizia conformemente all’articolo 88 del regio decreto, ma le loro domande non avevano avuto seguito.
- Ora, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 123 delle sue conclusioni, il procedimento con cui vengono attribuite le autorizzazioni di polizia recepisce, in tali circostanze, i vizi sopra identificati che inficiano l’attribuzione di concessioni. La mancanza di autorizzazione di polizia, di conseguenza e in ogni caso, non potrà essere addebitata a soggetti quali gli imputati nelle cause principali che non avrebbero potuto ottenere tali autorizzazioni per il fatto che la concessione di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto comunitario.
- (Sulle sanzioni penali) Anche se, in via di principio, la legislazione penale è riservata alla competenza degli Stati membri, da una costante giurisprudenza risulta che tuttavia il diritto comunitario pone limiti a tale competenza, non potendo, infatti, una tale legislazione limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario (v. sentenza 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa, Racc. pag. I-11, punto 17).
- Risulta inoltre dalla giurisprudenza che uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa allorché l’adempimento di tale formalità viene rifiutato o è reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 15 dicembre 1983, causa 5/83, Rienks, Racc. pag. 4233, punti 10 e 11).
- Ora, risulta che soggetti quali gli imputati nelle cause principali, nella loro qualità di gestori di CTD collegati ad una società che organizza scommesse, che è quotata nei mercati regolamentati ed è stabilita in un altro Stato membro, non potevano comunque ottenere le concessioni e le autorizzazioni di polizia richieste dalla normativa italiana poiché, in violazione del diritto comunitario, la Repubblica italiana subordina il rilascio di un’autorizzazione di polizia al possesso di una concessione e poiché, all’epoca dell’ultimo bando di gara nelle cause principali, tale Stato membro aveva rifiutato di attribuire concessioni a società quotate nei mercati regolamentati. In tale contesto, la Repubblica italiana non può applicare sanzioni penali per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a soggetti quali gli imputati nelle cause principali.
- Occorre quindi constatare che gli articoli 43CE e 49CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
- Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sottoposte nel modo seguente:
Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli articoli 43CE e 49 CE.
Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
Gli articoli 43CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua ad escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro. - (Sulle spese) Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M. la Corte (Grande Sezione) dichiara:
- Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento nonché alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli articoli 43 CE e 49 CE.
- Spetterà ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
- Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua a escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società di capitali le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
- Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.