Corte di Giustizia Europea: si avvicina l’ennesima pronuncia sul sistema concessorio italiano
Il 27 ottobre 2011 sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato generale nella causa C-72|10 dove, sul banco degli imputati c’è il sistema concessorio italiano. L’Avvocato generale si è speso molto nell’analizzare il sistema di giochi e scommesse italiano sulla base delle indicazioni contenute nel provvedimento di remissione della Suprema Corte di Cassazione.
Pur ritenendo di non dover svolgere una disamina sofisticata, che ci riserviamo di effettuare in altra sede, notiamo come ad un occhio esperto alcuni degli aspetti per i quali il nostro sistema viene censurato, appaiono superati dallo ius superveniens.
Ed infatti, secondo l’Avvocato generale gli artt. 49 TFUE e 56 TFUE con riferimento alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi nel settore delle scommesse su eventi sportivi:
1. nel primo motivo, “ostano ad una normativa che sancisca espressamente e effettivamente un indirizzo generale di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore sulla base di una procedura che illegittimamente ha escluso parte degli operatori. Spetta al giudice nazionale determinare se la normativa nazionale contenga una disposizione avente tale senso e portata”. Questa censura al modello italiano, lo riconosce anche lo stesso Avvocato, è stata superata con la legge n. 289/2002 e con il decreto legge n. 35/2005, convertito nella legge 14 maggio 2005 n. 80. Del resto non furono escluse dalla gara solo le società estere ma anche le società italiane. Quindi nessuna disparità di trattamento tra società nazionali, comunitarie e/o extracomunitarie. Semmai ci fosse stata una disparità era stata perpetrata nei confronti di tutte le società di capitali, che comunque anche prima della gara del 2006, poterono acquisire le concessioni terrestre. Si ricorda a tal proposito che tra il 2004 e 2005 importanti gruppi internazionali acquisirono il titolo concessorio, senza aspettare la gara Bersani (che comunque viene definita come “..più che sufficiente a dare spazio alle domande degli operatori esclusi illegittimamente nel 1999..”) e senza richiamare questioni di diritto oramai superate. Inoltre, proprio i ricorrenti Costa e Cifone avrebbero ben potuto partecipare alle gare del ’99, (usufruendo – se proprio non ne avessero potuto fare a meno.. – dei servizi offerti dalla Stanley quale fornitore). Addurre ancora questa motivazione, significa negare il diritto vivente, che per fortuna di tutti si evolve.
2. Secondo motivo “ostano una normativa nazionale che garantisca di fatto il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite sulla base di una procedura che ha il legittimamente escluso una parte degli operatori; in particolare, ostano al divieto per i nuovi concessionari di collocare i loro sportelli al di sotto di una determinata distanza da quelli già esistenti “. A tal proposito si deve rilevare che con decreto legge n.184/2008 convertito con modificazione ed integrazioni nella legge 149/2008 il legislatore ha previsto che: “Il comma 1 dell’articolo 4-bis del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, nonche’ le lettere f) e g) del comma 287 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e le lettere f) e g) del comma 4 dell’articolo 38 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono abrogati.”. La norma in parola ha abrogato di fatto i vincoli di distanze per i nuovi punti bersani su base ippica e su base sportiva superando anche l’ulteriore limite, lamentato dal noto bookmaker e recepito dall’Avvocato Generale, attuato dal governo italiano per il mantenimento di posizioni commerciali acquisite da parte di operatori. Allo stato quindi non si può più parlare di una presunta tendenza generale alla tutela dei titolari delle concessioni storiche grazie allo ius superveniens.
3. il terzo motivo “ostano ad una normativa nazionale che preveda la decadenza della concessione di gioco nel caso in cui il concessionario svolga un’attività trasfrontaliera di gioco, indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e sebbene sia possibile un contatto diretto tra il consumatore e l’operatore e un controllo fisico con finalità di pubblica sicurezza degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio nazionale”. Oggetto della censura è l’art. 23 dello schema accessivo alle concessioni bersani in virtù del quale si verifica la decadenza della concessione “qualora il concessionario commercializzi, in proprio od attraverso società di qualsiasi modo ad esso collegate, sul territorio italiano od anche attraverso siti telematici situati al di fuori dai confini nazionali, giochi assimilabili ai giochi pubblici, ovvero ad altri giochi vietati dall’ordinamento italiano”. Al di là dell’interpretazione autentica della richiamata disposizione contrattuale, di cui bisogna verificare l’effettiva applicazione, il primo equivoco in cui cade l’Avvocato Generale è quello di non capirne la portata: egli infatti afferma: a) che l’attività transfrontaliera di Stanley si svolga tramite Internet; b) che è pacifico che non vi sia mutuo riconoscimento delle licenze di gioco -via Internet e non – tra Stati Membri; c) che però tale attività “non costituisce un caso di gioco via Internet propriamente detto..”. Con il risultato di essere egli stesso assai poco chiaro, come egli imputa siano le disposizioni contestate. Ma è poi vero questo complicato costrutto del rappresentante in loco? O forse il bookmaker opera invece su base di una concessione di gioco via internet, magari non di Liverpool ma di Malta? Insomma, se è lecito dare licenze online nazionali, e non esiste mutuo riconoscimento, è più che logico vietare – a pena di revoca e incameramento della fidejussione – che non si raccolga in Italia e su clienti italiani attraverso siti propri non autorizzati! Qui è d’uopo richiamare il diritto in vigore in virtù del quale gli operatori, titolari di un licenza estera, possono offrire i propri giochi ai consumatori residenti in italia esclusivamente tramite la concessione italiana, onde evitare che il consumatore possa essere truffato. Ed infatti l’“esclusione dei consumatori residenti in Italia dall’offerta dei giochi di cui al comma 11, lettere da a) a f), attraverso siti diversi da quelli gestiti dai concessionari in aderenza a quanto previsto dalla concessione, ancorchè gestiti dallo stesso concessionario, direttamente ovvero attraverso societa` controllanti, controllate o collegate” (art. 24, comma 17 lett. d) della legge n. 88/09).Non è vietato avere altre concessioni in altri Stati, di cui del resto sono titolari quasi tutti i maggiori operatori stranieri che operano in Italia, ma è necessario canalizzare il gioco in circuiti leciti, che possano essere controllati a tutela dei consumatori. Del resto nelle proprie conclusioni l’Avvocato generale richiama la sentenza Liga Portuguesa nella quale è stato senza alcun dubbio riconosciuto un ampio margine di relazione ai giochi d’azzardo offerti tramite internet. Ecco che anche qui sia la Stanley che i ricorrenti avrebbero ben potuto – e tutt’ora possono – acquisire una concessione per la raccolta di gioco via Internet, senza alcun pregiudizio per le loro attività. Il nostro Legislatore a seguito delle modifiche apportate sempre in coerenza con i principi comunitari sta cercando comunque di mantenere il nostro sistema dei giochi scommessi, sempre all’avanguardia, anche rispetto agli altri stati membri.
4. Quarto motivo “non ostano ad una normativa nazionale che permetta di offrire esclusivamente le tipologie di giochi figuranti in un catalogo o in un elenco, sanzionando la decadenza della concessione, l’offerta di qualsiasi altro gioco, purchè le decisioni amministrative relative alla redazione dell’elenco siano basate su criteri obiettivi, non discriminatori e noti in anticipo, e possano essere oggetto di un rimedio giurisdizionale”. Anche rispetto a questo punto – sebbene sia positivo per il sistema – si può sostenere che rispetto a dieci anni fa sono stati fatti dei progressi notevolissimi. Si ricorda il decreto Abruzzo, ed anche il decreto direttoriale del 10 gennaio 2011 “Disciplina dei giochi di abilità nonché dei giochi di sorte a quota fissa e dei giochi di carte organizzati in forma diversa dal torneo con partecipazione a distanza”; i concessionari possono proporre qualsiasi tipologia di gioco a distanza (ex art. 2 del decreto direttoriale richiamato), purchè rientri negli schemi, e sia comunque approvata dall’Amministrazione, sempre a tutela dei consumatori. Eventuali provvedimenti di AAMS di diniego o di revoca dei giochi, in quanto provvedimenti amministrativi possono essere impugnati davanti al TAR.
5. Quinto ed ultimo motivo “non ostano ad una normativa nazionale che preveda la decadenza di una concessione di gioco quando nei confronti del concessionario, del legale rappresentante o degli amministratori del concessionario siano state adottate misure cautelari o provvedimenti di rinvio a giudizio nell’ambito di un determinato procedimento, penale purchè l’ipotesi sia definita con riferimento a fattispecie penali collegate all’attività di gioco e chiaramente definite”. Riguardo questo ultimo aspetto non possiamo non condividere l’orientamento dell’Avvocato generale, che dovrebbe essere comunque recepito dal nostro Legislatore. La chiarezza è d’uopo quando si creano ostacoli all’accesso a determinati servizi o esercizi di attività, specie in un sistema dove vige il principio – giusto o meno – della presunzione di innocenza. Sebbene sia condivisibile una valutazione circa l’onorabilità in base a indizi suscettibili di creare il ragionevole dubbio. A tal proposito la recente novella (ex art. 24 decreto legge n. 98/11, convertito con integrazioni e modificazioni nella legge n. 111/11) andrebbe a nostro avviso opportunamente rivisitata alla luce del principio di proporzionalità.
L’articolo è stato pubblicato sul giornale bisettimanale ”TS”